Ugo Rabbeno - Le Società cooperative di produzione

BIBLIOTE:CAM~NSIL~ N 1111] 14 dellaCooperazfone e d llaPrevidenza Il. L'"L · L • L Anno Il, 1915 - SettembreO, ttobre,NovembreD, icembre ,.,u, ...... •••••••••P"'•••••••••••P•••• .. •••••••••1•••"•••••••• ...,, .. ,,, .. ,,,, •••••• ,, ...... --;-;-;--;;,;-;-:-;--,'";- LE SociCetoào~erative ~i ~ro~~zio DEL Prof. UGO RABBENO EDITO A CURA DELLA LEGA NAZIONALE DEf,U: CooPERATIVE E DELLA FEDERAZIONE ITALIANA DELLE SOCIETÀ DI M. S. MILANO • Via FHoe ,10

BIBLIOTECA MENSILE dellaCooperazione e d llaPrevidenza An:10 Il, 1915 - Settembre,Ottobre,Novembre,Dicembre LE Società Coo~erative ~irrMuzione DEL Prof. UGO RABBENO EDITO A CURA DF.LLA LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE E DELLA FED!:RAZIONE ITALIANA DELLE SoCil!:TÀ DI M. S. MILANO - Via Pace ,10

Como, 1915- Tip. Cooperativa CoJlllense_«A. Bari». ,,

PWEFAZIONE Un eco110111ist-aitaliano, troptJo presto rapìto alla scie11:::ai,l j1vof. Ugo Rabbe110, circa, 1ma trent'i11a d' mm-i.fa scrisse un'opera sulle CoojJerative di prod11- :::ione, che ancora oggi s,: p11,òreputare come 1ma delle pùì important-i che sfo110state pubbl-icate in Italia s11lt'argomento. - Col suo ponderoso e originale lavoro, il compianto prof. Rabbeno intese tracciare -· in 111,al,arga e diligentiss-irna introduzione storica -- la genesi e lo sviluppo delle assodazion1: cooperati:ve fra prod-1dtori, quali si manifestarono in Franàa, i11 Inghilterra, in Germania, in Italia, in Austria, in Isvi.f.- zera, negli Stati Uniti d'Amer•ica, - utilizzando nell' ultima parte dell' opera l' ampio materiale 1-accolto e anaUzzato per delineare scientificamente l' essenza e la portata, sociale del fenomeno coopemtivo cli produzione. Nonostante gli anni trascorsi dal'la s1ta prù1ia, apparizione, il libro del Rabbeno non mostrn affatto le rnghe edaci del tempo, specialmente nell'ultima sua

4 parte, che è qnella che la Lega delle Cooperative, con felice ini::-iativa,rimette ùi circola:::ione,a contatto col grande /mbblico dei cooperatori italia11i,sotto la forma, drl presente quadruplice op1:scolo111e11sile.Cotesta /Jarte forma 11n tutto organico, che si può leggere con profitto anche d\isgi111itamentedall' 'introduzione stor-ica, - la quale arriva fino all' a11no T888, e a,vrebbe bisogno di essere completata e i111:messanelln corrente viva, dcll' odierno movimento cooperativo interna:::ionale. Che cosa sono, pel Rabbe110,le Coo/Jerative di prodtt:::ione?Esse sono - risponde egli - 1111, fenomeno 11at11rale sponta,neo; sorgono negli ambienti pi,ì, di11ersi, soddisfacendo ad esigen:::e di vario genere, ed hanno per caratteristica essenziale di riunire organicamente in sè le ftt1izioni del lavoro e queUe del cap-italc. In esse e per esse, tanto il lavoro quanto il capitale esercitano insieme una data 1:mpresa,industriale. Il loro scopo è di sopprimere l' antagonis11w tra imprenditori e operai; modificando la forma dell'impresa in modo da togliere a-l lavoro quella disgra:::,iataqualifica di ( 111,erce » che ora glìi compete, e restituirgli la sua, indipenden.c:a economica, g,,iarantendogli in pari tempo una giusta retribuzione, e ripristinando nel campo della produzione l'equilibrio, che fra i s11oielementi principali è venuto a 'mancare. Come è generalmente noto, numerose, persistent'Ì e vivac-i furano, e sono htttora, le crit-iche rivolte dagU cconomist i ortodossi contro fa, coofJera:::ione in gc11ere e le Cooperat-ivedi prod11:.:fo11e in isjJecie. Il Rabbeno, con 11naac11tadùtinzione tra le iniprese produtt,ive esercite da operai e le vere imprese cooperative di prod1u:io11e, tnoslra co111ela maggior parte di coteste critiche 1101i

5 locchùio la ùnpresa cooperativa. L' -inettitudine degli operai ad esercifor l'impresa; la inopportimità per parte di essi di arrischiarvi i loro pochi risparmi; la mancata divisione di lavoro fra gli elementi della proctuzione; ~ son tutte obiezioni che rig1tardano genericamente il fettto di operai che esercitino in q1talunque modo un'imf;resa, e 110nin particolar modo l'ùnpresa cooperativistica. Le .difficoltà concernenti più specialmente l'impresa cooperativa sono invece quelle di ma-ntenere l'accordo fra i soci e fra questi e la direzione, di scegliere ed org.anizzare opporhmamente le forze di lavoro, di ripartire gli U-fili con un criterio che soddisfaccia in modo equ,o alle esigenze di tutti, e di impedire che l'impresa si s11at11rie perda il suo carattere cooperati·vo. Il Rabben,o pe11s(i che cotesti ostacoli speC'ifici che incontra l' im.presa coope1-ativa potranno essere fn buona parte 1'i11iossidal migliora,mento niorale e intellettuale deglii operai, i/. quale rafforzerà in loro la persistenza nei propos·iti e nei sagrifici, renderà più facile l'accordo, pi,} age·vole ad otte1ie1-si la disciplina e la subordinazione ad 1tn direttore; e farà sì che si rinvengano fra di loro più spesso uotn.ini fomiti delle doti 11ecessarie per la dire:Jio11edell' ù1d1utria. Il miguoramento morale e intellettuale dovrà inoltre far sviluppare in loro il sentimento della fratellanza e della solidarietà, e paralizzare quelle tendenze egoistiche, che necessariamente si affermano sotto lo stimolo dell'interesse ind-ividuale e tolgono alla società di produzione gra,n parte del suo valore sociale e morale. A suggello del suo lavoro - col quale l' aut9re intese prim:ipalmente st:udfore le cooperative di produ-

6 ::ione in rapporto alla questione operaia e quaU mezzi per la solu::ione di cotesta questione - il Rabbeno così condensa i risultati delle sue ricerche: Le _sol"ietà di produzione non contrastano per nitlla ai principii fondamentali della scienza economica; sono in massima pa,rte possibili e vantaggiose; non incontra-no alet,tna obiezione assoh1ta, non presentano alcun difetto, tali da indurre a combatterle, a disintei'essarsene, ad avere in esse completa sfiducia. Esse offrono dei vantaggi sicuri ed ùicontrastab-ili; la loro diffusione, se può e deve necessariamente var,:are a seconda dei Paesi e delle loro condizioni, in genere è, non solo possibile, ma certa, ed è destinata ad estendersi; poichè il progresso morale, intellettuale, economico, che esse richiedono è sicuro, nè l'evoluzione industriale presenta caratteri tali da non lasciar loro un campo abbastanza vasto di espansione. Le società di prod1-tzione trovano, adunque, posto onorevole fra, i riinedii coi quali si tende a risolvere la questione operaia, o, almeno, ad attenuarne la gravità. Però, non bisogna fMsi illAtsioni, sempre pericolose e talora anche fatali. L'attuazione delle società di produzione non è facile; l' esercizio dell'impresa pc·r parte di opera.i presenta cleUe gravi clifficoltà, incontra dei « liniiti di applicabilità», che variano secondo le condi::ioni, i Paesi,. le industrie; che possono essere allontanati, ma che pure ci sono, e che d' im tratto non si fanno certamente elimina,re, nè forse del t1dto si potranno elùninare g1:ammai. L'impresa, poi, esercitata da, operai nella form,z coojJerativa, od in forma che si a.vvic-ini al tipo cooperativo, presenta difficoltà anche piiì gravi, mala~

7 gevoli ad essere superate anche solo in parte e temporaneamente, e più ancora ed assere abolite del tittto e defonitù1amente. Da tali limiti di appticabllìità della società di prodnzione si deduce che essa, così come pare tenda ad esplicars·i anche per l' avvenfre, si presenta piuttosto quale valido me:;zo cli miglioratnento economico e di emancipazione di gruppi limitati di lavoratori, che non della intera classe degU operai delle industrie. * * * Co11trariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, una simile conclusione su,lla portata sodale delle coopemt·ive di produ.zione non è pessfrnistica o scoraggiante. Intanto il Ra.bbeno, con ·una serrata argo1:1ientazione scientifica, che bisogna avere la pa- ::ienza di leggere attentmnente, mostra che la forma di cooperazfone, di rni è parola, è perfettamente consona ai princ-ipii della scienza econonvica - il che non è poca cosa di fronte alle negazioni di molti nostri avversari. In secondo luogo, egli affe.nna che la cooperazione produttiva offre indiscutibili vantaggi e trova un posto eletto fra i mez,-::iper risolvere la questione sociale. Coteste du.e affermazioni f ondamentaU sono, è vero, temperate dai « linviti di ap·plicabilità » che incontra.no le associazioni di produ,zione; ma tali « limiti » non vogliono concettitalmente significare che que·sto: la coopernzione non è, non può essere, una panacèa universale. Essa non può completamente risolvere la questione sociale. Nel ca.tnpo della produzione vi è una indeprecabile eterogeneità, per la quale le va.rie industrie segno110, e non possono non seguire, linee diverse di sviluppo.

8 E' assurdo pensare che im',unica forma d'irnpresa possa assorbire tutta quanta la produzione. Questo ha voluto afferma1·e e dimostrare il Rabbeno, e in tale sua dimostraz-ione noi pensiàmo si debba cadere d'accordo. Astraendo, -i-nfatt-i,da altrt conside1·az,ioni, basta pensare ai rw1ne1·osi monopoli naturali, che sbocciano sul terreno della produzione, per accorgerm. come la cooperazione fra produttori (che è pur se1npre un' associaz-ione tra privati) debba trovare cfei limiti di applicazione, non soltanto per ragioni tecniche, tna anche per motivi di giustizia socia-le. Supposto, in effetto, che wn gruppo- di cooperatori riesca a ùnpossessarsi di un nionopol-io - la cui caratteristica è di sfu.ggire in gran parte o totalmente alla concorren$a - ess-i 'Uerrcbbero na,turalniente ad itsufru,ire di una rendita 1nonopolistica, in tutto od in parte g-rahtita, ad es'Clusionc della collettività dei cittadini, i quali ùi tal modo potrebbero di-rsi « sfruttati », non importando loro affatto che lo sfruttamen-to avvenga da parte di un capitalista, o di un gruppo di coope1•atori. Dal punto di vi'..stadella gùtstizia sociale si deve pertanto esigere che i rnonopori - i quali abbra.ccian.o una sf<wa abbastanza a1-np-iadella, proditzione - sieno gestiti ed aniministrati dalla collettività a mezzo di imprese pubbl~che coattive, sia sotto la forma di nvunicipalizzazfoni, che di nazio1-ializza:sionio statizzazioni. Solo media.nte queste fo,-me d·i inifJrese collettive si possmio ge1ieralizzare le re~idite monopolistiche ed impedire gli sfruttamenti che •ne derivano; qualsiasi altra fo1'ma d'impresa - comp1~esa la cooperal'Ì'i!Ùtica - è inadeguata al raggiungimento di tali scopi. Ecco perchè dicia.mo che, anche dall'angol-o visuale delt' equità sociale, le cooperative di prodwziotie

9 debbono incontrare dei lim.iti di pra,ticabilitd. Certamente, sarà sempre meglio che una posizione monopolistica venga goduta da dei cooperatori, anzichè da un imprend'it ore privato; ma meglio ancora, se potrà essere s1na11tellatamediante una n·t1micipaUzzazione o una statiszat:ione, s'intende coll'osservanza dei sani criteri tec11ici di realizzazione. * * * OgnHn comprende che qnesto fugace accenno alla « pref eribif.ità » delle imprese col!ettive ( municipali o statali) nei casi di monopolio naturale, non esprime aff ato alcuna sfiducia ap1·ioristica contro le cooperative di produ:::ione; esso non è che una breve illustrazione del principio di relatività messo in rilievo dal Rabbeno nel suo lavoro. Il Rabbeno, mente sottile e critica, non pofe7..1abbandonarsi al piano facilonismo di coloro i quat1: pensava.no che le associazioni di proditzione, in pochi decenni, a1webbero a11iito il sofn·avvento sulle imprese cap,itaUstiche; non jJoteva far sua l'opinione semplicista secondo la quale basta che un'intrapresa q1,1alsiasi si dica cooperativistica, si metto, l'etfrhetta vistosa della çooperazione perchè abbia l'esito assicurato. Ben altro occorre! Occorre una fede salda nella propria a:::ione, ma, 1tna fede illuminata, consapevole degli ostacoU, delle difficoltà, delle insidie, che ad ogni momento si parano cHnan::.a:il nostro camnvino. Di taU difficoltà ogni lettore potrà rendersi conto meditando le pagine che seguono. Ma non per que~to dovremo lascia.i-ci prendere dallo scoraggiamento. Ciò significherebbe il più completo disconosci1nento dello spirito animntorc del libro del Rab-

IO beno. I cooperatori, coloro che si fanno promotori dì una società d'i produzione, devono sapere che, se la loro opera è a1'dua e problematica, nei risultati, tanto più è 1-11,eritorianella nvisura in cui riesce; de'vono sa,j)ere che ogni cooperativa di prod1tzione, che prospera e resiste ai colp·i della concorrenza, realizza 11,nprinc-ipio super-iore di solidarietà 'Wrnana; de'vono sapere che più ci sforziamo di allargare ,i confin·i della cooperazione, più estendiamo anche quell,i della pace nei rapporti economici. E di quanto possono essere allargati questi confini, speC'ialniente nell'Italia nostra, I Tra quante centinaia di migliaia di artigiani, di piccoli proprietari'., d,i p,iccoli industriali italiani può cadere il genne feco,ndo della cooperaz-ione I Ah I davvero il nostro Paese non è saturo di cooperazione, carne andaron scrivendo qualche anno fa, con intenzione maligna, quei puùblicisti reazionari, che condussero una velenosa campagna contro il nostro movimento! Magari l'Italia f asse « satura » di coopera,zione sotto tutte le forme! Oggi, nella prova, difficile che stiamo superando, il nostro organismo economico sarebbe più forte, meno esposto ai colp-i di affaristi e d,i lestofanti, che sui bisogni della nazione spec,nlano oscenamente, creandosi 1,ap,ide e immeritate fortune; il parassitismo sociale non allignerebbe così rigoglioso, il rincaro della vita 110n si farebbe sentfre così crudamente, e la 11ostra,lotta per contrastarlo sarebbe di gran l1-tngafacilitata_, Ma quel che non, si è fatto, si può fare per l'avvenire. Dobbiamo guadagnare 1:t terreno perduto; dobbiamo mntare (lo si lasci scrùnre a 11,noche non /1a, tenerezze per la Gennania !) i cooperatori t,edeschi, i

II quali. nei due prestiti nazionali per le spese di guerrci, hanno potuto sottoscri1;ere per ben 660 m,i[ioni d,i marchi! Questo enorme cont,1-ibutodi guerra, per una fatale congiuntura, storica e per la delittttosa politica del Kaiser e della casta militare prussiana, è ora desti- 'llato a ,Jolgersi contro la causa della civiltà e della libertà dei popol-i; ma, in sè considerato, è itn indice cloq11fmtissimodi quanto possa rappresentare il 1novimento cooperativo in una nazione mode,nia. Possa ogni uomo di b1tona volontà centuplicare le sue e11ergie,e trovare ovunque un'eco la voce che ùistaucabilnte!lte diffonde - a me:izo di giorriali e di opuscoli - la Lega Na:::ionale delle Cooperative. Da questo nobile proselitismo non potrà scati.rire che una Italia migliore! ETTO.RE MA.RCHIOLI.

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I. Il concetto scientifico della Società cooperativadi produzione. L1 cooperazione non è un fenomeno artificiale, una inYenzione, sia cl I socialismo, sia della scienza. Sebbene talune forme di essa si accostino, per la loro ori- ~\·ine, al socialismo, e cli poi, pel loro sviluppo e pei loro caratteri, alla cconcmia politica; tuttavia lo studio di tutte le manifestazioni e del suo svolgimento nei diversi paesi, ci dimostra chiaramente che essa è un fatto naturale, spontaneo. Ora questa spontaneità, per la quale la cooperazione si svolge in ambienti diversi e sotto forme disparnte, soddisfacendo ad csig"nzc cli vario genere, rende molto malagevole la formazione di un concetto generale e sintetico, che tutte le manifestazioni abbracci e comprenda; mentre, se si trattasse di qualcosa di artificiale, che avesse origine ed indole definite, la bisogna sarebbe molto più facile. La elaborazione cli un tale concetto è stata molto laboriosa e lenta, sia nella vita comune e fra gli stessi cooperatori, sia nella scienza; nè si può dire che ora la nozione della cooperazione sia perfettamente e nettamente formulata. A noi sembra opportuno, prima di porci ad una analisi metodica, di accennare brevemente ali' evolu-

14 zione che la cooperazione ha subìta nel concetto volgare, e poi più largamente a quella che è avvenuta nella scienza. Le diverse forme della cooperazione si sono da prima manifestate senza alcun nesso tra di loro, soddisfacendo a bisogni affatto diversi; nè fra esse alcun rapporto si è ravvisato; di loro si son formulati concetti differenti, e spesso si son dati loro anche differenti nomi. La cooperativa di consumo, per esempio, apparve come mezzo di eliminazione degli intermediarii del piccolo commercio, e come strumento di facile risparmio; ed oseremmo quasi affermare che, se essa, invece cli esser sorta fra degli o,perai, a vessc avuta origine in mezzo ad altra classe, non si sarebbe mai pensato, o solo ben tardi, ad avvicinarla alle società operaie di produzione. In Germania sorsero e si svilupparono numerose, specialmente fra gli artigiani, le unioni cli credito cooperativo; ma non si ravvisò alcun punto di contatto fra cli esse e quelle associazioni pel credito fondiario, che nella Slesia erano state fondate sino dal secolo scorso da Wolfango di Biiring. Le società di produzione sorsero come unioni cli lavoratori, che tentavano di reagire contro il capitalismo dominante nell'ordinamento attuale, e di sopprimere, almeno ne'! loro ambito, il salariato; e, considerando,l.e da questo punto di vista, si stentò molto a comprendere gli stretti rapporti che passa vano fra esse ed un'altra forni.a, che in altre condizioni, con altri intenti, si era andata spontaneamente diffondendo eia gran tempo: quella delle latterie sociali e di al tre analoghe associazioni. Ma, a poco a poco, si è venuto elaborando della cooperazione un concetto comune a tutte le forme: si è cominciato a vedere che fra di esse esistevano stretti rapporti, non solo immediati e materiali, ma anche ideali; e la coscienza di tali affinità fece avvicinare le diverse forme di loro, le fece unire e le strinse con vincoli cli fratellanza e cli solidarietà. Pur tuttavia il concetto generale della cooperazione

15 restò fra i cooperatori molto oscuro ed equivoco: si comprese che ci doveva essere, ma non lo si s-eppe precisamente formulare. Un cooperatore pratico vi darà molto facilmente, e con bastante precisione, la nozione delle singole forme delle associazioni cooperative, derivandola dai loro div,ersi scopi: ma vi delineerà molto imperfettamente e con difficoltà il concetto generico della cooperazione. Quello che più comunemente si son formati i cooperatori è un ·concetto storico inesatto: essi hanno ravvisato in molti istituti diversi, di origine recente, lo scopo di provvedere al miglioramento economico-morale delle classi meno abbienti, per opera della iniziati va associata dei membri di quelle classi medesime; e qui si son fermati; e, se gli istituti cooperati vi, o chiamati tali, non si son confusi con altri che potevano esser •compresi in quel concetto, si fu che quegli altri avevano già altri nomi, altra origine, ed ordinamenti caratteristici. Così, per esempio, le associazioni cli mutuo soccorso e quelle di resistenza non furon comprese nella cooperazione, sebbene ne avessero taluni caratteri. Insomma, nella prati·ca della cooperazione, alla se1x1.razione completa dei diversi istituti cooperativi, è sottentrata la coscienza di qualcosa di comune che tutti li avvinca; ma tale vincolo è assai indeterminato, e fra i cooperatori voi ne cerchereste invano un concetto preciso e scientifico. Anche nella forma speciale della società cooperativa di produzione si è andato man mano elaborando praticamente un concetto, il quale, sebbene non sia ancora ben precisato, pur tuttavia accenna a precisarsi. Non andremo a ricercare questo concetto nella forma spontanea delle latterie sociali, chè in queste si ha un fatto naturale, originatosi quasi inconsciamente, e manifestatosi sotto un aspetto da prima affatto informe; i montanari che, sotto l'impulso della necessità, costituirono le latterie sociali, non ve ne saprebber di certo dare una nozione più o meno esatta. In Francia, ove, prirna che in ogni altro paes,e, fu-

16 rono in onore e si diffusero le società di produzione, il concetto che se ne ebbe da prima fu un concetto socialista, un concetto ostile al caipitale. Tale era quello che aveva Buchez, e tale fu anche quello cui, sotto altra forma e con intendimenti ben diversi, si inspirarono le società parigine; società di lavoratori formanti da sè medesimi il capitale necessario, ma che, nella ripartizione degli utili, davano assoluta prevalenza al lavoro. Ed anche quando l'influenza socialista si attenuò e disparve, quando si rinunziò all'eguaglianza elci salarii, quando si abbandonò da tutti l'idea del fondo indivisibile; quando, più innanzi ancora, le società più vecchie cominciarono ad assumere caratteri speculativi; anche allora la prevalenza dei lavoratori come tali rimase quale caratteristica della società di produzione. Anche nelle società di consumo si ebbe qualcosa tii simile: ,chè esse, pure nella loro origine, non erano animate certamente da sentimenti molto benevoli verso il capitale. E difatti nella ripartizione dei risparmi rrnlizzati sul consumo, il capitale non ha parte alcuna, ecl a lui tocca soltanto, quando gli tocca ( chè ci sono delle associazioni, poche invero, che nulla <limno al capitale). una quota percentuale che non è nè un intc-· resse, nè un profitto (dividendo), ed anzi ha gli inconvenienti dell' uuo e clell' altro, senza averne i vantaggi; poichè è preventivamente fissata, come sarebbe l' interesse di uu capitale prestato, senza che ne sia assict1r:1.to il pagamento anche ove non si realizzino utili; e corre tutte le alee del dividendo, senza avere la prospettiva di aumentare, quando gli utili della azienda siano in aumento. Nelle società cli produzione però il eone-etto della prevalenza assoluta del lavoro, e le tendenze ostili al capitale, vennero man mano trasformandosi; da una parte gli sforzi che l'accumulazione del capitale costò agli operai associati, e dall'altra l'importanza che il capitale venne assumendo nelle industrie esercitate

dalle associazioni, via via che esse si ingrandivano, fecero sì che si trovasse necessario un miglior trattamento del capitale; ed allora il concetto della associazione si trasformò, ed a quello della prevalenza assoluta del lavoro si venne a sostitnire l'idea dell'associazione del capitale e del lavoro nella impresa della pro- <lnzione. E' ben vero che si potrebbe osservare che si è andati molto più avanti, sino a dare assoluta prevalenza al capitale in imprese produttive operaie, elette impropriamente « cooperative»; ma ciò non ha nulla che fare col concetto e coli' ideale della cooperazione, chè quest'ultima forma e quelle varie che vi si avvicinarono, non foro.no dai cooperatori prese come tipo di cooperativa; mentre invece il concetto che è ormai diffuso fra di essi, ed al quale si tenta di ridurre le società di produzione, sebbene poche invero siano finora quelle che gli corrispondano esattamente, è quello di nna impresa produttiva in cui capitale e lavoro si trovino associati. Noi non troviamo idee molto più chiare se, dalla pratica della cooperazione, passiamo a rintracciare il concetto, sia della cooperazione in genere, sia delle società di produzione, ne:lla scienza economica. Molti economisti, moltissimi dilettanti cli studi economici, si sono occnpati, specialmente nei momenti in cui furono maggiormente di moda, degli istituti cooperativi; ma assai raramente si trova nelle pubblicazioni relati ve tanto numerose eia costituire eia sole una vera biblioteca, qualche concetto teorico che ne disegni a contorni chiari e pr,ecisi il concetto, e determini con altrettanta precisione il loro carattere cd il loro valore economico. Non ci occupiamo qui del concetto generale della cooperazione nella scienza, chè avremo da ritornarvi sopra in altro momento: ma basti il dire •che la maggior parte degli economisti non ha analizzato a fondo questo fenomeno, si è limitata ad uno studio empirico e su- :i

18 perficialc, e si è uniformata più o meno al concetto che era stato dato confusamente dai cooperatori in genere. 11 Cossa, sintetizzatore felicissimo dei concetti scientifi-ci, dà nei suoi classici « Elementi >> la seguente nozione delle società cooperative: « creazioni autonome « degli operai, e dei piccoli imprenditori, che si pro- « pongono di migliorarne le sorti, procurando loro con- « dizioni più favorevoli quanto alla abitazione, al vitto, <~ al credito ed all' esercizio individuale o collettivo delle « rispettive industrie». E questa nozione è quella prevalente così nella scienza economica, come nella pratica: ma non è nozione scientifica, pct'.Chè si ferma alla apparenza esterna del fenomeno cd al suo scopo, senza additarne l' intima natura economica. Anche il concetto della società di produzione non è nella scie1~za delineato molto nettamente, ed è foggiato presso a poco su quello più o meno empirico dato dai cooperatori. Però un tale concetto noi lo troviamo esposto in modo diverso dagli economisti più eminenti che si sono occupati delle società di produzione; e ci sembra utile ed anzi necessario di fare un minuto esame delle principali opinioni da e3si esposte, prima di procedere nella indagine per conto nostro. I varii concetti dati della società di produzione dagli eco11omisti, ci sembra cli poterli raggruppare nei seguenti: a) emancipazione dei lavoratori dal capitalismo, mediante il possesso del capitale, e quindi associazione cli operai possedenti il capitale; b) associazione cli operai esercitanti l'impresa della produzione in cui lavorano, e possedenti il capitale occorrente; e) associazione di operai per l'esercizio dell' impresa della produzione in cui lavorano, senza che si accenni alla necessità che essi posseggano pure il capitale occorrente. La prima cli queste nozioni è largamente svolta dal Cairnes nei suoi cbssici << princ.ipi fondamentali -P, nei

19 quali, dopo di aver riconosciuta la condizione cli infcriorid in cui gli operai si trovano cli fronte al capitalismo, e cl' altra parte rifiutando il socialismo come inattuabile, propugna la cooperazione cli produzione come mezzo per « riunire nella stessa persona le due capacità di lavoratore e cli capitalista», e per aumentare il salario coi profitti del capitale. Questo concetto del Cairnes è molto opportunamente rettifi.cato dal \i\Talker, il quale osserva come l' essenza della cooperazione cli produzione non stia nel possesso ciel capitale per parte dei lavoratori, ma nel1' esercizio cieli' impresa per parte dei medesimi. I lavoratori, osserva il \iValker, sono capitalisti anche solo quando portano alla cassa di risparmio le loro economie: ma ciò non è cooperazione, poichè questa mira ad eliminare non i capitalisti, ma gli imprenditori, vale a dire gli intermediari fra capitale e lavoro. f\ nche lo Stuart Mili esprime un ,concetto analogo a quello cld Cairnes, sebbene giù appaia in esso, come in germe, l' idea dell' impresa, quando definisce le società cli produzione << associazioni cli operai posti in « condizione cli eguaglianza, possedenti in comune il « capitale, mediante il qLiale fanno le loro operazioni, « lavoranti sotto la direzione di gerenti, che sono eletti « da essi, e che essi possono revocare». Ma nella maggior parte degli altri economisti, e nelle loro opere più recenti. il concetto della società cli produzione come « forma cieli' esercizio cieli' impresa» e come « impresa esercitata dai lavoratori », è nettamente delineato: soltanto noi troviamo discordanza in questo punto, che, mentre taluno pone fra le caratteristiche di tale impresa la formazione del capitale e di tutto il capitale per parte dei lavoratori soci, invece altri 11011 ne parla od esplicitamente non riconosce tale necessità. Ora fra questi due concetti vi è una sostanziale diversitù, poichè l'impresa può concepirsi astrattamente come esercitata anche senza capitale; ed in concreto può esercitarsi anche con poco capitale, ove si prenda

20 a prestito il resto: e certe imprese per di più, anche praticamente, richiedono solo un capitale 11111111110, o non ne richiedono affatto; coskchè il concetto della società di produzione, come cli associazione di lavoratori esercenti l'impresa e possedenti il capitale, è più ristretto cli quello che la considera semplicemente come « impresa eser·citata dai lavoratori associati». Per citare alcuni nomi, diremo che si accostano :il primo concetto le nozioni della società di produzione date dallo Schonberg, dal Klci1nvachter, dal Fliixl, dal Lo Savio, dal Cossa, dallo Schaffle. Secondo lo Schonberg « l'associazione di proclu- « zione «pura», è una intrapresa nella quale gli operai << che in essa lavorano la fanno anche ad un tempo eia ~ imprenditori, esercitando per conto ed a rischio co- « munc e sotto la loro responsabilità solidale l'intra, « presa; essi ono i proprietari i del capitale impiegato «nell'intrapresa». Più brevemente e con maggior precisione il Cossa la dice « costituita da operai od artigiani i quali, met- « tendo in comune il loro lavoro ed i loro piccoli capi- « tali, si fanno imprenditori, assumendo tntti i rischi « della produzione per goderne l'intero pwfìtto ». •nche lo Schiif fle fa consistere la caratteristica cklla Cooperativa di produzione nél fatto che i soci esercitano tutti l'impresa, partecipando alla produzione « 3.d un tempo col ·capitale e col lavoro», e richiede sempre in essa la condizione che « tutti i soci posseggano capitale»: ma questo autore dà alla << impresa cooperativa» una importanza tanto scientifica quanto pratica assai maggiore cli quella che le è data dagli autori precedentemente ·citati, poichè la prende addirittura come base della sua dottrina delle forme dell'impresa industriale, contrapponendola alla impres'.l capitalista, che egli chiama « impresa a signoria». Invece alcuni altri economisti non si fissano tanto su questo punto ciel possesso ciel capitale per parte dei lavoratori esercitanti l'impresa della produzione in cui

:;i1 sono occupati, e fanno risiedere la caratteristica della associazione soltanto in tale esercizio. Così lo Thornton definisce l'associazione di produzione, una « associazione di lavoranti ·che da sè stessi « provvedano tutti i requisiti per il loro proprio impiego», espressione alquanto oscura, ma che non implica l'a proprietà per parte dei soci di tutti questi << requisiti ». Più nettamente il Gobbi dice essere la cooperativa di produzione quella associazione in cui « il personale ~ impiegato nell'impresa assume l'impresa stessa». Meglio poi che da ogni altro, questo concetto della società di produzione come « impresa esercitata dai la- « voratori che in essa sono occupati», è illustrato dal Walker, il quale a questa stregua ne delinea nettamente la natura e lo scopo. I cooperatori, egli dice, mirano ad eliminare l'impresa, e di·cono all'imprenditore: voi adempite ad una funzione necessaria, ma vi fate pagar troppo caro, e ciò va a danno nostro; attualmente nell'industria si ha un prodotto che varia secondo le circostanze; un salario fisso, che voi dovete pagarci ad ogni modo, e prima di ottenere il prodotto; e finalmente per voi un profitto che varia secondo che la produzione va bene o male. - Ora, dicono i cooperatori secondo il Walker, noi Yogliamo invece avere: un prodotto variabile, come sempre; un direttor•e pagato a salario fisso, chè saremo noi ad assumere i rischi ; ed un guadagno variabile per noi. Non è del capitalista che i ·cooperatori vogliono far senza, dice il Walker: al capitalista essi ricorreranno pure per avere capitale, come vi ricorre l'imprenditore; ma sì bene è l'impresa che essi vogliono esercitare. Finalmente non vogliamo tralasciare di ripor•tare anco il concetto espresso dal Brentano; poichè, se esso è assai affine a quello del Walker e del Gobbi, è però formulato in modo alquanto diverso. Secondo il Brentano, « l'associazione di produzione « è uma unione di più individui per la produzione di un

22 << cletermiuato bene (o di beni di una determinata spe- « cie), caratterizzata da ciò che tutti i membri della as- « sociazione si assumono tutte le funzioni dell'intra- « prenditore». Nozione alquanto oscura, che è alcun poco chiarita dalle spiegazioni che seguono: « Carat- << teristico, quindi, della associazione di produzione si << è che in essa non è utilizzata altra forza di lavoro « tranne quella degli imprenditori »; e scopo è cli trasformare l' « imprenditore cli lavoro », o salariato, in « imprenditore della produzione». Dove si vede adunque come il Brentano concepisca la società di produzione, come impresa esercitata dai lavoratori che vi occupano il loro lavoro. Ma poi egli soggiunge che « non appartiene pun'to « alla essenza dell'associazione di produzione, che i suoi « membri assumano la funzione di imprenditore unica- << mente come lavoratori e non anche come capitalisti, « in quanto tali essi siano; il vero essendo inv,ece che << essi assumono tale funzione con riguardo a tutte le « loro forze economiche, a tutti gli elementi della pro- « dnzione, ,che essi applicano a quella produzione». Cosicchè 11011 si capisce bene se l'autore richieda o no che gli operai imprenditori siano anche capitalisti; o se piuttosto, quando egli dice che « tutti i compartecipi» alla produzione devono, nella società di produzione, partecipare a tutte le funzioni dell'intrapresa, intenda esprimere l'idea che non solo il lavoro, ma anche il capitale, debba partecipare all'impresa; e che quindi della società di produzione possano far parte tanto dei setnplici lavoratori, quanto dei lavoratori che concorrono nell'impresa anche con del capitale, e quanto dei semplici capitalisti, purchè tutte queste classi concorrano, a parità cli condizioni, all'esercizio dell'impresa. Concetto questo che corrisponderebbe a quello che, come si vedrà, noi andremo svolgendo in seguito. Ma anche nelle esplicazioni che il Brentano dà alla sua idea, con alcune sottili distinzioni che gli servono per escludere dal tipo «puro» cooperativo, talune forme che comunemente passano per tali, e che soltanto le si

avvicinano, non si riesce a chiarirne a sufficienza il cornzetto. Volendo noi ora accingerci a delineare per conto nostro il concetto scientifico, sia della cooperazione in generale, sia della società di produzione, giovandoci naturalmente della idea espressa dagli economisti sopra citati, ma facendone in pari tempo la critica, in quella parte in cui ci sembrino manchevoli; noi crediamo necessario prender le mosse da una teoria di cui questo argomento implica una nozione esatta: la « teoria della impresa», ·s•enza la quale non ci sembra .possibile giungere al concetto della cooperazione. La teorica dell'impresa è una di quelle che più difficilmente si è anelata elaborando nella scienza economica, e si può dire anzi che essa abbia preso quel posto importantissimo che le competeva soltanto in questi ultimi tempi. Molto si è stentato a chiarire la natura del profitto dell'impresa, da taluni confuso con quello ciel ca,pitale in genere; e da molti si è compresa male l'essenza degli antagonismi esistenti nella produzione, appunto perchè si misero di fronte capitale e lavoro, mentre al lavoro si doveva invece contrapporre l'impresa capitalista. In questi ultimi tempi però l'argomento dell'impresa è stato studiato ed analizzato minutamente; il suo posto nella teoria della produzione è stato determinato, e la sua influenza grandissima sulla distribuzione delh ricchezza è stata perfettamente chiarita. fra i numerosi autori che si sono occupati di tale questione, noi ravvisiamo, nel modo di considerare la impresa, due indirizzi diversi. I più hanno studiata l'impresa industriale come in generale si esplica nell'ordinamento economico attuale, e come è necessario portato della divisione ciel lavoro; ed i caratteri eia essa assunti, e specialmente uno di essi, hanno presi come tipici dell'impresa in genere, considerata da essi come forma più o meno assoluta, unica. Di qui la nozione data dell'impresa eia tanti economisti, P, per esempio, per citarne alcuni, dal Rau, dallo

24 Stein, dal, Wirminghaus, dallo Séhonberg, dal dottor Cassa, dal Gross, come una << produzione ~>( altri dice riunione degli elementi produttivi per la produzione) di « valori di cambio » ( o a scopo di scambio) « pei· conto » ( e rischio, aggiunge taluno, sebbene dicendo « per conto» si comprenda anche l'idea del rischio), - «proprio» (ossia dell'imprenditore - altri dice più impropriamente « del produttore»). Questa è l'idea che più comunemente si ha dell'impresa fra gli economisti, e della quale fa parte lo « scopo di scambio»: ad essa si è giunti a poco a poco, aggiungci,do od eliminandone degli attributi che sembravan proprii dell'impresa, o che una più minnta analisi climo5tta va non essere essenziali; e neppure ora si è mollo concordi intorno ad essa. Invero taluno richieck come essenziale llell'impresa la direzione, mentre altri (Mangoldt, Gross, Mataja) a ragione prescinde da tale requisito, che può anche mancare, senza alterare l'indole dell'impresa; taluno vuole nell'impresa anche 1'impiego- cli capitali, mentre altri non lo ritiene essenziale, ecc. Noi non scguircm.o questi ed altri autori nelle loro minute analisi, che spesso giungono a conclusioni contraclditorie, e che diurno luogo a m·olte distinzioni, che, dal nostro punto di vista, non ci interessano; e ci fermeremo soltallto sul concetto fondamentale che in tutte, è compreso, dell'impresa come di « assunzione della produzione per conto proprio ed a scopo di scambio~>. Ora a questo concetto si oppone un altro indirizzo che va nettamente delineandosi, e nel quale noi posstamo riunire, sebbene si pongan da punti di vista alquanto diversi, i nomi del Kleinwa•chter, d-ello Schaffle, ciel Walkcr, del Mataja, del Gobbi, del Mithoff. Questo nuovo indirizzo ci sembra essere, in ultima analisi, un frutto dc! metodo storico cd evolutivo, secondo il quale l'ordinamento economico non ha caratteri fissi, immutabili, ma cambia nelle sue forme, le quali, se, hanno degli elementi permanenti, ne hanno pure di eminentemente variabili.

Secondo questo indirizzo l'impresa, quale è concepita nella nozione data precedentemente, non è che una « forma speciale» una « forma storica» di un fatto più generale; è la forma attualmente prevalente nella economia privata, e frutto della divisione del lavoro. Alla « teorica dell' impresa» si aggiunge in Schaffle la « teoria delle forme d' impresa», nelle quali, come ved~mmo, egli contrappone la forma <<cooperativa» alla forma « a signoria ». Il concetto della impresa, viene così allargato: le si dà un valore molto più generale, e le si toglie la caratteristica dello « scopo di scambio», propria non dell' impresa, ma di una « forma di impresa ». L' impresa in generale è definita dal Gobbi « I' ente che dispone degli elementi necessarii per la produzione e li impegna a suo rischio », e dal Kleinwachter « la unione per conto e pericolo (rischio) proprio, di forze produttive a scopo di produzione»; definizioni che si equivalgono. Il Kleinwachter poi distingue questa, che egli chiama « impresa in lato senso», dalla impresa « in senso stretto », che è « la riunione, per conto e rischio proprio, di forze produttive diverne, a scopo di produzione e di smercio di valori di cambio », cioè <J. dire la forma di imprese attualmente prevalente nella cco.nomia privata. Dando ali' « impresa» questo significato generale di « assunzione della produzione» (o di riunione delle forze produttive per la produzione) « per proprio conto», è evidente, che non solo la impresa detta dal Kleinwachter « impresa in senso stretto», diventa una semplice «varietà» o <<forma» della impresa in genere, ma che altri sistemi economici, che, colla nozione ristretta di impresa, ne erano esclusi, ne diventano essi pure « varietà o forme»: cosicchè, a lato della impresa privata a scopo di scambio (o speculativa), noi abbiamo, come esplica benissimo il Gobbi, una « impresa pubblica», una « imp·resa caritativa», una « impresa cooperativa>>, ed anche, ( ciò che non è ammesso dal Gobbi) una. « impresa domestica»; chè noi, par-

tendo da questo concetto generale dell'impresa, non sappiamo ravvisare nella « produzione domestiéa » akun carattere che la distingua esenzialmente dalle forme dcli' impresa. Anzi ci sembra che quest' ultim:a forma si contrapponga perfettamente alla « impresa speculati va», che ha caratteri opposti; chè, come dice il Kleinwachter, è in lei « insito il concetto che essa produca pel fabbisogno altrui », lucrando la differenza fra il costo cli produzione ed il prezzo di vendita; mentre la « impresa domestica» produce pel << fabbisogno proprio >>, e non realizza alcun lucro. Il lungo discorso fatto a proposito dell' impresa, ci apre l' adito -a delineare brevemente, e, a nostro avviso, chiaramente, il princpio su cui son basate tutte le forme delle « società cooperative»; e quello cui è informata la «cooperazione» in genere, concepita come forma generale di ordinamento economico. Questo principio è stato già accennato dal Gobbi e dallo Schaf fle, e molto più largamente, sebbene in modo un po' confuso, dal Wollemborg; e noi non abbiamo che da chiarirlo maggiormente e da esplicarlo. La « società cooperati va» è una « forma speciale di esercizio dell' impresa industriale»; forma che si contrappone alla « impresa speculativa» od a « scopo di scambio », e che invece trova riscontro nella « impresa domestica », colla quale ha intrinseca analogia, e da cui si distacca non per differenze essenziali, ma soltanto per differenze estrinseche e storiche. La « società cooperativa» è una << associazione di consumatori », dice il Gobbi; è «l'organizzazione spontanea di una pluralità di economie particolari, dominate da un comune bisogno, per esercitare collettivamente ed in modo autonomo la funzione industriale, che produce le specifiche prestazioni economiche atte a soddisfarlo», dice il Wollemborg; ed in questa nozione il concetto della cooperazione è benissimo esplicato: vi manca però un' idea, ed è che « la funzione esercitata collettivamente serva a soddisfare soltanto i bisogni di coloro che la esercitano ».

27 Tutte le forme della cooperazione si possono raccogliere sotto questo concetto. Infatti la « società di consumo » è cooperativa in quanto i consumatori si riuniscono per esercitare, e per essi soltanto, il servizio della distribuzione; la « società di credito» è cooperativa in quanto i bisogni di credito si riuniscono per fare a sè n1.edesimi, ed a sè solamente, il servigio della prestazione del credito; la « società di costruzione» è cooperati va in quanto i bisogni di case si uniscono per provvedere a sè medesimi le case che loro occorrono; la « società di produzione» è cooperativa in quanto coloro che hanno bisogno cli assumere la « produzione» (cioè han bisogno dell'impresa) si uniscono per « assumerla in comune ». ( Si tenga fermo quest' ultimo concetto, cui daremo più ampia esplicazione in seguito). Il concetto della « cooperazione » in genere, e come forma generale di organizzazione economica, è, in fondo, un concetto socialista, come quello che implica una economia collettiva, in cui tutte le funzioni sarebbero esercitate collettivamente, tutti i bisogni sarebbero soddisfatti collettivamente, e non si avrebbero scisse le per• sone e gli interessi dei produttori e dei consumatori, ma tutta la economia sarebbe organizzata in vista dei bisogni combinati di tutti. Ma le singole forme della cooperazione, come si esplicano in seno del!' ordinamento economico attuale non realizzano che in parte, che unilateralmente, un tale concetto; e anche ove siano attuate nella loro forma più pura, esse sono sempre «cooperative» da un solo punto di vista, e «speculative» dagli altri. E così, per esempio, come abbiamo altrove osservato, la società di consumo è cooperativa in quanto distribuisce le merci ai suoi soci; ma è basata sui pt'incipii speculativi in quanto acquista le merci dai produttori, e, se anche produca, in quanto esercita la produzione salariando lavoratori e pagando nn semplice interesse al capitale. Così la soc-ietà di produzione è cooperativa in quanto esercita collettivamente la funzione dell' impresa, ma è

speculati va in quanto vende le mer.ci ai consumatori. E per questa ragione le singole forme delle società cooperative, in quanto non realizzano, nè possono in alcun modo realizzare il concetto, l'ideale completo della cooperazione, si possono anche trovare, e si trovano talora, in antagonismo fra loro. Ma prescindendo da queste ultime osservazioni, che non toccano direttamente l'argomento cli cui ora ci occupiamo, noi possiamo tener fermo, come caratteristica essenziale di qualsiasi forma cooperativa, « l'esercizio collettivo dell' impresa, allo scopo di produrre quella iunzione di cui i membri hanno bisogno, e per essi soltanto». Dal concetto della « società cooperativa» in genere, possiamo passare facilmente a quello della « società cooperativa di produzione» in ispecie. Siccome la specie deve avere necessariamente tutti i caratteri del genere, più qualcun altro, la società di produzione avrà dunque essa pure lo 1 scopo di produrre una funzione necessaria ai suoi membri e per essi soli. Ma quale è questa funzione? Questa funzione è lo stesso esercizio dell'impresa industriale, intesa in senso generale, cioè come riunione degli elementi produttivi e loro applicazione alla produzione, o, più brevemente, come applicazione degli elementi produttivi alla produzione f esercitando tale funzione per conto comune, in" vece che per conto di un solo o per conto di un estraneo. Questa è la sola ,caratteristica essenziale della società di produzione, dal punto di vista strettamente scientifico; altri caratteri ci possono essere o non essere, ma .non ne costituiscono l'essenza, e con essi la società cooperativa di produzione può essere, ma anche non essere tale. Le diverse nozioni che noi vedemmo esser date della società cooperativa di produzione, delineano una associazione che es.iste di fatto in certi casi, ma che non risponde in modo preciso al concetto della cooperazione. Dall'esame superficiale dei fatti o cl.i una parte di essi, si è venuti a delle generalizzazioni errate; e, come si

!.!9 diede un concetto inesatto ed empirico della società cooperativa in genere, così si formulò un concetto inesatto della società di produzione, descrivendo una delle forme che ·si erano osservate. Ma di queste forme, anche restando nel campo delle società volgarmente dette « cooperative di p,roduzione », ve ne sono tante e tante: e, se per formulare un concetto empirico si potrà prenderle come sono, per restare nello stretto campo della scienza invece bisogna partire dal concetto generale della cooperazione, ed app,licarlo a questa forma spec~ale; e ciò anche a costo cli delineare un tipo astratto, che non trovi completo riscontro in alcuna delle forme reali. Malti di coloro che, come vedemmo più addietro, diedero una nozione delle società di produzione, osservarono il fatto che le associazioni comunemente dette tali, erano sorte come società di lavoratori contrapponentisi alle imprese cli capitalisti, ai padroni, e tendenti a rilevare i loro soci dalla condizione di salariati; e ravvisarono in queste società come carattere essenziale l'esser composte di lavoratori, e soltanto di lavoratori. E così pure, osservando che questi operai possedevano il capitale impiegato nell'industria da essi esercicata, e lo avevano formato coi loro risparmii ( e ciò per la semplicissima ragione che, una volta che nessuno si offriva a dar loro il capitale, se volevano esercitare l'impresa bisognava bene che se lo forma,,sser da s.è medesimi), posero pure fra le caratteristiche della società di produzione, che il capitale sia posseduto dagli stessi soci operai. Collo stesso criterio, osservando che nelle imprese speculative a scopo di scambio l'imprenditore possiede quasi sempre una parte, ed anzi una buona parte, del capitale che vi è impiegata, si potrebbe porre come caratteristica cli tale forma il possesso del capitale per parte dell'imprenditore; ed invece dai più si è, con ragione, ammesso che, se nel fatto ciò accade quasi sempre, non è però carattere essenziale nella nozione astratta di tale impresa.

3o Così la società cooperativa di produzione può essere società di soli lavoratori, e può darsi che questi posseggano in gran parte od in tutto il capitale; ed anzi riconosciamo essere esatto che la sua origine e la sua forma prevalente sono ta.Ji: ma, come vedremo meglio più avanti, vi possono essere delle società che abbiano tali criteri, e che pur tuttavia non si possano scientificamente chiamare società di produzione; come per converso vi possono essere delle società che non li abbiano, e che pure lo siano: per esempio delle società che contino fra i soci anche dei capitalisti non lavoratori. L'essenza cle11a cooperativa di produzione sta in ciò, che ambi gli elementi concorrenti alla produzione industriale, cioè lavoro e capitale, esercitino insieme l'impresa per conto comune: l'essenziale è, che tanto il lavoro quanto il capitale esercitino la funzione di imprenditore. Elementi de1la produzione sono tanto l'uno quanto l'altro, e, se l'uno è escluso dalla impresa, questa non è più cooperativa, secondo il concetto che noi abbiamo dato della coop.erazione in genere. La società di operai che assumono l'impresa nella quale sono occupati, e che pagano solo un interess·e, sia al capitale proprio, sia a que11o che presero a prestito, è una forma speciale cli impresa, che si contrappone all'impresa capitalista, e che può presentare grandi vantaggi dal punto cli vista sociale ( ciò che non è qui il caso cli esaminare); ma essa non può essere chiamata «cooperativa», secondo il nostro concetto della cooperazione in genere. Per chiarir meglio la cosa, possiamo prendere qualche esempio di qualche altra forma di società cooperative. Il tipo puro di società di consumo è quello cli una ocietà che distribuisca le merci ai soli suoi soci: se le distribuisca anche ad altri, ma senza farvi sopra alcun lucro, non sarà più il tipo puro, ma una forma che gli equivarrà completamente; se fina'lm,ente le di:stribuisca anche ad altri, ma lucrandovi sopra alcun poco, perde in parte il carattere cooperativo, ed assume un

3r carattere misto, cooperativo-speculativo: cooperativo riguardo ai soci, speculativo riguardo agli aHri. Un concetto analogo fu già espresso tlal Wollemborg in un noto scritto, nel quale egli giunse fino ad asserire che le società di consumo a tipo di Rochdale non potevano dirsi vere cooperative. Noi, lo confessiamo, cla,pprima ci inalberammo alcun poco contro tale affermazione che, presentata co1 sì recisame,nte, aveva .J' apparenza del ·paradosso. Ma riflettendo bene, ci è parso ragionevole il distinguere il concetto astratto cli un istituto, dalle varie forme che assume nella pratica; le quali possono anche divergere da quello, senza perder nulla o quasi nulla del valore, dello spirito di lui; ed è proprio il caso delle società inglesi, nelle quali l'elemento cooperativo non è nei suoi effetti per nulla paralizzato e tocco dall'elemento cli speculazione 1 che vi è infiltrato. Altrettanto può essere (si noti che non diciamo che sia sempre) delle società cli produzione; chè una società di lavoratori esercitanti essi solo l'impresa in cui sono occupati, ed escludenti più o meno da quella il capitale, può adempiere perfettamente a quello scopo, a quella funzione che, come vedremo a suo luogo, si assegna a tali forme di associazione; ma non si può dire che essa sia una vera cooperativa. Lo ripetiamo: l'essenza della cooperazione sta nel fatto che coloro che hanno bisogno di una data funzione la esercitino collettivamente per proprio conto e per loro solamente. Ora la funzione della intrapr,esa serve tanto ali' elemento « capitale », quanto ali' elemento «lavoro», tanto a coloro che posseggono il capitale, quanto a coloro che posseggono il lavoro; e non può essere impresa cooperativa quella che sia esercitata dall'uno di questi elementi (sia il capitale o sia il lavoro), estraneamente all'altro: ma « impresa cooperativa di produzione», in stretto senso scientifico, « è quella esercitata collettivamente, a scopo « di produzione, dai due elementi, capitale e lavoro».

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