Gaetano Salvemini - Guerra o neutralità?

N. 1 . 2 gennaio 1915 PUBBLICAZIOSNETTIMANALE ContoCwer.t• ccnla osta ~~~~ a PRO.BLEMI ITJ\Lll\NI ~ '\~ ------,-- Y' 1 'r °V\, G. SJ\LVEMINI J' - I J! l ~ GUERRA ~~ ~\"- . ~~~ nxo o -1, f NEUTRALITÀ? t ][ J[ ~ f y ---------,----y-- "'[ cx\., . RJ\VA & c. EDITORI - MILANO Li r~~ e ~ l.<r, ~~~•t•P,~~~ e bl,oteca C' n J1,rnco

PROBLEi\11ITlìLilìNI I. Gf\ETf\NO Sf\LVEMINI ~ GUERtfft NEUT LITA? ~ 12 MIL['l;NO Rì'ìVA & C. - EDITORI 1915 B·blioteca Gino Bianco

TIP.LIT.RIPALTA·MILANO B blioteca Gino Bianco

I. - Una questione pregiudiziale. Quali sono i cc vitali interessi », quali le (( legittime aspirazioni », alla cui realizzazione deve tendere oggi il cc sacro egoismo » del! 'Italia? Nè il Governo, che ha usato queste formule, nè la Camera, nè il Senato, che le hanno applaudite, le hanno finora in alcun modo concretate. Tutti hanno votato la fiducia nel Governo, ma ciascuno interpreta a modo proprio gli oracoli del Governo. I triplicisti sperano che il cc sacro egoismo » italiano dell 'on. Salandra ci conduca o prima o poi contro la Triplice Intesa. Gli antitriplicisti garentiscono che le cc legittime aspirazioni » del1'on. Salandra si dirigono senza esitazioni verso il Trentino e verso l'Istria. I più aspèttano a vedere dove alla fine soffierà il vento per scegliere i cc vitali » interessi » dell'Italia: se vincerà la Triplice Intesa, prendèranno la via dell'Austria, se vincerà il blocco austro-germanico si volgeranno verso I'Affrica : sono gli aspiranti saccomanni della guerra attuale, e si aiutano a gridare: (( Italia. Italia ». Chi non la pènsa come essi non è buon italiano. Ma tutti procedono a base di affermazioni altrettanto generiche quanto categoriche. E la grande maggioranza del paese, disorientata da tante affermazioni contrastanti ~ indeterminate e indimostrate, impiega tutto il suo tempo a discutere: dobbiamo rimanere neuBiblioteca Gino Bianco

-4trali? dobbiamo intervenire? come, quando dobbiamo intervenire? Ora lasciare nell'ombra gl' « interessi » dell'Italia, evitando ogni discussione che tenda a definirli, e battagliare solo intorno ali 'indovinello se la neutralità sia utile o dannosa, se l'intervento sia pericoloso o necessario, significa semplicemente trattare un problema insolubile. L'intervento nella guerra o la neutralità non possono essere fini a se stessi : sono i mezzi che si devono usare per raggiungere un fine. E questo fine è la tutela e I' incremento degl' interessi materiali e morali dell 'I talia. Se quella tutela e quell'incremento potessero raggiungersi colla neutralità, non sarebbe delitto, non sarebbe stoltezza preferire il mezzo della guerra? E se non si potessero raggiungere che con la guerra, non sarebbe stoltezza, non sarebbe delitto rinunziare ad essi per fiacco amor di pace? E se non fosse necessaria la guerra vera e propria, e bastasse una semplice minaccia di guerra, purchè fatta seriamente. cioè con volontà risoluta e preparazione adeguata, perchè non fermarsi alla minaccia? E se quel fine può essere più facilmente raggiunto, ritardando l'intervento, finchè un saldo tessuto di intese con altri stati neutrali renda pm efficace la nostra minaccia o più sicura la nostra vittoria, perchè non ritardare? Ma come discutere sulla maggiore o minore opportunità di questi mezzi (neutralità, guerra, minaccia di guerra, intese, scelta del momento opportuno), se prima non sieno definiti i fini, che si vogliono raggiungere, cioè se prima non si abbiano idee chiare e ferme sui risultati che il Governo deve ottenere colla sua azione, qualunque essa sia? La scelta dei mezzi non è, in misura ;,reponderante, imposta appunto dal contenuto intrinseco del fine? Se gl 'italiani debbono oggi proporre alla loro politica estera il programma di evitare « gli orrori della guerra », la neutralità assoluta dei socialisti ufficiali è il mezzo necessario e sufficiente a realizzare quel programma. - Se vogliono proporsi di conservare intatta l'attuale potenza 8,blloteca Gino 81dnco

-5dell'Austria-Ungheria, perchè è il solo paese d'Europa in cui la Chiesa cattolica continui a dominare intrecciata con tutti i poteri dello Stato, l'intervento nella guerra contro la Triplice Intesa domandato dai clericali sui primi del passato agosto, era il mezzo necessario a raggiungere quel fine ; e se quel mezzo non si potè o non si può più tentare, occorre contentarsi della neutraiità, benevola se è possibile, indifferente se altro non si può. - Se come preminente interesse dell'Italia dobbiamo considerare oggi la sconfitta del pangermanismo, e la conquista di un più saldo confìnç terrestre ad oriente, e una migliore sistemazione dell'equilibrio adriatico, è chiaro che p_el raggiungimento di quel fine s'impone un coordinamento dell'azione dell'Italia con l'azione della Triplice Intesa. - Qualora, invece, fossimo convinti che interesse del nostro paese sia acquistare oggi il Trentino, senza badare ad altro, e dato che il Trentino si possa ottenere con la neutralità, non sarebbe un inutile sperpero di forze volerlo ottenere con la guerra? - Se pensiamo, invece, che interesse del1'Italia è la conquista di più larghi domini coloniali, allora dobbiamo concludere che sarebbe stato necessario l' intervento dçll 'ltalia a fianco dell'Austria e della Germania, contro la Triplice Intesa, fino dal primo momento della guerra. E le ipotesi sui fini si possono moltiplicare : e ad ogni spostamento nei fini corrisponde immediatamente un correlativo spostamento nei mezzi necessari. E' vano, dunque, discutere il problema se ci sia più utile la guerra o la neutralità, senz'avere prima risoluto il problema di definire nettamente quali risultati vogliamo noi raggiungere, approfittando della attuale crisi europea, e utilizzando sia l'intervento nella guerra, sia la neutralità. B blloteca Gino Bianco

-6 Il, - Quale problema il paese è competente a discutere. Ora, dei due problemi così delineati, quello che i cittadini privati possono discutere con competenza e hanno il diritto di decidere in piena coscienza e responsabilità, non è il problema dell'intervento o della neutralità, ma quello della definizione degl 'interessi dell'Italia. Non occorre, infatti, essere addentro a nessun profondo segreto di Stato per sapere se oggi convenga ali 'Italia lo starsene disinteressata alla finestra a contare i colpi che gli avversari si dànno; oppure se sia più utile acc~ttare gli inviti della Triplice Intesa, e intervenire per abbattere il pangermanismo e conquistare migliori frontiere orientali e nuove posizioni adriatiche; oppure se ci sarebbe più utile prestare ascolto ali' Austria e alla Germania che ci offrono la Corsica, Nizza la Tunisia, l'Algeria. Per risolvere questi problemi, gli uomini di Governo e i diplomatici non possiedono elementi diversi da quelli che sono a disposizione di quei cittadini privati che abbiano una sufficiente conoscenza delle condizioni economiche, sociali, morali dell'Italia e degli altri paesi. Chè anzi, se un privato ha una coltura larga e una intelligenza penetrante, è certo che nell'apprezzare gl 'ìnteressi nazionali egli riescirà assai mèglio di un ambasciatore o di un ministro i quali abbiano minore forza d'ingegno e più scarsa preparazione di coltura. 81bl1oteca Gino Bianco

7Viceversa, la scelta dei mezzi più opportuni per l' attuazione di un determinato programma, quella sì che deve essere abbandonata, almeno in limiti assai larghi, al criterio ed alla responsabilità degli uomini di governo: i quali posseggono essi soli certi elementi di giudizio, necessariamente segreti o mal noti ai cittadini privati. Chi mai, all'infuori degli uomini di Governo, che conoscono i trattati precedenti e le proposte predse che vengono o non vengono fatte, .giorno per giorno, dagli uni e dagli altri al nostro paese, chi mai ignorando questi decisivi elementi di giudizio, può sentenziare con sicurezza, che il Governo fa bene o fa male a rimanere neut,rale, farebbe bene o farebbe male a rompere la neutralità? E anche quando nell'esame dei mezzi richiesti dal raggiungimento di un determinato fine apparisse necessaria la guerra, non è evidente che al solo Governo tocca la responsabilità di scegliere il come e il quando, salvo ben inteso ad assegnare, a fatti compiuti, a ciascun responsabile il merito del bene e il demerito del male fatto? Nè si dica che questa larghezza di iniziativa si può lasciare al Governo da coloro che nel Governo hanno fiducia, non da chi si trova ali 'opposizione. L'opposizione non deve aspettare che il Governo abbia mandato il paese a male, prima di prendersi la magra soddisfazione di accertare le responsabilità, cioè di raccattare i cocci, a fatti compiuti ; ma deve cercare di trascinare il Governo per la via buona o di sostituirlo per fare meglio di lui. Questo ragionamento andrebbe bene, se la opposizione dichiarasse nettamente di avere lo stesso programma di politica estera del Governo, ma di non poterne approvare i mezzi ; oppure di avere un programma diverso che richieda metodi diversi. Ma in questo momento n~ il programma del Governo è noto, nè gli oppositori definiscono il programma proprio. Questo solo sappiamo : che il Governo resta neutrale, mentre gli oppositori vorrebbero uscire oggi in guerra, oppure vorrebbero essere già usciti, oppure vogliono che si esca domani. E gli uni approvano la neutralità e gli altri invocano la guerra, sempre in nome degli interessi delB bl1oteca Gino 81dnco

-8l'Italia, ma nessuno definisce con precisione la propria idea sul contenuto e la estensione di questi interessi dell 'ltalia. Ora, si può ben comprendere, almeno fino a un certo punto, che gli uomini di Governo tacciano sui resultati, che si propongono di ottenere, finchè non abbiam la sicurezza del successo o non reputino giunto il momento opportuno per tentare la realizzazione del loro programma. E si può comprendere pure che il Parlamento eviti una definizione ufficiale del programma nazionale, finchè non sia venuta l'ora di passare alla realizzazione immediata di esso, perchè in questo momento dire quel che si vuole significa dire anche se e con chi si vuole la pace e la guerra. Dopo tanti anni di politica segreta ed oscillante non si può pretendere che il Governo e il Parlamento mutino a un tratto metodo di azione : non si cambia il cavallo mentre si attraversa il fiume. Ma quel che il Governo ed il Parlamento non fanno, devono farlo i cittadini. E quel che documenta la scarsa educazione politica del nostro paese, è il fatto che nella stampa si discuta così poco il solo problema, che i cittadini privati sono competenti a decidere, non meno degli uomini di Governo : quello cio~ dei resultati che il Governo deve cercare di raggiungere; e si discuta, invece, specialmente di guerra e di neutralità, cioè proprio di quel problema, che il più elementare buon senso dovrebbe consigl:ar di affidare alla iniziativa e alla responsabilità degli uomini di Stato. Insomma, il nostro diritto di cittudi:1.1 ,li un-J :~toto democratico è uno solo: quello di imporre al Governo il programma che vogliamo sia realizzato, quello di assegnargli il tema che esso deve svolgere coi mezzi che resulteranno necessari. E d'altra parte. il dir:tto del Governo è di avere una rag:onevole libertà nell1 scelta e nell'uso dei mezzi opportuni per la realizzazione del programma, e di avere la certezza che nel caso che occorra la guerra per la realizzazione del programma voluto dal paese, il paese lo seguirà. Biblioteca Gino 81dnco

-o111. - La nostra Indipendenza nazionale e la vittoria del blocco austro-germanico. Ciò posto, quali resultati dobbiamo desiderare che il nostro Governo raggiunga in presenza dell'attuale erbi internazionale? II primo e più importante resultato deve essere questo: che non siano diminuite, t possibilmente siano aumentate la nostra sicurezza e indipendenza nazionali. Supponiamo che in questa guerra la Francia e I 'Inghilterra siano ridotte all'impotenza per terra e per mare dalla Germania. E supponiamo che magari l'Italia sia premiata dal blocco austro-germanico vincitore, per la sua neutralità o pel suo intervento contro la Triplice Intesa, con l'acquisto della Tunisia, della Corsica, di Nizza, di tutto ciò che ci offrono i pubblicisti tedeschi se rimaniamo incatenati alla Triplice Alleanza. I nostri confini si estenderebbero molto sulle carte geografiche; ma quale libertà di iniziative avrebbe più il nostro paese nella sua politica estera, di fronte ali 'indisputato e indisputabile predominio del blocco austrogermanico? A chi ci uniremmo nel caso di un dissidio fra noi e i dominatori del mondo? Non saremmo noi ridotti, insieme a tutte le altre potenze d'Europa, alle condizioni di stato vassallo? . Nel 1883 - sono fatti notissimi e sottratti ad ogni po<:s'bilità di contestazione - l'Italia dovè entrare nella Triplice. Alleanza, perchè era nemica della Francia e perchè grazie all'amicizia anglo-tedesca non avrebbe po- . tuto fare assegnamento neanche sull'aiuto dell'Inghilterra nel caso di un suo dissidio con la Duplice austrogermanica. Rifiutandosi di entrare nella Triplice, si saBibliot~ca Gino Bianco

._.;..10 - rebbe trovata isolata contro un assalto austriaco. Italia e Austria, dicevano i nostri diplomatici, non potevano essere che o nemiche o alleate. Ma alleanza significò sempre per noi vassallaggio, finchè le relazioni con la Francia furono cattive, e finchè l'amicizia anglo-tedesca rimase intatta. Quando cominciò l'Italia a godere di una maggiore libertà d'azione? Quando, ricostituitesi verso il 1900 le buone relazioni italo-francesi, nata la rivalità anglo-tedesca e l'intesa anglo-francese, l'Italia potè minacciare di abbandonare la Triplice e di passare nel campo opposto, qualora i suoi interessi e la sua dignità non veniss<!ro meglio rispettati dagli alleati. Solo allora il ventennale vassallaggio cominciò ad avere almeno I'apparenza di un 'alleanza a condizioni non del tutto ineguali. Disfatte domani l'Inghilterra e la Francia, quale via di ritirata avremmo noi il giorno, in cui non ci convenisse più l'amicizia austro-germanica? E si badi bene : mentre sarebbero messe fuori combattimento le due potenze occidentali, sarebbe ridotta ali 'impotenza anche la Russia : cioè sarebbero abbandonati in balìa dell'Austria gli Stati balcanici. Cioè I' Austria potrebbe minacciarci non solo dal Trentino e da Pola, ma dalle coste del basso Adriatico. E noi non potremmo fare più assegnamento su una intesa militare col Montenegro e con la Serbia: le cui forze, anzi, sarebbero assorbite nel sistema militare austro-ungarico e aumenterebbero la nostra inferiorità. Per il basso Adriatico - dicono i triplicisti - l'Italia è assicurata dai trattati italo-austriaci per l'integrità e l'autonomia dell'Albania. Ma i trattati - ce lo hanno detto e ridetto chi sa quante volte i tedeschi, e Io hanno dimostrato nel caso del Belgio - sono cartaccia da buttare nel cestino, quando l'altro contraente non abbia la forza di farli rispettare. E a quei trattati l'Austria si è ridotta, appunto per evitare il pericolo che cercassimo la garanzia dei nostri interessi fuori della Triplice. Ora quale possibilità di difesa e di offesa ci rimarrebbe più il giorno, in cui le Potenze estranee alla Triplice fossero pr.ostrate? L'Austria - dicono i triplicisti - ci può abbandoBiblioteca Gino Bianco

11 - nare Vallona e l'Albania meridionale. Ma anche ammesso che questa rosa non presenti per noi nessuna spina che ne diminuisca assai il pregio - le bocche di Cattaro, per esempio, liberate dalla minaccia del Lovcen dopo la sottomissione del Montenegro, e sostenute sempre da Pola, annullerebbero ogni valore di Vallona -, chi non vede che questo compenso non diminuirebbe in nulla la schiacciante superiorità terrestre che verrebbe a conquistare l'Austria? In queste condizioni, a che ci servirebbero, di grazia, la Corsica e l'Africa settentrionale? In che cosa aumenterebbero esse le nostre capacità economiche e finanziarie? In che cosa ci rafforzerebbero militarmente, verso l'oriente, di fronte alla ingigantita pressione austriaca? Non sarebbe questo il principio di un nuovo penoso e lungo periodo di sudditanza, in cui ci occorrerebbe essere dell'Austria, come fra il 1883 e il 1902, o alleati o nemici : alleati trascurati, o nemici impotenti? Da che è scoppiata la guerra fra Duplice austro-tedesca e Triplice Intesa, l'Italia è diventata la beniamina di tutto il mondo : non ci sono carezze e profferte, che ci sieno risparmiate di qua e di là. Questo non dipende da nessuna improvvisa tenerezza, che sia nata nel cuore degli uni o degli altri. Dipende dal fatto che le forze dei contendenti si equilibrano. E magari questa situazione di equilibrio potesse durare eternamente, anche dopo la guerra ! Ma questo nessuno può nè pretenderlo nè sperarlo. Quel che possiamo desiderare, nell' interesse della nostra futura libertà d' azione, è che nessuna delle due parti acquisti una così strabocchevole inferiorità sull'altra da potere obbligare anche noi ad entrare nella sua sfera d'influenza come stato vassallo. E' bene che non ci facoiamo illusioni: se questa guerra finirà col prostramento della Triplice Intesa e con la vittoria del blocco austro-germanico, gli stati neutrali dovranno entrare nella sudditanza dei vincitori. non meno dei vinti. E meno che mai può aspettarsi grandi riguardi il nostro paese, la cui neutralità è già considerata da tedeschi ed austriaci come un tradimento. I socialisti ufficiali, che aspettano di essere assaliti dall'Austria per gridare all'armi, all'armi, possono dormire tranquilli: Biblioteca Gtno 81dnco

., 12 - il blocco austro-germanico, dopo la vittoria, non avrà bisogno di assalire l'Italia per costringerla alla servitù: basterà che esso comandi, e noi dovremo obbedire : saremmo folli se pretendessimo· rivoltarci . IV. - La nostra Indipendenza nazionale e la vittoria della Triplice Intesa. La nostra indipendenza nazionale, cioè il nostro libero sviluppo interno ed esterno, non sarebbe, invece, in nessun modo, nè diminuito nè minacciato, da una vittoria della Triplice Intesa. Il sistema austro-tedesco differisce, infatti, dal sistema anglo-francese-russo specialmente per questo: che il primo raccoglie in blocco omogeneo e compatto tutte le forze della razza germanica, cioè di circa ottanta milioni di uomini accampati nel cuore dell'Europa, organizzati militarmente, ubbidienti fino aìl 'eroismo, disciplinati fino alla completa soppressione della personalità, educati ad un 'idea altissima della propria potenza, convinti che il predomino tedesco sul mondo debba portar seco la felicità del mondo; - la Triplice Intesa. invece, non presenta nessuna compattezza e omogeneità, nessuna permanente coincidenza di interessi, nessuna comunanza di lingua, di tradizioni, di abitudini psicologiche, di aspirazioni nazionali, nessuna possibilità di creare una organizzazione politica e militare unica. Per quanto male questa guerra possa andare alla GerBiblioteca Gino Bianco

- 13 - mania, un profitto essa certo ne ricaverà, anzi ne ha ricavato, e nessuna forza potrà distruggerlo: i tedeschi dell'Austria non si sentiranno più austriaci, si sentiranno tedeschi, niente altro che tedeschi; la solidarietà dei loro fratelli di Germania sarà da ora in poi, per essi, condizione essenziale di vita, sia che debbano in caso di vittoria organizzare la loro egemonia sugli slavi balcanici e polacchi, sia che la sconfitta li obblighi ad una formidabile opera di difesa in un'Austria limitata di forze e di territorio. Nella Triplice Intesa, invece, la vittoria determinerà il rallentamento dei vincoli su cui è fondata. Non appena sia scomparso lo spettro della egemonia germanica, i diversi elementi della mescolanza tenderanno a riprendere la loro libertà naturale. Cioè : se vinceranno le due Potenze ·dell'Europa Centrale, la razza germanica non dovrà render conto che a sè stessa dell'uso che farà della vittoria. E intorno al ricostruito Sacro Romano Impero della Nazione Germanica non vi sarà possibilità di vita che per una pleiade incoerente e imponente di staterelli vassalli, nei quali l'unica nazione dominante controllerà la misura e l'uso delle forze militari, l'organizzazione e il funzionamento delle scuo'.e, delle ferrovie, delle banche, con metodi analoghi a quelli che l'Austria pretendeva nel luglio scorso d'imporre alla Serbia, promettendo (bontà sua) di rispettarne ... la integrità. Nè l'Impero mondiale germanico potrà rinunziare ad assumere queste garanzie fuori dei suoi confini politici, se vorrà evitare le noie di insubordinazioni pericolose e di continue « spedizioni punitive » contro chi non si dimostri sufficientemente educato alla perfetta disciplina germanica. Nel caso di vittoria della Triplice Intesa, invece, i vincitori dovranno cominciare a fare i conti fra loro. E maggiore sarà il numero dei partecipi alla vittoria, e più gli appetiti degli uni saranno limitati dagli appetiti degli altri. E rimarrà sempre, fuori deila Triplice Intesa, una Germania compatta e forte. E con essa potrà sempre allearsi quello fra i vincitori, che si senta minacciato dal prepotere dei suoi soci. E il pericolo dello sbandamento, di fronte al nemico pronto a risorgere, obbligherà i vinB blioteca Gino 81dnco

- 14 - citori ad una relativa equità reciproca nei patti della pace. E anche dopo la pace, la necessità di garentirsi reciprocamente il nuovo stato di cose contro ogni tentativo di rivincita da parte dei vinti, obbligherà tutti ad una pratica giornaliera di buona volontà e di equilibrio. Nella vittoria della Triplice Intesa, insomma, tutte le nazioni minori vedranno assicurata la loro indipendenza, non per generosità dei vincitori, ma perchè ciascuna in caso di pericolo avrebbe sempre a disposizione una minoranza a cui appoggiarsi contro le prevaricazioni della maggioranza. Per quanto riguarda l'Italia, è evidente che essa nè per terra nè per mare vedrebbe menomata da una vittoria della Triplice Intesa la propria libertà di azione. Per terra avremo sempre modo di allearci ad una forte Germania contro una eventuale prepotenza francese, o di allearci con la Francia contro eventuali prepotenze della Germania o degli alleati della Germania. E appunto data la necessità che noi abbiamo di impèdire tanto un eccessivo indebolimento della Germania quanto la rovina della Francia, il nostro intervento nella guerra a fianco del blocco austro-germanico sarebbe stato da parte nostra un funestissimo errore, perchè avrebbe concorso alla distruzions della Francia; e il nostro eventuale intervento a fianco della Triplice Intesa dovrebbe essere accompagnato dal patto esplicito che i vincitori non devono pretendere uno smembramento della Germania, come già cominciano a sognare i nazionalisti francesi. Per mare è facile prevedere che i vincitori - quali che essi sieno - annienteranno o confischeranno le flotte dei vinti e li obbligheranno a disarmare gli arsenali e smettere ogni progetto di nuove costruzioni navali. Ora, in caso di vittoria austro-germanica, sia che l'Italia contribuisse alla vittoria, sia che si tenesse neutrale, essa sarebbe in balìa della confederazione austrogermanica. In caso di vittoria della Triplice Intesa, invece, le flotte sopravvissute alla grande prova sarebbero tre; e la nostra sarebbe la quarta. Nessuno potrebbe pretendere al dominio assoluto su tutti gli altri, senza vedere immediatamente questi stringersi insieme e re8 blioteca Gino B1c1nco

- 15 - sistere vigorosamente alle nuove ambizioni. ta stessà Inghilterra, se dovesse ritornare ad urtarsi con la Francia e con la Russia, dovrebbe fare assegnamento su noi. Nè sarebbe mai possibile una generale coalizione anglofranco-russa contro di noi, salvo che noi la provocassimo con una insigne follìa, come sarebbe stata qudla di un nostro intervento nella guerra a fianco della Germania e dell'Austria. Il segreto delle simpatie istintive, che la Triplice Intesa gode in Italia e in tutto il mondo, è appunto questo: che la vittoria della Triplice Intesa non minaccia la indipendenza nazionale nè dell'Italia nè di alcun'altra nazione europea, al contrario di ciò che si deve aspettare da una vittoria austro-germanica. E se alla vittoria della Triplice Intesa dovesse essere necessario l'intervento dell'Italia, il nostro Governo non dovrebbe esitare ad uscire dalla neutralità, e il paese dovrebbe accettare con animo forte e sereno la guerra, per assicurare la nostra indipendenza nazionale e quella di tutte le nazioni minori, che sono come noi minacciate dal predominio germanico. V. - ltalla e Serbia. La vittoria della Triplice Intesa, mentre non potrebbe ridurre notevolmente l'attuale estensione territoriale della Germania e la sua efficienza militare in Europa, riescirebbe disastrosa principalmente ali' Austria : stato nazionalmente eterogeneo e sgangherato, cui tutti i vicini avrebbero qualcosa da prendere e da conservare. Uno dei vicini più esigenti sarà la Serbia, il cui programma è stato annunciato ufficialmente il 12 dicembre B·blioteca Gino 81dnco

- 16 dal mm1stro Pasic : l'arrivo ali' Adriatico e la costituzione di uno Stato serbo-croato-sloveno nèl triangolo Lubiana-Belgrado-Antivari. Questa possibilità è considerata con sospetto da parecchi nostri concittadini, i quali, p,ur di evitare quello che essi chiamano il pericolo slavo, vorrebbero che l'Italia con grande abnegazione aiutasse l'Austria a soffocare la Serbia e a giungere a Salonicco. Sostituirebbero così al pericolo di una Grande Serbia la certezza di una più grande Austria! La realtà, osservata senza traveggole austriacanti e tripliciste, è che la costituzione di una Grande Serbia, in nessun caso, cioè neanche nella ipotesi di un massimo ingrandimento della Serbia, potrebbe rappresentare per noi un danno. Supponiamo, infatti, che l'Austria, la quale oggi preme per terra e per mare al nostro oriente con 50 milioni di abitanti, sia ridotta per la vittoria della Triplice Intesa a una trentina di milioni di abitanti, nendo perdute le provincie adriatiche, rumene e galiziane ; e che a mezzodì dell'Austria, così ridotta, funzioni una Grande Serbia, la quale si sia incorporata la Erzegovina, la Bosnia, la Croazia, la Dalmazia, la Slavonia, l'lstria. Facciamo cioè la ipotesi più favorèvole alla Serbia e più sfavorevole ali' Italia. Sul continente questo paese avrebbe bisogno continuo dell'amicizia italiana per essere sicuro contro una rivincita dell'Austria. E questa solidarietà naturale consentirebbe ali 'Italia e alla Serbia di distribuirsi i compiti e le spese della difesa terrestre co.n grande sicurezza e risparmio dell'una e dell'altra. Per mare, esclusa l'Austria-Ungheria dall'Adriatico e ridotta a stato esclusivamente continentale, quale fu - salvo i protettorati di Trieste e di Fiume - fino al cadere del secolo XVIII, l'Italia coi suoi 35 milioni di abitanti, si troverebbe di fronte a una nazione di neanche IO milioni di abitanti, dispersa su un territorio scarsamente produttivo, incapace di fare nell'Adriatico lo stesso sforzo che vi fa oggi l'Austria coi suoi 50 milioni di abitanti. Inoltre la necessità di avere l'amicizia terrestre itaB blioteca Gino 81dnco

- 17 - liana contro l'Austria distrarrebbe la Serbia da· ogni concorrenza navale coll 'I tali a. E l'Italia avrebbe il diritto, e - per la sua futura sicurezza - il dovere. di approfittare del momento di transizione fra il vecchio e il nuovo equilibrio per legare a sè la Serbia con una convenzione, non solo terrestre, ma anche navale, la quale nello stesso tempo distribuisse gli oneri della difesa terrestre e interdicesse alla Serbia ogni inizio di spese navali. All'Austria noi non possiamo impedire di avere una flotta, perchè essa già la possiede. Alla Serbia di domani dobbiamo impedirlo nell'interesse suo e nell'interesse nostro. E possiamo approfittare di questo momento, che non tornerà più nella storia, per escludere dall'Adriatico l'Austria che ha una flotta, e sostituirle un nuovo Stato che non ha nessuna flotta e a cui possiamo impedire di crearsela. · E anche nella peggiore di tutte le ipotesi possibili : cioè nella ipotesi che la Grande Serbia riesca a fornirsi di una flotta e si unisca un giorno all'Austria per terra e per mare contro di noi, maie quest'aileanza transitoria potrebbe farci, in confronto a quello che ci verrebbe in permanenza da un'Austria-Ungheria estesasi fino all'Egeo con l'assorbimento della Serbia attuale, quale la desiderano i fedeli della Triplice Alleanza, e quale si avrebbe nel caso di vittoria austro-germanica? I triplicisti agitano continuamente lo spettro del panslavismo: secondo essi la Grande Serbia sarà l'avanguardia della Russia nell 'Adriat!CO. Ignorano, o fingono d'ignorare, che il pericolo panslavista è ipotetico e futuro, mentre il pericolo pangermanico è reale e immediato. Ignorano o fingono d'ignorare che, non la Serbia, ma l'alleata Austria ha tentato mettersi d'accordo con la Russia nel 1897 e nel 1903 per ottenere mano libera in tutta la Balcania occidentale e nell'Adriatico a danno dell'Italia. Ma non è necessaria nessuna profonda dottrina geografica e storica per capire che il panslavismo è uno spauracchio altrettanto serio quanto sarebbe quello del panlatinismo. Gli slavi del sud sono divisi totalmente dalla Russia, B blioteca Gino 81,mco

18 - grazie a una salda barriera di popolazioni tedesche, magiare e rumene, che va dalle Alpi orientali al Mar Nero: e non si vede in che modo la Russia potrebbe distruggere o sottomettere questa .massa di popoli per arrivare, nientemeno, all'Adriatico, senza che tutta l'Europa si unisse per impedire tanta mostruosità. Che se la egemonia russa sull'Adriatico si suppone debba esercitarsi, non grazie a un dominio diretto, ma attraverso un permanente vassallaggio della Serbia verso le direttive della politica russa, anche questa è vana paura. La Serbia, come la Rumenia, come la Bulgaria, come la Grecia, ha fatto nel passato e continuerà a fare in avvenire la politica dei suoi interessi e non la politica della Russia. Nè più nè meno di quel che ha fatto e farà 1'Italia rispetto alla Francia, ai cui aiuti noi pur dobbiamo, comè devono gli Stati balcanici alla Russia in proporzioni così larghe, l'acquisto della indipendenza nazionale. Tutta la storia del secolo XIX è la storia di una sistematica infedeltà degli Stati balcanici verso l 'impero degli Zar. Ciò che ha spinto spesso questi paesi a gravitare nell'orbita russa, è stata la necessità in cui si sono trovati di ricorrere all'aiuto della Russia nelle loro lotte nazionali contro la Turchia e nella difesa della loro autonomia contro l'Austria; salvo, beninteso, ad appoggiarsi ali' Austria, all'Inghilterra o alla Francia, secondo i casi, non appena la Russia pretendesse di farsi pagare troppo cara la propria solidarietà. Il mezzo migliore di emanciparè i Serbi dalla Russia, è quello di aiutarli a non avere più bisogno della Russia, cioè a conquistare l'unità e l'indipendenza nazionale contro l'Austria. Insomma, anche nell'ipotesi che la Serbia conquisti tutte le provincie austriache dell'Adriatico e che l'Italia rimanga nei confini attuali, l'Italia in questo cambiamento non ha nulla da perdere, ed ha molto da zuadaJlnare. 8iblloteca Gino 81dnco

- rn - VI. - Il Trentino e la Venezia Giulia. Finora abbiamo esaminata la ipotesi di una Grande Serbia, che conquisti tutte le provincie adriatiche del1'lmpero austro-ungarico, rimanendo immutati gli attuali confini terrestri dell 'ltalia. Ma sarebbe inaudita stoltezza la nostra, se non approfittassimo di questa occasione per risolvere _ilproblema degli italiàni dell'Austria e per assicurarci per terra e nell'Adriatico una situazione militare meno sciagurata di quella che sortimmo dalla guerra del '66. Da quarantotto anni il nostro paese vive malamente sotto l'incubo della minaccia austriaca. Dal Trentino e dall'Isonzo e da Pola una perenne formidabile pressione grava su noi. Se dell'Austria finora abbiamo dovuto essere alleati obbedienti per non essere impotenti nemici, questa triste necessità ci è stata, in larga parte, imposta dalla funesta debolezza della nostra posizione militare. Se la storia dei rapporti italo-austriaci, dal 1866 ad oggi, non è stata che una serie di ultimatum più o meno brutali da parte dell'Austria e di remissività più o meno disinvolte da parte dell'Italia, questa storia si deve spiegare, non solo coi nostri errori e con le nostre leggerezze, ma sopratutto con quella specie di « monopolio di posizione » - come direbbero gli economisti - che ha l'Austria grazie al possesso del Trentino e alle disgraziate condi zioni della linea dell 'lsonzo e alla superiorità di basi navali nell'Adriatico. E non solo siamo stati sempre minacciati nella nostra sicurezza militare, ma siamo stati feriti con sistematica brutalità nei nostri sentimenti di giustizia e di solidarietà nazionale. Gl 'italiani del Trentino sono stati abbandonati Biblioteca Gino BlclnCO

- 20dal governo austriaco alla mercè dei tedeschi del Tirolo, dissanguati con tasse eccessive ed inique, trascurati nei loro bisogni economici e culturali,. tormentati con vessazioni poliziesche, frustrati nelle loro richieste di una modesta autonomia amministrativa, che non comprometteva in nessun modo la compagine austriaca e disturbava solo i piccoli interessi personali e locali dei tedeschi di Innsbruck e dei burocratici di Vienna. Nel Goriziano, a Trieste, nell'Istria, la situazione etnica non è così chiara come nel Trentino : qui ferve una lotta fra contadini slavi e cittadini italiani, in cui è impossibile dividere nettamente fra gli uni e gli altri il diritto e il torto : lotta inevitabile per ragioni economiche e sociali, a cui per altro si può e si deve dare rimedio con la giustizia sociale. Ma questa lotta è stata sistemat: ·,.;mente sollecitata, esasperata, precipitata dalla burocrazia austriaca in un cieco furore antitaliano, col triste programma di sradicare da tutta la Venezia Giulia qualunque vestigio della nostra storia e della nostra civiltà. Chi scrive queste pagine non è stato mai irredentista. Ha avuto, anzi, parecchie vivaci polemiche con gli irredentisti, ai quali ha spesso rimproverato di subordinare il destino dei 35 milioni di regnicoli alle aspirazioni di neanche un milione di irredenti; di essere troppo disposti ad aiutare l'Austria nella sue ambizioni balcaniche. purchè cedessè il Trentino e l'Istria o magari il solo Trentino all'Italia; di voler mettere a fuoco tutto il mondo al solo fine di cuocere il piccolo uovo delle loro rivendicazioni nazionali. Provocare una guerra col1'Austria a causa degl '! taiiani irredenti, è sembrato sempre a chi scrive queste pagine o una pazzia o un delitto; perchè o la guerra si sarebbe estesa a tutta Europa, e chi se ne fosse assunta la responsabilità avrebbe commesso un immenso delitto; o l'ltalia sarebbe stata abbandonata da tutti in una lotta impari con l'Austria, e avrebbe pagato a caro prezzo le conseguenze di un vero e proprio accesso di follia. Ma il delitto oramai è stato commesso da altri. L'accesso di follia è venuto da altri. E l'Austria, stroncata già a mezzo dalla Russia, impegnata colla Serbia, assalita probabilmente domani anche dalla Rumenia, non B·blioteca Gino Bianco

- 21 - può opporre oggi a noi quelle forze che la rendevano ieri formidabile. Se noi l'assalissimo oggi, non commetteremmo un atto di follìa. Avremmo, anzi, grandi probabilità di successo. In tutti i casi, immobilizzando contro di noi una notevole parte dell'esercito austriaco, contribuiremmo notevolmente alla vittoria finale della Triplice Intesa. O noi ripariamo oggi all'errore del 1866 e compiamo l'opera di unificazione e di consolidamento nazionale troncata miseramente allora, o non potremo risolvere questo problema mai più. Noi dobbfamo volere che l'attuale crisi europea non si chiuda senza che l'Italia si annetta il Trentino e la Venezia Giulia. Ma badiamo bene : la soluzione di questo problema nostro sociale non va cercata indipendentemente dal problema generale dell'equilibrio delle forze in Europa, e della nostra sicurezza e indipendenza nazionale in quel1'equilibrio. Si è detto alcune settimane or sono che il Principe di Biilow veniva in Italia ad offrirci il Trentino, come pagamento non si sa se della neutralità assoluta o di un intervento contro la Trip!icè Intesa. E' necessario che il Governo italiano rifiuti l'offerta, e che l'intera nazione obblighi il Governo a rifiutare. Dovremmo rifiutare, anche se insieme al Trentino ci fosse offerta l'Istria e qualcos'altro ancora. Il prob!ema, centrale e preminente, che I'I tali a deve oggi risolvere, non è quello di acquistare qualche nuova provincia o qualche nuova colonia. E' ouelìo di assicurare la sua indipendenza nazionale minacciata - come quella di tutte le altre nazioni d'Europa - dalla vittoria austro-germanica. L'indipendenza nazionale è il 98% di quel che ci o~corre per vivere tranquilli. E noi la possediamo. In una Europa dominata, senza più alcun contrappeso possibile, dalla Germania e dall'Austria, quel 98%, che noi possediamo, andrebbe perduto. Nè il possesso del Trentino ci difenderebbe contro le prevaricazioni dei dominatori, nè avremmo alcuna sicurezza di conservare il Trentino o qualsiasi altra provincia, anche più imporB bliote<::aGino 81dnco

- 22tante, qualora i signori del mondo trovassero comodo disporne contro di noi, a loro volontà. Ecco perchè ci è necessaria la disfatta del blocco austro-germanico. Se nell'atto di assicurarci il 98%, che già possediamo (I 'indipendenza nazionale), ci è possibile arrotondarlo fino al 100% col completamento dell'unità Nazionale (Trentino e Istria) - e per nostra fortuna è possibile - saremmo stolti e colpevoli a non ri~)vere questo problema speciale e secondario, approfittando della soluzione del problema generale e principale. Il principe di Biilow, invece - se le notizie dei giornali sono vere - ci offrirebbe quel due, anzi quell'un per cento che ci manca (il Trentino). a patto che aiutassimo sia con la neutralità, sia con l'intervento, la Germania e l'Austria a creare in Europa un nuovo stato di cose, in cui non esisterebbe più quel 98% (I 'indipendenza nazionale) che già possediamo. Bisogna rifiutare il dono. E se altra via non esiste a raggiungere il programma generale e il programma speciale della nostra politica estera attuale, noi non dobbiamo rifiutarci a una guerra, che voglia raggiungere contemporaneamente i seguenti risultati : I. sostituir.e nell'Adriatico ali' Austria uno stato assai meno potente, la Serbia; 2. assicuarci, tanto verso l'Austria che verso la Serbia, una buona frontiera terrestre; 3. disarmare l'Adriatico; 4. risolvere uno stato di disagio sentimentale, che da mezzo secolo ci turba e ci umilia. V 11. - CIl Interessi colonlall. E gli interessi coloniali d'Italia? Che cosa ne fate - ci dicono i triplicisti - degli interessi coloniali del- ! 'Italia? Ignorate forse che in questa guerra sono in B•blìoteca Gino Bl,:lnCO

-23giuoco i possedimenti coloniali di tutte le potenze belligeranti e che essa non si chiuderà senza un nuovo assetto dei domini europei in Affrica e in Asia? L'Italia deve uscire a mani vuote da questo grande affare? La Germania e l'Austria ci invitano ad ingrandirci a spese della Francia in Affri-ca: che cosa può sperare il nostro « sacro egoismo » coloniale dalla sconfitta dell'Austria e della Germania? Non osservano, però, i nostri triplicisti e colonialisti, in quale situazione si troverebbe l'Italia, dopo una vittoria austro-germanica, con l'Austria ingrandita e divenuta invincibile al nord e all'est, e la Germania insediatasi al Marocco, grazie all'aiuto dell'Italia. Non osservano, nella loro febbre coloniale di chilometri quadrati, che l'Italia, stretta da tutte le parti nella catena austro-germanica, diventerebbe più grande sulle carte geografiche, ma impotente nella realtà. · E quanto a conquiste coloniali, ci sarebbe, a spese della Turchia, saccheggio per tutti, in caso di vittoria della Tripliçe Intesa. Ma parleremmo contro la nostra coscienza, se non riaffermassimo oggi, ancora una volta, la nostra fermissima convinzione che, in questo periodo del suo sviluppo nazionale, l'Italia non solo non ha bisogno di colonie di diretto dominio, roo dal possesso di siffatte colonie sarebbe danneggiata e distratta da quelli che sono i compiti veri della sua vita nazionale : la riorganizzazione interna e la cura della emigrazione. L'Italia è un paese povero di capitali e scarso di capacità organizzatrici. La nostra borghesia non è riuscita in molte regioni del nostro paese nè a creare una vita economica moderna, nè ad impiantare un ordinamento amministrativo decente. E dove il progresso economico si è manifestato intenso, esso è dovuto in parte alla immigrazione del capitale e delle capacità tecniche straniere, in parte ai privilegi protezionisti le cui spese sono fatte dalle classi e dalle regioni più misere. In queste condizioni, acquistando colonie di diretto dominio, il nostro paese commette lo stesso errore di un padre di famiglia che possieda una discreta estensione di terre mal coltivate e sia fornito di capitali assai limiBiblioteca Gino Bianco

- 24 - tati, e invece di impiegarè i capitali per migliorare a poco a poco la proprietà ed aumentarne il reddito, li impieghi a comprare altrè terre di più scarsa produttività, rimanendo cosi privo finanche delle anticipazioni necessarie per fare le coltivazioni e pagare le tasse . Tutto ciò che noi abbiamo speso finora per l'Eritrea e per la Libia, non ha servito ad altro che ad estenuare l'economia. di per sè debole, della madre patria. e a rendere sempre più difficile e più lenta l 'org-anizzazione in Italia dei servizi necessari alla vita della nazione; mentre la mancanza di capitali privati e le perverse abi- ... tudini del1a nostra burocrazia rendevano. anche nelle colonie. difficile quello sviluppo economico che non sarebbe forse loro mancato, se fos<:ero state amministrate da nazioni più ricche e più capaci della nostra. Nè si dica che una nazione dève saper provvedere anche al più lontano avvenire. sacrificandosi oggi per assicurare le colonie alle genernioni venture. chè ne avranno probabilmente bisogno. E' assurdo fare la politica estera a centinaia d'anni di distanza. Quel che sarà l'equilibrio delle forze economiche e politiche in Furopa fra trent'anni, nessuno di noi può prevedere. Quelli che oggi sono forti. domani forse saranno deboli. La Francia. che una volta aveva occupato il Coruzo senza ostacoli. ha dovuto cederlo senza guerra alla Germania nel 1911. e probabi!mente se lo riprenderà ora. La politica coloniale è un ballo continuo, in cui c'è sempre modo di entrare, a condizione di aver gambe buone e di saper ballare. I forti arr'vano sempre in tempo: i deboli arrivano sempre tardi. E chi. essendo debole. invece di pensare a crescere e a rafforzarsi le ossa. sperpera le forze per fare ouel che fanno i grandi. non fa se non rendersi sempre più debole ed allontanarsi semore più dal momento in cui potrebbe competere coi grandi. Se invece di scimmiottare nella febbre coloniiile q11el!e altre na7ioni di Europa che per avere !?rande 3bbondanza di can:ta 1i oossono trovar convenlente l'occupazione di domini diretti, tenèssimo presenti al pensiero le condizioni peculiari del nostro oaef'e. noi saprefTlmo che 1'Jt?lia ha veramente un immenso prob1ema colonia1è da risolvere: un problema tutto suo proprio, che non esiste nè per Biblioteca Gino Bianco

- 25 - l'Inghilterra, nè per la Francia, nè per la Germania; e che quando sia intelligentemente affrontato può creare davvero una grande forza internazionale pel nostro paese. E' il problema dei nostri emigranti, che partono dall'Italia senza nessuna preparazione di coltura, senza nessuna educazione del senti~ento nazionale, abbandonati a milioni per il mondo, senza protezione, senza conforto della patria. Eccolo il problema coloniale italiano, a risolvere il qua!e non ci servirebbe a nulla il possesso diretto di colonie, in cui non ci sarebbe possibile importar capitali per crearvi lavoro. L'emigrazione non può esserò spinta con leggi e decreti dove non vuole andare, dove non ha interesse d'andare. L'emigrazione proletaria si concentra dove le condizioni naturali propizie e il flusso di capitali, attirativi dalle condizioni naturali, determinano rapporti di produzione suscettibili di alti salari. Ora il nostro più ardente desiderio dovrebbe essere che questi rapporti di produzione si determinassero specialmente sulle rive del Mediterraneo. Quale forza moralò e politica, quale facilità di espansione commerciale, non rappre!'lenterebbero per la nostra patria i cinque milioni di nostr. emigranti, se invece di essere sparpagliati per tutto il mondo senza possibilità di azione comune, fessero raccolti tutti a poca distanza dalla madre patria, meno incolti, saldamente organizzati intorno alle scuole e alle Camere di lavoro nzionali, in rapida e continua comunicazione colla patria! La conquista de1la Libia non ha risolto in nessun modo questo problema: 1. perchè la Libia, salvo zone eccezionali non più estese in tutto che una mezza Sicilia, non è paese in alcun modo utilizzabile; 2. perchè non basta occupare militarmente un paese per colonizzarlo, ma occorrono capitali, che l'Italia non ha. In Tunisia, invece, gl 'italiani in trent'anni sono cresciuti da 30 mila a 130 mila, senza che l'Italia abbia speso un soldo, grazie agli enormi capitali impiegativi dalla Francia. Bisognerebbe che nell 'Affrica settentrionale e nòll 'Asia occidentale avvenissò altrettanto. L'Italia dovrebbe dare alla nuova vita economica di quelle regioni le braccia B:blioteca Gino Bianco

- 26 - lavoratrici. I capitali non possono essere dati che da altre nazioni. E queste non possono essere che l'Inghilterra e la Francia: chè nè la Germania nè l'Austria hanno copia di capitali esportabili. Un 'intesa anglo-franco-italiana per la colonizzazione mediterranea mediante il concorso del capitale anglofrancese e del lavoro italÌano - in questo caso la collaborazione di classe si combinerebbe con una collaborazione internazionale per lo sviluppo della ricchezza di tutte le classi e di tutte le nazioni interessate - una intesa di questo genere rappresenterebbe un grande vantaggio tanto per le due nazioni capitalistiche quanto per la nazione proletaria. E l'intesa dovrebbe avere per base da una parte il riconoscimento del diritto degl'italiani ad avere le loro scuole e le loro organizzazioni nazionali e a non essere snazionalizzati; dall'altra la rinunzia dell '1talia ad ogni sottinteso di espansioni militari e politiche - le quali, lo ripetiamo, 11011 ci darebbero che spese e creerebbero sterili ostacoli alla messa in valore del Mediterraneo. Assicurato così un lungo periodo di lavoro, in vicinanza della madre patria, ai nostri emigranti, dovremmo : 1. cercare che la nostra fosse emigrazione di uomini consapevoli di far parte di una nazione civile, e non di misere bestie da lavoro : quindi scuole, scuole, scuole, in Italia e nelle colonie, a facilitar l'istituzione delle quali delle quali non aiuterebbero certo le spese di conquiste coloniali; 2. organizzare un largo e serio servizio di assistenza nel bacino del Mediterraneo: i migliori segretari delle Camere di Lavoro della madre patria dovrebbero essere reclutati come agenti consolari per l'organizzazione economica degli emigranti. Quali sarebbero fra trent'anni le conseguenze di questa azione, nessuno può prevedere. Forse potrebbero essere politiche, oltre che economiche. Provvederà un 'altra generazione d 'italiani a soddisfare i bisogni nascenti del nuovo stato di fatto. A noi deve bastare lasciarle un 'Italia meno povera, più sicura, meglio organizzata. E un'altra considerazione attinente al problema coloniale deve farci desiderare la vittoria dell'Inghilterra : la sicurezza che l'Inghilterra introdurrà in tutti i nuovi Biblioteca Gino Bianco

- 27 - acquisti coloniali il regime della porta aperta, a diffe- · renza di quanto ci si può aspettare dalla Germania. Cioè nelle colonie inglesi le nostre merci, via via che la nostra attività produttrice si svilupperà, potrebbero sempre penetrare. Nelle colonie tedesche chi potrebbe illudersi di penetrare ali 'infuori dei commercianti germanici? Il nostro governo dovrebbe esigere, come uno dei compensi all'entrata dell'Italia nella Triplice Intesa, un trattato di lavoro italo-anglo-francese per il Nord-Africa e l'Ovest-Asia, e l'assicurazione che tutte le nuove eventuali colonie inglesi e france si saranno soggette al regime della porta aperta. VII I. - I legami della Triplice. I nostri triplicisti utilizzano due ordini di argomenti per affermare la necessità che l'Italia resti fedele alle antiche alleate e le aiuti, magari colla semplice neutralità, a domare la Triplice Intesa: argomenti d'interesse e argomenti di moralità. Quando presentano i primi (opportunità di saltare addosso all'Inghilterra e alla Francia per conquistare un grande dominio coloniale), ostentano il più olimpico disprezzo per i pregiudizi morali: l'egoismo, la forza, il successo, queste devono essere le guide dei popoli : politica reale e non sentimentale ha da essere; chi si lascia fuorviare da sentimenti di diritto e di giustizia, tradisce la patria. Ma quando vedono che la loro « politica reale » non fa presa, allora ~irano a un tratto il manubrio, e mettono in B blioteca Gino Bianco

- 28 - opera la << mozione degli affetti » a base di scrupoli e di preoccupazioni morali. - Del rispetto della parola data, che cosa ne fate? - _.;:sciamanoessi indignati. Esiste fra Italia, Germania e Austria un trattato di alleanza. rinnovato nel 1912 per sette anni, che fa obbligo ali' Italia di tenersi neutrale. E' lecito violare sfacciatamente un solenne trattato? Nell'agosto passato, tutti i triplicisti proclamavano che l'Italia s'era disonorata perchè aveva proclamata la neutralità : oggi, tutti proclamano che la neutralità è legittima, anzi, secondo i patti della Triplice, necessaria. La realtà è che il testo dei trattati e degli accordi, dal cui insieme risulta la Triplice Alleanza, è segreto; e in queste condizioni manca a noi ogni elemento sicuro per determinare fino a qual punto, nelle attuali condizioni dell'Europa che sono assai diverse da quelle in cui la Triplice fu rinnovata, l'Italia sia tenuta a rimanere legata alle potenze centrali. Qualche cosa, però, possiamo dire anche noi che non abbiamo letto i trattati. E la più sicura è che dopo la violazione della neutralità del Belgio, nè la Germania nè l'Austria hanno più il diritto di invocare i trattati. ll nostro Governo avrebbe avuto il diritto e il dovere di disdire immediatamente, dopo quell'atto di sleale brutalità, ogni convenzione con le potenze centrali; non si conservano relazioni d'affari con chi dimostra tanta disinvoltura nel calcolare il valore della sua firma. Se non che, nell'agosto scorso, la nostra impreparazione militare, come in seguito abbiamo saputo, era tale che una nostra protesta avrebbe servito solo ad esporci a tremendi pericoli. Oggi la situazione è mutata a nostro vantaggio. E tutto ci consiglia a utilizzare finalmente la nostra libertà. E si può andare assai più avanti nell 'esamc: di questo « caso di coscienza». che è senza dubbio gravissimo, non per la Germania e per l'Austria, che non hanno più nessun diritto di fare le schizzinose in questioni di questo genere, ma per il nostro paese:, che deve tener alto il credito della sua firma, e sarebbe indebolito moralmente, anche di fronte alla Triplice Intesa, per un atto di slealtà. Biblioteca Gino 81dnco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==