Mario Alberti - Adriatico e Mediterraneo

ff. 6 . 28 gennaio 1915 PUBBLICAZIOSNETTIMANALE ContoCorrenteconla posta -~~ o:~~ 7iC=-6i) cr PROBLEMI ITALIANI 11 i·, ' ~ e(\, Ml\RIOl\LBERTI c{)o 1 DEl MUOIO OMMEROD•lIETRIESTE 1 ~ C\ \f ADRIATICO ~), ~~i E, ~~ ~ MEDITERRANEO f ][ J[ ~ SECONDA EDmDNE ~ cXr '\X, j .---~~ t A RAVA & c. EDITORI - MILANO ]. ,ij_,, " ~ ,_ce-, ~-e..---:{.~MC•~},~~

PROBLEMI ITf'iLif'iNI V. Ml\RIO l\LBERTI DEL MUSEO COMMERCIALE DI TRIESTE f\ DR I f\ TI CO E MEDITERRf'iNEO SECONDA EDIZIONE 12 MILlì.NO RliVfl &. C. - EDITORI 1915 81blìoteca Gino Bianco

PROPRIETÀ RISERVATA TIP.LIT.RIPALTA•MILANO BibliotecaGino 81;-mco

),( )I( )( );( )( )I( )I( )I( )I( )( )I( )I( )( )I( )I( )I( )I( )I( )I( )I( La condizione essenziale per una patriottica po• litica di Interessi: Indi• pendenza dall'estero, Noi dobbiamo fare il nostro interesse, unicamente, esclusivamente il nostro interesse. Senza preoccuparci d'altro o di altri. Come fanno le Nazioni veramente grandi : che lo sono o che vogliono esserlo. Dunque nessun preconcetto, nessuna pregiudiziale aprioristica. Un solo scopo : la prosperità, il prestigio, la grandezza del1'Italia. Tutto il resto ha da passare in seconda linea. Ci vuole una politica estera attiva, energica, efficace, realistica. Una politica di sacro egoismo. Finora non la potemmo fare che imperfettamente : le deficenze gravissime del nostro confine orientale non ci consentivano che due alternative : o seguire gli imperi centrali, oppure esporci prima o poi al pericolo di una esiziale aggressione straniera. E' una dur:;i verità, questa. E non si deve tacerla. La Triplice Alleanza ebbe la sua funzione storica, che ormai è estinta, ma la ebbe. Guai se gli italiani, lasciandosi vincere dall'idealismo, si fossero fatti guidare nei decenni scorsi solo dal sentimento. Sarebbe stato un giuocare l'unità stessa della Patria. Questo, perchè mancavano le condizioni ·essenziali, imprescindibilmente necessarie per una politica di puro interesse nazionale : mancava, cioè, quella sicurezza di confini naturali che rende indirendenti dai Paesi circonvicini. La Triplice Alleanza era i mezzo con cui l'Italia poteva Biblioteca Gino Bianco

-4perseguire certi suoi interessi non collidenti con quelli degli imperi centrali e parzialmente contrastanti, invece, con le aspirazioni della Francia, senza dover avere la preoccupazione di una intesa aggressiva franco-austriaca, tutt'altro che impossibile. Nel qual caso l'Italia avrebbe, facilmente, potuto avere la peggio causa, sopratutto, le manchevolezze del confine orientale. Il confine orientale ci legava le mani e, nell'interesse d'Italia, ci imponeva la Triplice, sin tanto che non ci si offrisse l'opportunità di acquistare completa libertà di azione, mediante una razionale rettifica delle frontiere. Questa occasione non ci si poteva offrire, che quando l'Austria fosse stata impegnata su varie fronti. Adesso lo è ed in modo gravissimo. Non bisogna assolutamente lasciarci sfuggire il buon momento, senza approflttarna largamente. Tanto più che se l'Italia entra in campo contro l'Austria, questa avrà da combattere non solo con la Russia, la Serbia e l'Italia, ma anche con la Rumenia. M_egliodi così non si potrebbe davvero desiderare. La enorme importanza di un sicuro confine orientale per la vita e l'avvenire della Nazione non è un artificio improvvisato a favore della propaganda per la guerra contro l'Austria, ma è una realtà indiscutibile, preesistente, immanente e, come tale, avvertita e precisata nei suoi termini più chiari da tutta una serie di illustri statisti e militari. Da Camillo Cavour che disse: « Noi non potremo essere tranquilli finchè l'Austria resterà una grande Potenza », - a Giuseppe Garibaldi inneggiante alla sicurezza della Patria mercè la reintegrazione dei confini linguistico-naturali; da Giuseppe Mazzini il quale ammoniva gli italiani a « non dimenticare l'utile e la difesa e a ricostituire i naturali confini d'Italia nell'Istria ed alle Alpi Giulie » - a Costantino Nigra affermante che « l'Austria padrona del Trentino minaccia in un tempo Venezia, Brescia e Milan.o », - a B~ttino Ricasoli, il quale sosteneva «non essere soltanto il Tirolo italiano che ci occorre, ma benanco l'Istria ; senza l'Istria avremo l'Austria sempre padrona dell'Adriatico » va un 'ininterrotta serie di patriotti e di uomini di Stato, unanimemente affermanti la necessità per l 'I tali a di avere i confini naturali, non soltanto per la ragione del principio di nazioB,bhoteca Gino Bianco

-5 nalità, ma anche a tutela della indipendenza della Nazione. Forse, un'importanza ancor maggiore che questi pensieri e queste affermazioni, l'hanno i giudizi dei tecnici militari. Rilevava il Baude: « Il massiccio della Alpi Tridentine gettato contro il centro medesimo d'Italia ha sempre fornito agli imperatori di Germania la base delle loro operazioni contro la penisola ed è stato il grande ostacolo all'indipendenza del Paese. E' ne!le montagne stesse, è nella vallata superiore dell'Adige che si trova il nodo di tutte le strade militari ». Ed il più grande genio militare della modernità, Napoleone Bonaparte, scriveva: « Palmanova non rende padroni dell'Isonzo; l'Alpe Giulia è il compimento del possesso del Friuli » e « non sarebbe l'Austria esclusa dall'Italia senza che la linea dell'Adige fosse portata all'Alpe Giulia. >> Ed ancora: L'Istrie l'imporle par la convenance et par la valeur intrinsèque de beaucoup sur la Lombardie ». Ai quali giudizi del sommo stratega si uniscono con unanime ed illimitato consenso, anche i critici militari modernissimi. Uno d~i quali, il colonnello A. Tragni, giunse, in una densa monografia su « Il confine orientale d'Italia », alle conclusioni seguenti: « In caso di conflitto, l'Austria inizierebbe le operazioni di/ ensivamente nel Trentino; off ensivamente, col grosso delle forze traverso all'Isonzo, sullo stesso fronte, già tanto duramente provato, più d'ogni altro, nella storia d'Italia ». Il Barone è dello stesso avviso. I pareri che siamo venuti qui riproducendo dicono tutti, con compatta unanimità non poter essere l'Italia veramente e completamente libera, sicura, indipendente, fin tanto che l'Austria penetrerà in Italia con quel minaccioso cuneo che è il Trentino e da quella enorme porta spalancata che è J' attuale confine dello Iudri, il quale, attraverso le belle pianure veneto-friulane, si compiace quasi di favorire le incursioni nemiche sin dentro alla valle padana, al cuore più sensibile della economia nazionale. Con gli attuali confini, l'Italia è in balìa dell'Austria, la quale domina militarmente le nostre terre. E, quando si hanno le spalle scoperte, non è consentito di perse-· guire una politica veramente nazionale, egoisticamente B•blioteca Gino Bianco

-6nazionale. Il paese non può avere aspirazione più alta, più grande di questa : essere sicuro, essere padrone in casa propria. Anche se, per il raggiungimento di tale meta, si dovessero sopportare gravi perdite economiche, si dovesse incorrere in un permanente disagio; non ci sarebbe un momento da esitare: qualunque sacrificio piuttosto che essere alla mercè dello straniero. « Salus publica, suprema lex ». Fortunatamente, invece, le necessità strategiche dell'Italia coincidono con le necessità economiche e con le necessità politiche. Non c'è verun dissidio fra le tre cose, ma anzi una mirabile armonia. La sicurezza delle frontiere con i conseguenti spostamenti territoriali, si accorda completamente con i bisogni della economia nazionale, dell'agricoltura come delle industrie, del commercio come della navigazione. E l'espansione economica d'Italia ed il suo rinvigorimento marittimomercantile accresceranno il prestigio politico internazionale dello Stato, il quale sarà potentemente rafforzato dalla sicurezza dei confini naturali, i soli davvero capaci di chiudere per sempre l'era della politica remissiva e di inaugurare un fulgido periodo di sano e vitale imperialismo italiano. Le ragioni negative, per le quali, nell'interesse del suo avvenirepolitico ed economico, l'Italia deve Intervenire contro l'Austria. Supremi motivi strategico-militari impongono la guerra contro l'Austria. Ciò fu precedentemente dimostrato. L'ampiezza delle rettifiche territoriali indispensabili per la sicurezza militare della Patria e la loro importanza politico-economica ci esonerano dal discutere l'eventualità di una cessione spontanea, affatto inammissibile. B'bliotoca Gino Bianco

-7Anche ragioni politico-economiche esigono, dal punto di ista italiano, la disfatta dell'Austria. Queste ragioni son di duplice ordine : negative e positive. Negative in quan o l'interesse d'Italia richiede che l'Austria non abbia o non\faccia una determinata cosa; positive, in quanto l'Italia ha bisogno di avere o di fare alcunchè per il suo avvenire economico-politico. Comin'ciamo dalla parte negativa del problema. Se l'Austria vincesse, o meglio se vincessero gl'imperi centrali causa iÌ non intervento dell'Italia nel conflitto ... In tal caso, è quasi certo che l'Austria-Ungheria si ingrandirebbe a spese della Serbia. Delle conseguenze di un siffatto ingrandimento austriaco per l'Italia si parlerà più tardi.Ciò che importa rilevare già fin d'ora è che se anche non intaccasse territorialmente la Serbia, la Monarchia degli Asburgo, vittoriosa, acquisterebbe un vero predominio nei Balcani. Orbene, un esaurimento della Serbia indebolirebbe altresì la posizione dell'Italia di fronte all'Austria-Ungheria. Infatti, finchè c'era ìa Serbia pronta a gettarsi contro ali' Austria-Ungheria alla prima occasione in -cui questa si fosse trovata implicata in un conflitto contro l'Italia, noi potevamo contare su di un notevole coefficente autonomo indiretto per la nostra difesa. Il giorno in cui esso venisse a mancarci, noi ci troveremmo « eo ipso » in condizioni notevolmente peggiori, anche perchè l'Austria-Ungheria vittoriosa dopo l'immane conflitto attuale, avrebbe ben altra forza di prima. Di più, una volta domata la Serbia - centro del1'irredentismo sud-slavo - l'Austria dovrebbe inaugurare nelle sue province meridionali popolate di slavi, una politica più decisamente favorevole ad essi per tenersene favorevole la massa numerica. E ciò accadrebbe, come già avanti la guerra ed in misura ancor più grave di allora, a spese delle province italiane, contro le quali verrebbe scatenata la marea delle ambizioni slavo-austriache. Noi possiamo ancora considerare « mare nostrum » l'Adriatico, perchè Trieste, Fiume, Zara, Spalato, ecc., sono città italiane, sebbene sotto giogo straniero. Ma il giorno in cui si rinunciasse definitivamente al possesso delle coste orientali (e questo ognun lo capisce, accadrebbe qualora non si approfittasse di quell'occa~ione unica ch'è Biblioteca Gino Bianco

-8- / l'attuale guerra mondiale) l'Italia non dominerebbe s - I'Adriatico, ma ne sarebbe dominata, giacchè Trie e, Fiume ed i principali porti dalmati dispongono di na marina mercantile e di un volume di traffici ~up iore a quelli uniti di Venezia, Ancona, Bari, Brindisi degli altri porti minori della costa adriatica del Regno. In breve volger d'anni l'eroica resistenza - efelle città italiane d'oltre confine crollerebbe innanzi alY( violenza slavizzatrice del Governo austriaco. L'Austria, che ha intimorito tante buone anime italiane col fantasma del pericolo panslavista, è, viceversa, la più formidabile slavizzatrice che esista al mondo. Inoltre un'Austria-Ungheria vittoriosa significherebbe, molto probabilmente, come si disse, l'allargamento delle regioni slave della Monarchia danubiana, significherebbe l'avviamento di questa verso la forma trialistica accarezzata dal giustiziato arciduca Francesco Ferdinando, significherebbe la creazione di. un centro di attrazione jugo-slavo austriaco su tutto lo slavismo balcanico, significherebbe, in fine, acceleramento del processo slavizzatore delle provincie italiane d'Austria. Secondo il programma di Corte trialistico, l'AustriaUngheria si suddividerebbe in tre Stati, uniti fra loro da accordi, dall'esercito comune e dalla persona del monarca: l'Austria, comprendente i paesi tedeschi, il Trentino e la Boemia; l'Ungheria con annessa la Transilvania rumena; il regno di Croazia, con la capitale a Zagabria, sarebbe formato dalla Bosnia, Erzegovina, Croazia, Slavonia, Carniola, Stiria meridionale, parte della Carinzia, Dalmazia, Fiume, Istria, Trieste, Friuli orientale. Composto questo grande Stato slavo-austriaco, in cui sarebbero comprese anche, come si è dòtto, le regioni italiane da slavizzarsi, la monarchia asburghese non avrebbe più da temere alcun movimento unitario-separatista jugoslavo, poichè, dopo la eventuale vittoria sulla Serbia, questa verrebbe aggiunta, essa pure, al regno di Croazia. Lingua ufficiale, anche nelle provincie italiane del regno austriaco di Croazia, il croato; nelle scuole di Trieste, dell'Istria, ecc., si insegnerebbe in croato; in tribunale si discuterebbero le cause in croato; nelle chiese si predicherebbe in croato. In altra parola, tutta la Venezia Giulia verrebbe artificialmente croatizzata. Parrebbe uno Biblioteca Gino Bianco

-9scherzo di cattivo gusto, ma è invece, purtroppo, una realtà di intendimenti, poichè già adesso, avanti la costituzione del regno austriaco di Croazia, quando ancora c'era il pericolo dell'attrazione serba sugli jugo-slavi dell'Austria, il Governo austriaco slavizzava rapidamente con ogni sforzo la Venezia Giulia. Ecco come : non assumeva che quasi esclusivamente impiegati slavi in tutti gli uffici dello Stato, importava continuamente operai slavi per i lavori pubblici (con la sola apertura della nuova linea ferroviaria dei Tauri il Governo austriaco introdusse in un giorno a Trieste 700 famiglie di ferrovieri sloveni), imponeva agi 'imprenditori privati di non assumere che addetti slavi, ordinava a tutte le imprese sovvenzionate dallo Stato (società di navigazione, ferrovie, industrie, ecc.), il licenziamento dei cittadini italiani, intimava al Comune l'allontanamento degli impiegati italiani (decreti di Hohenlohe), bandiva dalla Venezia Giulia a centinaia alla settimana i regnico!i rei soltanto di parlare italiano, creava scuole slave in terre prettamente italiane, ostacolava il sorgere di istituti d'insegnamento italiani costituiti col sacrificio finanziario dei privati cittadini italiani, impediva alla Lega nazionale 1'estrinsecamento d_èlsuo legalitarissimo programma scolastico, scioglieva le associazioni italiane e ne incarcerava le direzioni, sostituiva, col mezzo di un vescovo slavo nominato in realtà dall'imperatore invecè che dal papa, al clero italiano un clero slavo, alle funzioni religiose in latino ed italiano funzioni in glagolito, favoriva il sorgere di banche slave in terra italiana per l'asservimento finanziario degl 'italiani, e pretendeva dalle società per azioni (le -1uali per sorgere devono chiedere una concessione a Vienna) che non assumessero addetti italiani minacciando in caso contrario di negar loro la « concessione », metteva ii Comune in imbarazzi, non sanzionandogli le entrate necessarie, così che questo non poteva più funzionare; falsificava i censimenti della popolazione italiana al fine di poter giustificare in tal modo la politica antitaliana e slavizzatrice da esso seguita. Quanti dicono: « Bisogna salvare l'Austria per salvarci dal pericolo slavo » o sostengono la più assurda sçioçch~ZZ? o sono in malafed~. Da una vittori? d~ll'A~- B•blioteca Gino Bianco

- 10 - stria, lo slavismo sud-slavo non uscirebbe schiacciato, ma ingigantito. L'Austria, rinvigorita e ritemprata, creando il regno di Croazia, che segnerebbe la fine della ita• lianità delle coste orientali d'Italia, minaccerebbe l'Italia nella sua stessa esistenza, poichè lo jugo-slavismo austriaco non si accontenta, come quello serbo, della parte meridionale della Dalmazia, ma stende le sue mire sugli slavi del Friuli, su Udine che chiama « Videro », su Venezia che nomina, mi pare, « Benedtke ». Slavizzate Fiume, Zara e TrieSh\ - ed il processo sarebbe rapidissimo, poichè l'immane sforzo di resistenza, affranto per le lunghe lotte del passato, indebolito per il sanguinoso salasso di gioventù italiana distrutta sui campi di Galizia e di Bosnia per una causa non sua, annientato dalla delusione per la dimenticanza traditrice degli italiani del regno, s'infrangerebbe in men che non si creda, - slavizzate,dunque, Trieste, Fiume, Zara e Gorizia, l'Adriatico diventerebbe un mare prevalentemente slavo, quasi un gran lago slavo-austriaco. Allora, nell'Adriatico, l 'Ita- !ia occuperebbe una posizione ancora più secondaria che nel Mediterraneo, dove non potrebbe farsi valere, essendo sempre minacciata a tergo da quel cuneo che è il Trentino, da quella gran porta aperta che è il confine dello Iudri. Inoltre chi può mai escludere che, cessata la guerra, l'Austria non concluda speciali accordi mediterranei colla ·Francia, ai quali anelavano, prima del conflitto europeo, i giornali viennesi più autorevoli (il Neues Wiener Tageblatt, la Neue Freie Presse, ecc.), e sui quali si espressero non sfavorevolmente anche uomini politici francesi, affermanti non sussistere reali contrasti d'interesse fra la Francia e l'Austria-Ungheria? · Non solo politicamente, ma anche commercialmente l'Italia, dopo la vittoria dell'Austria, sarebbe sminuita. Trieste, Fiume, Zara, Metcovich, Spalato slave darebbero una impronta del tutto nuova ai commerci dell'Adria- , tico. Trieste slavizzata diventerebbe il centro irradiatore degli scambi commerciali con i Balcani e con ciò di influenze jugo-slave austriache in quei paesi. Impossessandosi della Serbia. e del Montenegro o di parte dei territori di questi Stati! l'Austria-Un~heri~ Biblioteca Gino Bianco

- 11 - restringerebbe il campo balcanico aperto ai commerci ed alle produzioni d1ìtalia, danneggiando così, non insensibilmente, la nostra economia nazionale. Annessa parte della Serbia al regno di Croazia, I' Austria-Ungheria, in possesso anche di Trieste e di Fiume, non avrebbe alcuno motivo per ostacolare la ferrovia trasversale Danubio-Adriatico, ma anzi ne promuoverebbe la sua costruzione, poichè potrebbe averla nelle sue mani e quindi sfruttarla ai propri fini. Con opportuni congegni di tariffe, l'Austria-Ungheria, disponendo della ferrovia Danubio-Adriatico, potrebbe monopolizzare tutte le correnti di traffico balcaniche che correranno nell'Adriatico, incanalandole verso i suoi porti (in breve ora slavizzati) di Trieste e di Fiume, con gran pregiudizio per I'I tali a, il cui commercio sarebbe così tagliato fuori. Sarebbe allora per sempre esclusa una efficace penetrazione economica italiana nei Balcani, con grave perdita specialmente per Bari e Venezia, i due porti più direttamente interessati. L'Austria-Ungheria vittoriosa soffocherebbe nazionalmente, militarmente, politicamente e commercialmente l'Italia. vantaggi positivi di m1 intervento Italianocontro l'Austria. E' fuori di dubbio che un intervento italo-rumeno contro l'Austria provocherebbe la definitiva sconfitta degli imperi centrali. Lo ammettono implicitamente persino l'Austria e la Germania; lo affermano in modo assoluto e unanimemente critici militari autorevolissimi. Così, per esempio, il colonnello Barone, in uno studio analitico sintetico sulla situazione dei due gruppi belligeranti, si esprimeva recentemente così : « Che vorrebbe dire 1'abbandono della neutralità da parte nostra? Esso costituirebbe assai probabilmente il tracollo della bilancia. Il che faBiblioteca Gino B1c;1nco

- 12 - cilmente si intende. 1 ° In terra - a parte l'incitamento che potrebbe venirne ad altri paesi finora neutrali, come la Rumneia, ad entrare nella lotta, anch'essi contro gl'Imperi centrali - in terra gli effetti sarebbero questi : l'esercito austriaco, costretto a far fronte anche verso di noi, e quindi a dividersi ancora, e a rimanere perciò in condizioni di assoluta inferiorità, dovunque; tutto il peso, perciò, della guerra sulle due fronti, o la grandissima parte di esso, sulle spalle della Germania, impotente a reggerlo e ad ottenere, ancor meno allora, risultati decisivi sull'uno o sull'altro teatro. 2° In mare : un 'enorme prevalenza delle squadre alleate su quella austriaca nell'Adriatico; possibilità di combinare azioni di terra con operazioni di mare per la distruzione completa della potenza navale austro-ungarica; opportunità per l 'Inghilterra di concentrare ancora maggiori mezzi nel mare del Nord e di ricevervi in tempo non lungo anche il concorso delle forze navali francesi. 3° E per quanto riguarda i rifornimenti ~ specie quelli veri e propri di guerra - vorrebbe questo fat_to dire la cessazione completa del respiro degli Imperi centrali attraverso questo gigantesco polmone italiano, al quale, appunto perciò, essi tengono tanto. E' dunque, arrischiato concludere da tutto questo che il nostro intervento contro gli Imperi centrali sarebbe il vero e proprio tracollo della bilancia a loro danno? » Le conclusioni del Barone non potrebbero esser più esplicite e la competenza dell'illustre critico militare non permette di dubitarne. La sconfitta dell'Austria e la conseguente vittoria dell'Italia porterebbero seco non solo la reintegrazione della patria nei suoi confini naturali e, quindi, la completa sicurezza delle frontiere; non solo il possesso del Trentino, della Venezia Giulia, con i porti di Trieste e Fiume, e di parte della Dalmazia; non solo quell'assetto dell'Albania che sarèbbe il più confacente agli interessi italiani; non solo quella spontaneità ed intensità di rapporti commerciali italo-balcanici che sarebbero la naturale conseguenza della costruzione di una ferrovia Danubio-Adriatico; non solo la completa ed assoluta padronanza militare sull'Adriatico, mercè il possesso di Pola, di isole e di porti della Dalmazia e di Vallona; non Biblioteca Gino Bianco

- 13 - solo un più grande campo libero d'espaqsione commerciale italiana nei Balcani grazie alla sottrazione della Bosnia e d'altre regioni alla economia austriaca ed al loro incorporamento nell'economia serba, montenegrina, ecc., ecc. ; ma assicurerebbe altresì all'Italia il dominio economico sull'Adriatico, renderebbe tributaria del commercio italiano tutta l'Europa centrale, dalla Svizzera alla Germania meridionale, all'Austria, all'Ungheria, alla Croazia; consentirebbe un fortissimo incremento di prestigio economico e politico nei Balcani e nel Levante, favorirebbe\ un intenso spiegamento d'influenze e di interessi economici nell'Asia Minore, in cui l'Italia potrebbe vantare maggiori diritti; assegnerebbe all'Italia il primato mercantile marittimo e, di converso, anche politico nel Mediterraneo. E' quanto dimostreremo con dati e con fatti nelle pagine seguenti. Ma prima ancora di passare a siffatta dimostrazione, sarà necessario di sfatare un mito diffuso ad arte, con molta abilità, dagli austriaci, i quali se ne ripromettevano la rinuncia italiana al possesso della Venezia Giulia: il mito, cioè, della decadenza economica di Trieste sotto l'Italia; il mito della superfluità del porto di Trieste per la economia italiana. È assolutamente falso che la prosperitàeconomica · di Trieste sia dovuta al• l'Austria. Gli austriaci, di là e di qua del confine, dicono : Trieste è divenuta un grande emporio commerciale, perchè l'Austria ne fece il porto dell'impero, perchè l'Austria la creò porto franco, perchè l'Austria spese somme :enormi per il suo sviluppo portuale, perchè l'Austria si dette una cura specialissima dell'incremento delle comunicazioni ferroviarie fra Trieste ed il suo hinterland, ecc., ecc. Biblioteca Gino Bianco

- 14 - Nulla di più falso : storia e realtà presente smenti- · scono, dalla prima all'ultima parola, questi miti austriaci. Trieste non data nè da ieri, nè da un secolo fa, come emporio importante per i traffici fra l'Europa di mezzo, il Levante e l'Oriente. Dapprima, avanti Roma, fu il centro commerciale dei Carni ed intrattenne intense relazioni d'affari con le città greche e fenicie. Regnando Roma, Trieste ebbe fiorentissimi traffici, un'agricoltura sviluppata, estese industrie, due porti, cantieri, sviluppati rapporti marittimi. Con la decadenza di Roma e nel periodo della trasmigrazione dei popoli i commerci di Trieste, che fu più volte distrutta e sempre risorse, decrebbero, per riaprirsi, nonostante le guerre, ad espansioni ed ardimenti all'epoca del Comune libero. La fine dell'indipendenza di Trieste, intorno al millequattrocento ( 1382) è contrassegnata da un periodo torbido di lotte insurrezionali, che durano parecchi decenni e sono soffocate nel sangue e col fuoco dal comandante delle milizie imperiali Luogar, cui si riannoda il lugubre ricordo della « distruzione di Trieste » nell'anno 1469. All'influenza nefasta che sui traffici di Trieste esercitano questi sommovimenti, le altre lotte, le gravose restrizioni delle libertà mercantili aggiunge il suo contributo deprimente lo spostamento delle vie mondiali del commercio : le scoperte marittime dei secoli XV e XVI portando il centro di gravità dei traffici dal Mediterraneo alle coste più occidentali d'Europa, verso le quali si avvia e sempr~ più s'intensifica la principale corrente degli scambi commerciali del mondo. Ma neppure durante questo grave periodo di decadenza l'importanza mercantile di Trieste scompare del tutto, tanto che alla metà del secolo decimo settimo si parla di Trieste, come dell'emporio commerciale dell'Europa centrale bassa. Più tardi, spazzato il mare dai pirati, libera la navigazione per tutto l'Adriatico; cadute, sotto l'influenza delle nuove teorie mercantilistiche, le barriere doganali interne fra terra e terra, fra provincia e provincia, fra città e città; risorta l'importanza commerciale del Mediterraneo per il taglio del- ! 'Istmo di Suez, costruite le ferrovie che potentemente favoriscono l'accrescersi dei traffici; ridotte al minimo le spese di trasporto e moltiplicate ali 'infinito le possibilità Biblioteca Gino Bianco

-15di spedizione con l'introduzione delle macchine a vapoi'è nei battelli, il commercio di Trieste si svilui:pa potentemente, per merito anch~ dell'intraprendenza dei suoi mercanti e dei suoi armatori. La storia ha dimostrato falso l'asserto dell'origine austriaca della floridezza commerciale di Trieste. Converrà ora esaminare come stia, in realtà, la faccenda di Trieste, porto franco. Basterebbe il fatto che, non essendo più porto franco, Trieste è ancor più importante, commercialmente, di una volta per togliere molta forza all'argomentazione. Ma vediamo un po' più davvicino come stessero le cose. Per le innumerevoli vessazioni fiscali e daziarie nel Medio Evo, il commercio era da pertutto veramente assai esiguo. Orbene, per rimediare a così deplorevole stato di cose, vi fu chi pensò di esonerare determinati porti dal pagamento di dazi, così che gli arrivi e le partenze delle merci non fossero ostacolate e potessero liberamente effettuarsi. Livorno, per l 'acume dei Medici, fu il primo porto franco : nel 154 7. La concorrenza che, per le sue condizioni di libertà di traffico, Livorno potè muovere alle altre piazze mercantili, accaparrandosi gran parte del commercio col Levante, indusse a far diventare porti franchi anche altre importanti città marittimo-commerciali del Mediterraneo: Genova nel 1595, Napoli nel 1633, Venezia nel 1661, Marsiglia nel 1669, Gibilterra nel 1706 e Port Mahon nel 1718. Di fronte a questo diffondersi di porti franchi nel Mediterraneo e nell'Adriatico Occidentale, i porti dell'Adriatico Orientale non potevano essere più a lungo mantenuti nelle loro condizioni d'inferiorità e cosi Carlo VI si decise a rendere porti franchi (alla fine del secondo decennio del secolo decimo ottavo) Trieste, Fiume, Martinschizza, Buccari e Portorè ed infine (nel 1785) Segna e Carlopago. Soltanto Trieste e Fiume acquistarono una grande importanza, gli altri porti dell'AustriaUngheria, nonostante fossero franchi, non seppero elevarsi oltre il rango di minuscole cittadine. E' ovvio pertanto che se, a parità di condizioni con moltissimi altri porti concorrenti dello stesso Stato, Trieste e Fiume primeggiarono in modo schiacciante, ciò si deve, anzitutto, alla loro posizione geografica e poi, all'abilità trafficatrice dei loro commercianti. Biblioteca Gino Bianco

- 16 - ball 1istituzione del porto franco fino agli ultirni cfn. quant'anni, Trieste fu completamente negletta, ignorata dal Governo di Vienna, che non si curava di dotarla nemmeno dei più necessari impianti. L'hanno ammesso anche gli scrittori più aulici e più austriacamente ortodossi che il clima viennese abbia prodotto : il von NeumannSpallart; il von Beer nella sua voluminosa « Oesterr. Handelspolitik im neunzehnten Jahrundert », il quale scrisse: « Nulla è più caratteristico per lo spirito delI'amministrazione austriaca che la sua inerzia nei riguardi di Trieste, la quale fu quasi totalmente trascurata »; il Grossmann, che in un 'opera uscita quest'anno dal titolo « Oesterreichs Handelspolitik » (in cui, si noti bene, tende a scolpare l'amministrazione austriaca dal- ! 'accusa di essere stata la causa del regresso economico della Galizia), si esprime circa Trieste - confortato anche dalle opinioni e dai giudizi di Mayer, Srbik, ed altri scienziati - nel modo seguente : « Solo di tanto in tanto, contro la propria volontà e costretti dagli avvenimenti, i governanti di Vienna volgevano uno sguardo all'Adriatico. Ci si ricordava di Trieste soltanto nei momenti del pericolo e degli insuccessi diplomatici nella politica estera, quando sorgeva minaccioso un turbamento delle vie commerciali verso Nord ». Ciò premesso, converrà ora esaminare l'atteggiamento dell'Austria di fronte a Trieste, nei riguardi portuali, dei trasporti, ed economico-daziari. Fino al secolo XIX, in fatto di impianti portuali, Trieste stava meglio sotto il dominio di Roma che sotto quello austriaco : e non v'è la benchè minima esagerazione nel confronto e nel- ! 'affermazione. Persino in una pubblicazione ufficiale del Governo marittimo di Trieste, intitolata « Der neue Hafen », si riconoscono intollerabili le deficienze del porto di Trieste fino al 1884 (si noti bene l'anno!), poichè appena in quell'anno fu terminata, sul modello di Marsiglia, la costruzione di un porto che corrispondesse al concetto moderno che si ha di questa istituzione. Ma, strane conseguenze dei ritardi, il porto che avrebbe dovuto essere compiuto nel 1873, appena inauguratosi nel 1884, si dimostra non solo insufficiente a capire il traffico marittimo accresciuto, ma altresl inadatto ad accoB:blioteca Gino Bianco

-17gliere le navi moderne, nel frattempo considerevolmente aumentate di tonnellaggio. Dopo infinite insist~nze e pressioni della Camera di Commercio di Trieste e di altri enti cittadini sul Governo (che ha l'amministrazione del porto), affinchè ottemperass~ ai suoi obblighi, il porto avendo diritto di non rimanere in condizioni di troppa inferiorità di fronte ai concorrenti, il Governo di Vienna si decise ad attuare un programma di lavori, ora in buona parte compiuti. Ma se confrontiamo l'attività dell'Austria per il suo unico porto con quanto fecero gli altri paesi, sapremo apprezzare al suo giusto valore l'importanza del1' « intervento governativo austriaco a favore di Trieste ». La Francia spese per i suoi porti circa un miliardo di franchi e si propose un anno fa di spendere allo stesso scopo altri 643 milioni; il regno d'Italia spese per i suoi porti circa un miliardo di lire e deliberò di spi;:11dere parecchi altri milioni ancora; per la sola Genova si spesero finora nel Regno d'Italia 235 milioni di I:,·e (.:!d altri rilevanti lavori sono previsti); per i lavori portmzli e per i magazzini di Trieste si spesero e si progettava di spendere dal 1868 primo inizio dei lavori, al 1916, compreso il contributo del Comune, appena 116 milioni di corone, dunque meno della metà delle spese sostenute dal Regno d'Italia per la sola Genova. In materia di politica dei trasporti l'Austria non fece di più di quanto facesse per il Porto. L'apertura del canale di Suez avrebbe potuto essere per Trieste un elemento del più prospero e rapido sviluppo commerciale. Invece, la favorevole influenza del canale di Suez andò affievolendosi per effetto della concorrenza che Amburgo, munita di vie navigabili (fiumi e canali) e di linee ferroviarie, muoveva a Trieste, la quale disponeva di deficienti, anzi solo primitive comunicazioni per via di terra. Del resto, fin dal 1851, i porti del Mare del Nord, ed in prima linea Amburgo, possedevano una congiunzione ferroviaria che li metteva in via diretta col centro della monarchia austro-ungarica e anche più giù, fino a Lubiana, mentre Trieste doveva ritirare le merci dall'inJerno e trasportarle con carri e cavalli! Appena nel 1857 fu costruito il tratto Trieste-Lubiana e la compagnia che gestiva questa linea impose tariffe cosi elevate da Biblioteca Gino Bianco

- 18 - rendere impossibile a Trieste di sostenere la concorrenza dei porti settentrionali. Dopo oltre un cinquantennio di continue petizioni dei triestini, e soltanto per considerazioni d'ordine militare, il governo austriaco si decise a costruire una più razionale linea ferroviaria da Vienna a Trieste che fu compiuta ed aperta al traffico appena qualche anno fa (linea dei Tauri). Ma ecco che il beneficio che ne sarebbe dovuto derivare al commercio triestino è menomato dalla irrazionale ed antitriestina politica delle tariffe ferroviarie (in Austria grandissima parte della rete ferroviaria è gestita dallo Stato). Ciò fu constatato dallo stesso senatore austriaco Escher, il quale in un discorso alla Camera alta di Vienna pronunciò le seguenti testuali parole : « Anche dopo la costruzione della ferrovia dei Tauri, le condizioni sono le seguenti: la sfera è'azione e d'influenza dell'emporio triestino trova nella direzione verso l'Europa Centrale una barriera all'altezza di Praga, barriera che va da Praga al confine boemo-b<1varese, oltre Norimberga e Monaco, fino al lago di Costanza. E' al di là di questa barriera commerciale che si trovano i territori ricchi, popolosi, industriali; ma in essi la sfera d'attrazione dell'emporio triestino non può entrare, essi gravitano verso Amburgo, Anversa, Rotterdam ed il grande traffico s'incanala per questi tre grandi porti nordici, nonostante Amburgo sia, in confronto di Trieste, lontano da Suez più di 2000 miglia e Rotterdam oltre 1500 miglia marittime. Perchè le merci preferiscono la via più !unga alla più breve? Si tratta di tariffe ». Neppure nei riguardi d~lla navigazione l'Austria seppe razionalmente assecondare gli sforzi degli armatori triestini, istriani e dalmati. Basti riflettere che in occasione della presentazione degli statuti del Lloyd austriaco per la approvazione governativa, il presidente di polizia di Trieste sottoponeva all'imperatore un rapporto, in cui manifestava il timore che sotto il manto dell'impresa economica si celassero condannevoli scopi politici ed il Governatore di Trieste dichiarava rhe l'impresa era un giuoco, « eine Spielerei ». E veniamo infine all'influenza esercitata dal regime doganale austriaco sulle sorti commerciali di Trieste. li regime doganale del 1906 soffocò alcuni redditizi e Biblioteca Gino Bianco

- 19 - fiorentissimi rarni del commercio triestino, quali ad esempio quello dell'olio, delle granaglie, dei vini, ecc. La tariffa doganale austriaca, contiene però, alcune disposizioni favorevoli per Trieste : cioè i così detti dazi preferenziali. Ecco, anzitutto come e perchè vennero introdotti. I primi trattati di tariffa dell'Austria erano costruiti sulla base del movimento commerciale con la Germania e gli Stati del! 'Europa Occidentale : perciò riuscivano più favorevoli all'importazione via terra che a quella via mare. Per rimediare a questo svantaggio in danno dei porti indigeni furono più tardi introdotti i dazi preferenziali che servirono anche come arma nella guerra doganale con la Germania. S'è detto che il risultato dei dazi preferenziali fu favorevole a Trieste, ma non bisogna esagerarne l'importanza e credere che il commercio di Trieste si basi esclusivamente sui dazi preferenziali. Anzitutto sono pochissime le merci che ne fruiscono, appena una decina. Di esse la maggior parte presenta scarso interesse e non partecipa che con una percentuale molto bassa al commercio triestino. Soltanto il commercio del caffè - fra i mercati di articoli favoriti da dazi preferenziali - è assai sviluppato e di notevole importanza per la piazza. Però neanche qui tutto si deve ai dazi preferenziali : il caffè destinato al consumo di Trieste e del suo « hinterland » immediato prenderebbe la via di Trieste anche se non ci fossero i dazi preferenziali. Poi c'è il commercio di riesportazione col Levante e con altri paesi, e qui i dazi preferenziali nQI) c'entrano. Insomma si può calcolare che appena la metà del coqimercio triestino del caffè è dovuta ai dazi preferenziali, cioè intorno a 80 milioni di corone di valore su di un traffico complessivo di 2.8 miliardi di corone : appena il tre per cento del totale valore del movimento commerciale triestino! · Tutti i dati ed i fatti sin qui esposti dimostrano : che Trieste non è uria creazione artificiale dello Stato austriaco, ma si è sviluppata per virtù propria. Posizione geografica favorevole e aoilità trafficatrice dei commercianti : ecco il filo rosso che unisce e coordina in armonica serie, i successivi episodi della fortuna commerciale di Trieste, la quale è il naturale e semplicissimo prodotto di Biblioteca Gino Bianco

-20una posizione ben addentro nella parte più nordica del1'Adriatico, che s'insinua nel centro d'Europa. Trieste ha tutte le caratteristiche del porto che doveva spontaneamente, inevitabilmente svilupparsi ed assurgerè ad una determinata fortuna. L'osservazione della carta geografica ci rivela questa predèstinazione naturale di Trieste a divenire centro importante di traffici. Tre sono, infatti, i punti marittimi dell'Adriatico che offrono la massima convenienza pel traffico da e ppr l'Europa Centrale bassa : Trieste, la più settentrionale e la più centrica, per la parte centrale della zona; Vienezia per la parte occiqentale; Fiume per la parte orientale. Sono i tre punti d'irradiazione di maggior tornaconto per le rispettiVè zone commerciali. Trieste, insomma, deve la sua fortuna economica alla favorevole posizione geografica. E questa, nessun' Austria al mondo riuscirà a modificare, quando Trieste e Fiume apparterranno all'Italia, poichè il commercio dell'Europa di mezzo, avendo da spedir merci nel bacino mediterraneo orientale o da ritirarne, non farà percorrer ad esse, soltanto per i begli occhi dell'iroso governo austriaco, quelìe due mila miglia di più che, in confronto al percorso via Trieste, son necessarie per i trasporti via Amburgo o Rotterdam. Neppure è concepibile che l'Austria possa fare una politica ferroviaria ostile a Trieste italiana, per il semplice motivo che questa politica ostile non potrebbe avvenire che con danno economico e finanziario continuo, ricorrente per l'amministrazione austriaca, la quale da una politica antinaturale delle sue ferrovie nei riguardi di Trieste avrebbe perdite· non insignificanti. Le centinaia di milioni investiti nelle congiunzioni ferroviarie di Trieste con l'Austria dovranno pur esser fatte fruttare dal- !' Austria o dai paesi che ne occuperanno il posto e ne assumeranno l'eredità finanziaria, per cui i traffici seguiranno il loro corso naturale verso Trieste. Le considerazioni fatte valere circa le ferrovie dello Stato, calzano, però .in misura ancora maggiore, nei riguardi della ferrovia privata u Suedbahn ». Stacc~ta dall'Austria, insieme con ,Fiume, Trieste manterrà .tutta la sua importanza e la sua 'prosperità. 8,blioteca Gino 81c1nco

- 21 - L'accrescimentodi ricchezza nazionale che andrebbe congiunto alt'annesslone delle terre Irredente. Veniamo ora al valore positivo che le terre irredente rappresentano per la economia italiana. II semplice trapassò di queste regioni all'Italia accrescerà di parecchi miliardi la ricchezza nazionale. Trieste è città, oltre che di commerci, anche di industrie, che forse sono la fonte dei maggiori guadagni per l'emporio e che non subiranno alterazione sensibile dopo l'annessione. Sviluppatissime e perfezionate sono le costruzioni navali. Grandi impianti di alti forni producono alcuni milioni di quintali di ferro manganese all'anno. La fabbricazione delle macchine e le metallurgia danno lavoro a migliaia di operai. Numerosi altri sono gli opifici sorti per la posizione marittima di Trieste: fabbriche di seta, fabbriche di cordaggi, officine di attrezzi per le navi, ecc. Poi ci sono le industrie delle conserve alimentari, le pilature di riso, le spremiture di olii vegetali, gli oleifici, le industrie tessili, gli iutifici, le industrie chimiche, quelle della carta da sigarette, i molini, le fabbriche di linoleum, le industrie della birra, le raffinerie di petrolio, le industrie elettriche. Troppo dovremmo diffonderci volendo enumerare le industrie minori, che a Trieste sono in bel numero e che vengono esercitate sia da società anonime, sia da industriali privati. Poco lungi da Trieste, a Monfalcone, che diventerà fra non molto un sobborgo di Tri~ste, risiedono grandi industrie e stanno sorgendo numerose importanti fabbriche, create persino da imprese nord-americane che ritengono propizio il pun, to per la fondazione di imprese industriali, le quali possano ad un tempo esportare nell'Europa Centrale e nel Levante, con la massima economia di spese di trasporto. Trieste eccelle come piazza di assicurazioni ; essa è il Biblioteca Gino B1c:1nco

22 - centro delle assicurazioni marittime per l'Adriatico ed è la sede principale di una fra le più importanti compagnie di sicurtà d'Europa: le « Assicµrazionì Generali », così dette di Venezia, ma ch'effettivamente sono di Trieste. Esse estendono la loro attività su tutto il mondo ed amministrano capitali di miliardi. Alle « Assicurazioni Generali » fa degno riscontro la « Riunione Adriatica di Sicurtà », altra impr~sa assicurativa di primo ordine. Trieste è il centro dell'organizzazione bancario-commerciale per tutto il Levante. Trieste dispone di 12.270 metri di rive, di larghi impianti portuali, di magazzini e dì hangars magnifici, costruiti dal Comune e dalla Camera di Commercio di Trieste. Trieste ha un reddito netto annuo di oltre cento milioni di corone. Paga allo Stato austriaco, per imposte e gabelle, un contributo annuo di oltre 15 milioni di corone, mentre il bilancio del Comune richiede un'entrata di 23 milioni. Quando le banche triestine, essendovi la minaccia di uno sbarco anglofrancese a Trieste, furono costrette dal Governo austriaco a mandare a Vienna i parimoni mobiliari affidati ad esse. si seppe che il loro ammontare superava il miliardo e mezzo di valore. Complessivamente, la ric:chezza di Trieste, fruttifera e non fruttifera, dovrebbe superare i tre-quattro miliardi di lire. A questa ricchezza di Trieste, che l'economia italiana conseguirebbe per il puro e semplice trapasso della Venezia Giulia al Regno, si aggiungerebbe il valore non piccolo delle fertili proprietà agricqle del Friuli Orientale, notevoli anche per parecchie industrie agrarie, quello della ricca città di Gorizia, quelle dell'Istria, che ha una estesa agricoltura, intensa attività marinara e peschereccia, magnifiche cave di pietra, giacimenti di bauxite per la produzione dell'alluminio, miniere di carbone, ecc., ecc. Fiume, poi, possiede cantieri e silurifici, distillerie, industrie elettriche, segherie, fabbriche di parchetti, industrie delle pietre e del cemento, concèrie, fabbriche di cordami, di carta, pilature di riso, pastifici, molini, manifatture di tabacchi, raffinerie di oli minerali, fabbriche di asfalto, di prodotti tannici, di colori, di materie chimiche, di saponi. Fiume conta numerose banche, una bella marina. Varrìi oltre un miliardo e mezzo, Biblioteca Gino Bianco

- 23 - La Dalmazia è una terra di avvenire, poichè quanto sinora fu fatto in quella regione avvenne nonostante I'opposizione del governo austriaco, che cercava con ogn1 mezzo di ostacolare le iniziative economiche italiane. Comunque, poichè la Dalmazia possiede magnifiche forze d'acqua, so~sero ivi potenti industrie idro-elettriche, fabbriche di carburo di calcio, di calciocianamide, di prodotti azotati. I colossali, ricchissimi giacimenti di marne esistenti lungo il litorale dalmata, consentirono alla Dalmazia di divenire uno dei più importanti centri mondiali per l'industria del cemento, che esporta nell'Egitto e nelle Americhe. Parecchie altre industrie minori, come ad esempio quella del maraschino, hanno conferito una notevole notorietà al prodotto dalmata. Le condizioni economiche della Dalmazia italiana si possono, per quanto irrazionalmente, desumere dal fatto, che la sola, piccola città di Zara, presenta la seguente, meravigliosa ascesa delle elargizioni spontanee a favore della Lega Nazionale : da 1.678 corone nel 1892 a 56.81 O corone nel 1912 ! In un suo recente scritto, il console italiano a Zara, D'Alia, scrive: « L'avvenire della Dalmazia riposa nell'industria e nel commercio. Dato l'eccellente sito e la ottima configurazione, è da prevedere che essa, ricca di porti e di esteso « hinterland », avrà maggiori industrie e più sviluppato commercio e si avvierà quindi ad un avvenire di benessere. Basterà che il governo attui gli svariati progetti che già il provveditore generale Vincenzo Dandolo sottopose alle vedute di Napoleone I. Regolato il corso dei fiumi, prosciugate le paludi, allacciati i paesi interni con strade praticabili, unita la provincia con ferrovie alle provincie limitrofe, ricostituiti i boschi, sfruttate bene le miniere, utilizzate le pietre da fabbrica ed i marmi, resa sempre più razionale l 'agricoltura e la pesca, esteso l 'a.llevamento del bestiame e dei bachi da seta, si arresterà l'emigrazione e crescerà il numero degli abitanti. » In quanto al Trentino, quest'è una terra ricca, di grande avvenire. Fu chiamata nei secoli scorsi la California d'Europa, per le sue abbondanti miniere. Presso Trento v'è il monte Argentario ch'è valutato a tre miliardi gi corone. fin vyrso il 1860 ti Trentino possed~va Biblioteca Gino B1c1nco

- 24 - miniere e ferriere che davano lavoro a migliaia di operai. Furono distrutte economicamente dall'arbitrario distacco del Trentino dal Veneto e dalla Lombardia, i mercati naturali di sbocco per le produzioni trentine, alle quali furono preclusi dalle barriere doganali. Per questo fatto dovettero chiudersi anche le fabbriche di vetro, di cappelli di lana, di magnesia, di zucchero, ecc., ecc. Tutte queste produzioni risorgeranno per altro dopo l'annessione. Adesso il Trentino fornisce vino alla Germania ed alla Svizzera; ha un allevamento di bestiame degno di attenzione; ha una notevole produzione di erbaggi ; produce seta per un valore di dieci milioni ali 'anno. Dato il grande fabbisogno italiano d'importazione di legname, le foreste trentine permetteranno un forte vantaggio ali 'economia italiana. Il Trentino fa concorrenza alla Svizzera per il concorso dei forestieri e possiede celebri fonti di acque minerali. Il Trentino dispone di 250 mila cavalli elettrici di forza idraulica e potrà fornire ali 'industria lombarda tutta l'energia elettrica di cui abbisognerà e per la quale deve ricorrere oggi ai rifornimenti delle centrali idro-elettriche della Svizzera. Il Trentino si presenta adattissimo per la creazione di industrie elettro-chimiche, per la fabbricazione della cellulosa e pasta di legno e per le fabbriche di cemento. La pura e semplice annessione delle terre irredente farà salire di molti, ma molti miliardi la ricchezza nazionale privata d'Italia. Quelche guadagnerannole industrie e l'agrlcoltura dall'annessionedelle terre irredente. Per l'economia italiana, più importante ancora dell'accrescimento di ricchezza automatico inerente al passaggio della Venezia Giulia all'Italia, sarà l'acquisto di uno sbocco not~volissimo per le produ?ioni itali;m~. eh~ t1mto Biblioteca Gino Bianco

- 25 - si affaticano per assicurarsi nuovi mercati. La Venezia Giulia, infatti, rifornita sinora dalle produzioni austriache e tedesche, ricorrerà, dopo l'annessione, soltanto all 'agricoltura ed alle industrie nazionali. Lo stesso dicasi per il Trentino e per la Dalmazia. Allo scopo di chiarir meglio la portata economica del1'annessione di Trieste per le produzioni italiane, considereremo separatamente i rapporti intercedenti fra il possesso della V~nezia Giulia e l'agricoltura, fra quello e le industrie. Ossia, in altre parole, esamineremo quale interesse economico possa avere il mezzogiorno e quale il settentrione d'Italia nella conquista delle terre irredente. Precisiamo gli interessi deJle regioni agricole e marinare d'Italia in genere e del Mezzogiorno in ispecie: 1 ° poter esportare sempre maggior copia di prodotti agricoli a condizioni vantaggiose; 2° sviluppare la penetrazione economica italiana nei Balcani e nel Levante; 3° poter svolgere liberamente l'attività peschereccia ed aver sicuri e lucrosi sbocchi per il suo prodotto. Vediamo, anzitutto, quale sarebbe la probabile ripercussione della guerra attuale su questi interessi, se agli imperi centrali dovesse arridere la vittoria. Se la Germania e l'Austria-Ungheria dovessero vincere, noi assisteremmo molto probabilmente ad un ingrandimento territoriale dell'Austria a spese della Serbia e del Montenegro con le esiziali conseguenze economiche e politiche accennate già prima per la nostra posizione nell'Adriatico, per la nostra penetrazione commerciale nei Balcani e nei riguardi della ferrovia Danubio-Adriatico, il cui sbocco si troverebbe nelle mani dell'Austria. Non ritorneremo su questi argomenti, ma rileveremo soltanto che se gli imperi centrali vincessero, l'unione fra l'Austria-Ungheria e la Germania (che il trialismo jugoslavo della monarchia ausburgica non turberebbe, come non la turbò in passato il dualismo magiaro), cementati dalla fraternità delle armi, diverrebbe sempre più intima e Trieste e Fiume diventerebbero i porti e gli strumenti d'una accresciuta espansione economica dei due imperi nei Balcani e nel- !' Asia Minore, con gravissimo pregiudizio per le esportazioni italiane che già adesso si trovano in condizioni d'inferiorità, poichè più recenti e meno fortemente orgaB•blloteca Gino Bianco

- 26 - nizzate. La vittoria imprimerebbe ali 'espansione economica degli imperi centrali, facilitata anche dalla alleanza con la Turchia, un ritmo più accelerato ed efficace ed il commercio estero italiano ne avrebbe non insensibile menomazione. Non basta. Già adesso l'Austria-Ungheria, per ret~ di navigazione e di commercio, ha importanza preminente nell'Adriatico. Dopo la vittoria, accentuatosi il « Drang nach Osten » e sviluppatisi gfi appetiti mediterranei degli imperi centrali, questi determinerebbero un incremento celerissimo delle costruzioni navali, da guerra e mercantili, per la navigazione austro-ungarica ed aumenterebbero considerevolmente il commercio marittimo dell'Austria e della Germania nell'Adriatico, letteralmente schiacciando la più debole e meno sviluppata marina mercantile italiana. Allora, anche le nostre piccole ma non ingloriose compagnie di navigazione adriatiche dovranno darsi per vinte dinanzi ali 'inasprita concorrenza austriaca. Con quale danno per il commercio italiano, ognuno ben lo capisce. Ma non basta ancora. L'Austria-Ungheria ha l'intenzione, ed i verbali della « Zentralstelle » per la politica commerciale possono documentarlo, d'introdurre, in occasione della rinnovazione dei trattati di commercio, cioè di qui a due anni (.nel 1917), un dazio d'entrata sugli ortaggi italiani di corone venti per q_uintale. Vale a dire si vieterebbe l'importazione in Austria-Ungheria degli ortaggi italiani, che dal dazio ne avrebbero più che raddoppiato, talvolta, anzi triplicato, il prezzo. Succederebbe quello che accadde con i vini, quando fu abolita la clausola. Le frutta e gli ortaggi italiani sarebbero completamente tagliati fuori dei mercati di Trieste, Fiume e dell'interno dell'Austria. Del resto, sia detto fra parentesi, 1'Austria già adesso osteggia nel modo più perfido e palese i prodotti italiani. Mentre favorisce con ogni mezzo l'importazione in Austria degli agrumi spagnuoli, ai quali concede facilitazioni ferroviarie, di magazzinaggio da parte dei Magazzini Generali, ecc., fa usare il peggior trattamento che si possa immaginare agli agrumi italiani, fa. cendoli scaricare in malo modo, esponendoli alle intemperie, lasciandoli giacere a lungo nei vagoni, ecc., ecc., al fine di farli arrivare deperiti, cattivi e guasti ai luoghi Biblioteca Gino B1dnco

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