I GIOVANI I N I T A L I A I N UNA I N D A G I N E DI SALVEMINI
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dell'Italia. A n c h e in A m e r i c a , che cosa fanno quei giovani che a c –
corrono a centinaia di migliaia alle partite di football, se non « fare
della gogliardia»? F o r s e fanno meglio a badare al football
c h e a
sciupare il tempo in cattiva politica. D e l resto la storia è fatta
non d a chi si diverte e va al football, m a dagli
altri. N o n c'è,
,
pertanto, d a essere scoraggiati per la situazione della gioventù
universitaria italiana.
C h e dopo venti e più anni di scuola fascista non più che il
venti per cento continui a V r e d e r e negli insegnamenti
ricevuti a
scuola, mi pare già una prova consolante di vigore intellettuale»
D o p o venti e più anni di scuola fascista, dall'autunno del 1943
alla primavera del 1945, si trovarono
nell'Italia del N o r d e del
Centro migliaia e migliaia di persone, quasi tutte ìn età giova–
nile, uomini e donne, pronti a rischiare la vita nella guerra contro-
i fascisti, e contro i tedeschi. Coloro che in tutti i paesi del mondo,
si dolgono che le scuole educhino male, dovrebbero consolarsi a l
pensiero che forse le scuole non educano affatto e quindi n o n
hanno sulle nuove generazioni nessuna influenza.
A n c h e per i giovani italiani che continuano a credere negli
insegnamenti delle scuole fasciste, non è niente affatto da credere
che sieno tutti stupidi o bruti. Sono semplicemente
giovani che
non hanno sentito ancora voci a cui credere con candore di cuore.
N e ho conosciuti che potrebbero essere rapidamente bonificati, solo
che vi fosse nelle vecchie generazioni chi ne prendesse cura, e non
desse loro esempio di una miseria spirituale, che non ha nulla da
invidiare a quella dei peggiori « gerarchi » di ieri. N o n posso pen–
sare senza commozione a un giovane fascista che conobbi a F i –
renze. F u fascista a 20 anni come tanti altri della sua generazione-
F u sorpreso dalla crisi del settembre 1943 mentre serviva in Grecia.
Continuò a credere che fosse suo dovere di buon italiano non ab–
bandonare il reparto. F u trasferito in G e r m a n i a , e di qui in Italia
a combattere nell'esercito repubblichino. T r o v a n d o s i a contatto in
convegni segreti coi partigiani, cominciò ad aprire gli occhi. P r o –
prio allora cadde ogni resistenza dei tedeschi e dei fascisti. F u
fatto prigioniero, mandato in u n campo di concentrazione, libe–
rato, fatto di nuovo prigionero, ancora liberato, ancora fatto pri–
gioniero e
finalmente
liberato e lasciato tranquillo. Parlava delle
Biblioteca Gino Bianco