Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

• 11109910 Continuiamo il dibattito post-elettorale. In SPERANZA E RESPONSABILITA' /e preoccupazioni di Marino Sinibaldi su una destra che non promette nulla di buono e gli auspici per una sinistra che sia contemporaneamente realista e alternativa. UNA SINISTRA ASOCIALE. Ne/l'intervista a Giovanni De Luna un giudizio molto negativo degli anni '80, quando sociale e politico si divaricarono radicalmente. In seconda e terza. Insieme ai necrologi di Ayrton Senna e di Kurt Cobain, il primo di Rocco Ronchi e il secondo di Edoardo A/binati. AMOR DI PATRIA. Sono le riflessioni di Maurizio Viro/i sulla necessità di un patriottismo che fondi la virtù civile, ma che non si basi su/l'omogeneità etnica e religiosa. In quarta e quinta, insieme a MEMORIA di Gianni D'Elia e a/l'intervento, sul 25 aprile, di don Sergio Sala. In STORIE DI SARAJEVO /'incontro, raccontato da Gigi Riva, con Hussein Dzirlo, "malandrino bosniaco", che i suoi conti con la giustizia italiana spera di averli pagati nella difesa di Sarajevo. FALSA IMMAGINE DI UNA FALSA PACE è l'intervento di Zlatko Dizdarevic. In sesta e settima. Insieme alla lettera aperta di 1/ia Semeia, istriana, a Romana Sansa. RICORDARSI di una delle pagine più orribili della nostra storia: il giorno del '38 in cui furono cacciati dalle scuole italiane i ragazzi ebrei. L'hanno fatto le studentesse dell'Alfieri, liceo classico di Torino, e noi pubblichiamo volentieri la loro ricerca. In ottava e nona. BLADE RUNNER. Augusto Illuminati ci parla dei ghetti metropolitani, luoghi degradati ma di grande vivacità culturale, unico modello di comunità aperte, ibridate, da contrapporre a quelle orrende, radicate, "pure". In decima e undicesima. Con SHU LIN di Michele Colafato. LEGGEVAMO GRAMSCI. Umberto Croppi racconta de/l'imbroglio delle due anime del Msi, e del tragitto che dal Msi, attraverso i campi Hobbit e la nuova destra, l'ha condotto a sinistra. In dodicesima e tredicesima. Insieme a L'INFORMAZIONE E L'INFORMATICA di Vincenzo Buglioni e a SOLCHI, /a "stazione" di Antonella Anedda. IL TEMPO LUNGO DELLA GEOPOLITICA. Le frontiere si muovono, tornano guerre di religione, razzismi ed etnie, il baricentro de/l'economia mondiale cambia oceano. E' il grande ritorno della geopolitica da un esilio in cui l'aveva relegata la compromissione con il nazismo. Intervista a Gianni Sofri. In quattordicesima e quindicesima. OBBLIGATA è i/ racconto di Caterina, mozambicana che vive a Roma. In ultima • • 1anco

un Bi ese di un anno Cosa ricorderemo di questo aprile? Certamente ricorderemo il viso di Senna. Epurtroppo dovremo ricordare anche il viso del nuovo leader nazionale. (Ma chi è? Che almeno fosse un Eric Forrester e non un Clark Garrison. Certo che la sua faccia sta invecchiando precipitosamente nella fatica politica. Ma meno beautiful non guasta). Ricorderemo il viso di Bobbio all'esito della votazione del senato. E certamente dimenticheremo volentieri quelle brutte facce che si accompagnavano a gesti osceni e sghignazzi. Ricorderemo tanta pioggia a Milano e tanta gente epurtroppo anche tanti slogan da ritorno dei morti viventi. Possibile che a nessuno sia venuto in mente che una settimana prima, a trecento chilometri, c'era stata Marzabotto? Cosa non va? Soprattutto non vorremmo ricordare il viso di Mladic, aguzzino di Gorazde, e vorremmo invece aver conosciuto il viso di sua figlia, morta suicida. Avremmo voluto interrogare i visi dei soldati Onu per cercare di capire anche noi stessi. Come è stato possibile non fare nulla? Come èpossibile non fare nulla? (L 'Onu ad Auschwitz. Cosa sarebbe successo? Sarebbe stato possibile? I soldati armati di tutto punto attorno alle stazioni d'arrivo, ogni tanto proteste, trattative continue con i vari Stangl e tanta preoccupazione per la propria incolumità ...). Ricorderemo, mischiati a quelli delle ragazze dell'Alfieri, i visi incorniciati dai capelli bianchi di alcune signore di Torino. (Come faremo quando l'ultimo testimone se ne sarà andato?) E vorremmo ricordare il viso di Katia, "compagna operaia" di tanti anni fa, che dopo lunghi anni di tristezza, aveva trovato la forza per rifarsi una vita, per sposarsi e fare due figli, per metter su casa in campagna, per diventare dirigente Cgil. E ogni tanto pensando a lei si parlava di retribuzionismo e dei casi rari in cui funziona. Ora un male incurabile l'ha uccisa. (Cosa fare di fronte a tanta superiore ingiustizia? Ovviamente nulla, ma come ci disse Flores D'Arcais, dopo la morte di dio, e di chi per lui, nulla èpiù permesso. Qualcosa c'è sempre da fare. Anche nel ricordo di chi non c'è più). E certamente ricorderemo il viso di Mandela. SPE ANZA E RESPONSABILITA' Una destra brutta che non ha mai rispettato le regole, che può essere tutto, liberista e corporativa, localista e mondialista. La necessità per la sinistra di coniugare realismo e speranza. Intervista a Marino Sinibaldi Marino Sinibaldi, reda11oredi Lin'ead'Ombra, è alitore e co11d1111ore della trasmissione radiofonica Note Azzurre. Sembra che la sconfitta della sinistra alle elezioni sia molto di più di una sconfitta elettorale ... Certo, la sinistra poteva ancheproporsi meglio e ha fatto molti errori, ma avrebbe perso lo stesso.La gente ha scelto la destra, questo è il crudo panorama: di fronte alla scelta, abbastanza limpida e semplice. tra una sinistra dei valori e una destra ricca di slogan, la gente ha scelto la destra. Faccio dei programmi alla radio e ho fatto una inchiesta fra i giovani. che, almeno qui a Roma, erano molto sen ibili al problema degli immigrati: beh, tantissimi hanno detto cli aver votato per la destra perché non vogliono perdere il lavoro per colpa di un marocchino, mentre la sinistra vuole fare entrare tutti. Ecco. la sconfitta andrebbe valutata tenendo presente questo punto di vista, perché questa è la realtà che ci sta di fronte. C'è una vittoria culturale della destra, che del resto si sta vedendo da molte parti: tutto il dibattito sul fascismo è anche il segnodella lenta crescita di unacultura di destra, ormai quasi maggioritaria. Penso che le radici della sconfitta affondino negli anni '70 e '80: tra le tante critiche fatte alla sinistra trovo fondamentale quella che sottolinea come la sinistra negli anni '80 non ha capito la società. C'è stata un'incapacità della sinistra di staredentro il tempo in cui si trovava ad agire. E uno può anche stare fuori dai tempi, può dire che da un punto di vista morale o antropologico il mondo gli fa schifo, ma allora non fa politica, perché per un politico cogliere il positivo e le opportunità che ci sono nelle coseè obbligatorio. La politica è qualcosa di molto realistico, deve fare i conti quotidianamente con le cose e quindi deve cercare di conoscere la società e i valori vincenti, la qual cosa non vuol dire amarli, anzi. E d'altra parte la sini tra deve anche essere alternativa: nella logica di questo sistema elettorale. ma anche nella logica dei valori che si contendono la società. un antagonismo, un'alternativa. sono necessari. Anche sepoi parlare di cultura alternativa. spc so è una vecchia pratica per coprire la mancanza di alternativa reale, anche negli uomini: non a caso le liste sono state riempite di professori universitari o giornalisti. che poi sono quelli che vengono a parlare di alternativa. Ma questa è ipocrisia perché o sei uguale. e allora devi competere sui programmi, oppure sci alternativo e allora dcvi esserecapace di praticare dei contenuti realmente alternativi e non semplicemente di proclamarli. Fra l'altro la proclamazione demagogica dcir essere alternativi spessocopre il desiderio di una situazione in cui restare sempreminoranza. senzala responsabilità di dover governare. E' possibile che uno dei motivi della sconfitta della sinistra stia nello statalismo con cui si è sempre più identificata? Appartengo con convinzione alla sinistra libertaria e sono abbastanza sospettoso verso le chiese. le ideologie, le pedagogie, ma sono ancheconsapevole che il problema dello stato democratico esiste cd è enorme. Bastapensareal problema della difesa degli strati sociali più deboli, che va delegato allo stato perché non c·è altra possibilità. O pensiamo al problema della libertà di proprietà dell'etere che è il grande pericolo della nostra epoca. li ruolo dello statoin unasocietàcome questa è decisivo. Credo molto nelle regole, nella capacità della società di darsi delle norme e delle leggi per garantirsi dalla forza degli interessi e non so se in questo modo escodai limiti di una sinistra libertaria. Ma, proprio perché le culture devono essereIibere, devono essererispettate e hanno il diritto di esprimersi, devono esserci delle regole che garantiscano le ORfl DI GUERRA Kurt, dove sei andato a finire, dimmi se ti hanno levato il maglione, se ti hanno pettinato indietro i capelli per vedere il momento in cui i tuoi occhi si sarebbero riaperti. lo ammiravo la tua disperazione pura, la monotonia della vita del feto. E ora lo metto via, minuscolo e urlante, in una scatola a forma di cuore. Edoardo Albinati • minoranze, i deboli.da culture troppo forti come quella televisiva. E la destra come la vedi? Vedo grandi pericoli. 1ella destra italiana non esi~tc una tradizione liberale. la destra italiana è solo autoritaria e appena può riduce le libertà. In Italia la destra è quella che appena vince ricomincia a parlare di donne nel modo in cui ne parla la Pivelli. Alla radio ho fallo tante volte dei diba11itisulla destra con giovani e intellettuali di destra: non valgono quasi nulla. spesso. dal punto di vista culturale fanno proprio schifo. non sanno niente, sonodichiaratamente antidemocratici. autoritari, razzi ti. contro i poveri. Cercando di conoscere quel mondo ho visto la solita dc tra e sono preoccupato, specie quando questedestresi uniscono mettendo insieme interessi economici e ideologie proprietarie dello stato. come accade con Bcrlusconi. In America, adesempio. c·è una sostanziale ncutral itàcieli' amministrazione statale. ci sono leggi e principi che ne impediscono l'uso privato. mentre da noi questacultura non c·è. Questi arrivano e vogliono prendersi subito il controllo clcl!a magistratura. Questa è la destra. Non usiamo la definizione cli fascismo perché può ingenerare degli equivoci. però siamo di fronte a forme fascistiche, antidemocratiche, guerrafondaie. aggressive. Ma non è che gli italiani siano così e che questa destra li rappresenti? Su questa questione. il carattere degli italiani, indubbiamente esiste un problema chechiamerei ·'rifiuto della responsabilità''. Sia il rifiuto della responsabilità individuale -e qui c'è tutto il problema della Riforma e del cattolicesimo- che il rifiuto della responsabilità politica,cli riconoscere, cioè. lapoliticità dei propri gesti sono tratti unificanti della storia italiana. elementi del nostro carattere nazionale. E vedevo questeelezioni proprio come lo scontro tra una sinistra che in qualche modo proponeva una responsabilità, e infatti non agitava sogni e slogan seducenti, candidava addirittura Ciampi, e una destra che rifiuta la realtà. la responsabilità, e sceglie una cosa perfettamente italiana: la speranzanel colpo di culo, nel miracolo. Di fronte alla crisi planetaria. alla cri i ecologica, ai limiti dello sviluppo. si è preferito chiudere gli occhi e delegare tutto a qualcuno che promette i miracoli. La sinistra deve prendere atto che questa è la realtà e deve lavorare per cambiarla. Deve riuscire amettere insieme il principio della speranza col principio della responsabilità. Speranza in un mondo migliore. nel cambiamento, nella possibilità di rovesciare la storia. Responsabilità verso la vita individuale. quindi mai autoritarismo e repressione: verso le generazioni future, quindi considerazione dei costi ambientali: verso se stc. si. quindi rifiuto della demagogia e delle parole c1·orclinc ad effetto. Questo significherebbe essere alternativi. Se la sinistra avessequesta cultura rappresenterebbe una rottura radicale nei confronti della propria storia edella storia cl· ltal ia ! Altro che antagonismo da "Bandiera rossa"! Parli di speranza di rovesciare la storia, ma nell'età della fine dei grandi progetti politici la destra non ha vinto puntando tutto sul carisma di un singolo? Ma la destra è. cmpre stataco. ì ! li dramma per cui la sinistra può quasi solo perdere è che la destra non ha bisogno di essere coerente. di avere un programma. La destra è innanzitutto gestione degli interessi forti e gestione degli umori più profondi, più sospettosi. più rancorosi e inestirpabili dell'umanità. Abbiamo visto che le identità particolari. locali. aggressivc. r··etnia'' e la "razza". sopravvivono a due secoli di illuminismo o. è il caso della Jugoslavia. a 70 anni di esperienza unitaria. Ci ono sentimenti e tensioni che sopravvivono nel profondo e poi vengono a galla: se le cose stanno così la sinistra può solo limitare i danni di queste realtà inestirpabili. e limitare è già tantissimo! Rispetto alla Jugoslavia. per intenderci chiaramente, limitare voleva dire spendersi completamente per interrompere quel connitto. Ridurre il danno. questo è il compito della politica, il resto spetta alle culture, ai mutamenti di civiltà, semai ci saranno. A proposito della Jugoslavia, e riallacciandoci al discorso che facevamo prima. va detto che, mentre la sinistra considera la guerra in Jugoslavia come una propria bancarotta perché non le è riuscito di impedirla, per la destra è tutt'altra cosa. La destra è andata a fare la guerra con la Croazia e adesso si allea con i serbi contro i croati per riprendersi l'Istria e la Dalmazia. Intanto che i mercenari italiani, gente di destra. scagnozzi cli Fini, combattevano insieme ai croati. Fini è volato a Belgrado, cioè dai nemici dei croati. per parlare dcli' Istria. Questo succede perché la dc~tra non è tenuta alla coerenza: riesce ad e~sere monclialista e localista. corporativa e liberista. perché la destra è sostanzialmente una forma impolitica. che trasporta in politica un atteggiamento totalmente impolitico. La sinistra invece ha il demone della politica. dei programmi. della coerenza. La sinistra i spacca sull'intervento aereo contro i serbi. si spacca u tutto. perché ha il problema di trasformare la realtà enon puòabbandonarlosenzasmettere di esseresinistra. Ma se un modo di essere impolitico è quello più vicino al modo di essere della gente non è pensabile una "impoliticità" di sinistra? La sinistra può esistere solo setenia di cambiare una tendenza spontanea. che sta nelle cose umane. aI1·aggressività.al sensodi identità aggres. ivo verso gli altri. alla xenofobia, al razzismo. alla disuguaglianza e al rifiuto del pluralismo. on so se queste tendenze siano innate. icuramentc ono storiche e certamente non sono risolvibili in pochi anni: forme cli disuguaglianza, di rifiuto del pluralismo. esisterannoancora pertantissimo tempo. Rispetto a tutto questo la sinistra non può essereche politica. perché devecontrastare quel lo che sembra essere nelrordine naturale delle cose. mentre la destra può seder i su questo e assecondarlo. La sinistra non può . tare a guardare serbi e croati che si sparano. La ini tra . i deve opporre a tutto questo, deve cambiare la tendenza. questo è il motivo per cui non può che essere politica. D'altra parte è anche vero che oggi la sinistra dovrebbe tare in tanti altri luoghi che non sono la politica. Dovrebbe stare anche nei luoghi che vengono prima. o dopo, della politica. nei luoghi ciel confronto personale, della dimen ione personale. interiore. dcli' esistenza. Luoghi che la sinistra ha sempre trascurato per inseguire il suo demonedella trasformazione. lapolitica. Per la sinistra sono sempre state importanti le grandi masse, i grandi numeri, è ora che siano importanti le minoranze e le dimensioni individuali. Oggi la sinistra potrebbe essere queste tre cose: uguaglianza, pluralismo. autonomia del personale rispetto ai grandi strumenti del conformismo di massa. on possiamo smettere di essere politici, se non abbandonando 1· ideadi migliorare. cli trasformare la realtà. ma d·altra parte non possiamo rimanere schiavi della politica. soprattutto di quc!>ti tempi. Una sconfitta clet torale come quelIa avvenuta pone il problema di puntare ad altre dimensioni di traformazione del lagente edel la storia che non possono tare solamente nella politica. ma in una presadi co cicnza molto più vasta. Pensosia finita un·esperienza storica enorme. cioè la sinistra così come è esistita in questi duecento anni. Quc~taserie di sconfitte della sinistra dimostrano che il pendolo della storia. e non solo in Italia, sta andando in un'altra direzione. Siamo di fronte ad un mutamento radicale e dobbiamo trarne. sul piano culturale prima ancora che politico. le conseguenze. dobbiamo lavorare sulle culture. Le rotture culturali non sono mai dra tiche. ma crcdochcoggici iabisognodi fare i conti in modo radicale non solo con la cultura comuni ta, ma anche con quella liberal-democratica e con quella socialdemocratica. culture ormai arrivate alla con unzione. lo credo molto neiruguaglianza. però ono dcci ivi anche il pluralismo e 1·autonomia del personale. che non sono semprestati valori della sinistra, anzi. Secondo una inchiesta, la maggioranza dei giovani italiani preferirebbe avere un lavoro autonomo: èuncambiamento cli cultura molto radicale. nel senso del prevalere cli un· aspirazione privatista. individualista. mentre la sinistra è empre stata collettivi ta. Ecco, oggi la sinistra deve accettare quel terreno e rispondere alla domanda di che fare dell'individuo. Poi alrinterno di questo terreno deve affermare il suo es ere cli sinistra. L · individuo deve riappropriar i della sua libertà, della suaautonomia. deve capire i limiti dell'individualismo e r importanza dei legami comunitari che sono molto vasti: noi siamo responsabili cli quello che accade ovunque. Questaèunacultura antiindividualista. manello stessotempo è anche individualista nel senso più vero, cioè fondata sulla libertà cli pensarein modo veramente libero, senza essere condizionato dal potere dei mcclia, chepoi è i I potere di una classe sociale. Dentro questo scontro nuovo, con al centro r individuo, la sinistra deve avere la sua cultura, deve affermare la libertà individuale vera. che non può esserecerto quella cli sfruttare gli altri o di ricavare dagli altri il proprio profitto. -

UNA SINIST ASOCIALE La separazione tra sociale e politico degli anni 80, colmata dalla televisione. Il modello raitre del processo del lunedì. La grande sconfitta operaia alla Fiat. Una sinistra senza dramma, senza pathos, priva di identità e incapace ormai di pedagogia. L'identità "così come si è" della destra. Intervista a Giovanni De Luna. Giovanni De Luna insegna Storia dei partiti e dei movimenti politici all'Università di Torino. condare la tendenza così com· è, cercando semplicemente di conquistare il consenso, senza entrare dentro i meccanismi di sedimentaSi ritorna sempre a parlare di zione deir identità. anni '80 e delle trasformazioni La sinistra, negli anni '80, abbansociali e politiche avvenute allo- dona questo ruolo pedagogico. 01ra. Tu come la vedi? tre alla forma partito, PCI, ecceteNon è vero che Forza Italia è stata ra, tulle quelle cose di cui valeva la fatta in tre mesi. pena liberarsi, abbandona anche E' stata fatta in tre mesi dal punto di questo compito fondamentale, quevista organizzativo, ma alle spalle sto ruolo di una pedagogia, se vuoi ha un'incubazione che è totalmen- anche autoritaria, nei confronti di te dentro gli anni '80 una società, che però lasciata a se Il giudizio sugli anni' 80 mi sembra stessa viene abbandonata alle sue che ritorni un po' come un elemen- pulsioni più devastanti. to ricorrente ali' interno delle tema- In questo deficit dell'agire polititiche della vostra rivista. Ed è evi- co, nel fallo che i partiti perdono di dente che dopo la fibrillazione, dopo vista completamente la nozione del la febbre politica degli anni '70, bene comune e si avviluppano in dopo quei grandi progelli di tra- questo nodo di interessi, di affari, sformazione, ci dovesse essere una veramente disgustosi, in questo, pausa, un qualche modo di tirare il credo, si sia veramente consumata fiato. Ma pure l'Italia che il 18 una vera e propria tragedia. Il ruolo aprile I948 votò la democrazia cri- del PSI, di Craxi, nel consegnarci stiana non era soltanto anticomuni- questa Italia, è stato veramente tersta, filofascista, voleva anche tira- rificante, perché Craxi ha reso pare il fiato dopo la guerra, la resi- radigmatica questa tendenza. Questenza. Il corpo sociale ha una sua sta tendenza c'è sempre stata nella fisiologia, tu non puoi pretendere DC, ma nel farla diventare il parada un popolo di restare sempre al di digma·assoluto di riferimento solo sopra degli eventi. In fondo negli Craxi poteva riuscirci. anni '70 si pensava che nel conflit- Da questo punto di vista è stato to la persona dava il meglio di se veramente l'avvelenamento dei stessa, è nel conflitto che si attinge pozzi nella comunità rurale. Renalle energie migliori, alle più ripo- dendo impossibile lacomunicazioste, alle più profonde, dove si è in ne fra la politica e il sociale, ha grado di formare un'identità non di abbandonato il sociale a se stesso. compromesso, di appiattimento, di E tieni presente che il sociale, libetirare a campare. Ci sono fasi in cui rato dalla politica, non sempre si tupuoichiedereallagentediessere coniuga con le nefandezze, è in così e quindi di riconoscersi in una grado di sprigionare anche energie sorta di minoranza eroica, ci sono estremamentepositive.Eneglianni delle altre fasi in cui questo non è '80 il sociale liberato dalla politica possibile, in cui, quella che è l' lta- è stato in grado di trasmellere anlia profonda riemerge. che messaggi forti. Basta pensare a Gli anni '80 hanno sicuramente un valore come quello del familiquesto aspetto fisiologico rispetto smo, che è un valore tipico del alla nostra storia. Però poi basta. sociale. Perché al di là di questo scenario Se nel sociale degli anni '80 c'è che tiene più alla psicologia collet- stato un ripristino vigoroso del fativa, gli anni '80 sono veramente milismo amorale, ci sono state anun buco nero nella coscienza civi- che tutta una serie di iniziative, le, anni in cui si consuma il dram- come quella dei familiari delle vitma della separazione del sociale time di Ustica, o delle mamme dei dal politico, in cui saltano tutti i drogati, eccetera, che pur avendo meccanismi di confronto e il politi- un impianto di tipo familistico, reco diventa totalmente autoreferen- spiravano l'atmosfera del bene coziale, i partiti guardano solo a se mune. stessi, il loro linguaggio si rivolge Quindi, certo che il sociale, attrasolo al loro interno ... quando dico verso il volontariato, è stato in grapolitica lo dico in senso lato, tutta do anche di sprigionare energie una classe dirigente che in qualche positive, di canalizzare tulla una modo si è rinchiusa in se stessa, serie di valori edificanti attraverso buttando via il bambino con l'ac- delle minoranze, ma la stragrande qua sporca. Buttando via un mo- maggioranza del sociale, abbandodello di organizzazione della poli- nato a se stesso, ha fatto emergere tica, che certo era un modello inva- quello che chiamerei un dato autosivo, a volte anche repressivo ri- biografico della nazione: le stimspetto all'autonomia, rispetto al- mate del particolarismo, dell'indil'aggregazione dal basso, che però vidualismo, del progeuo esistenaveva una forte carica pedagogica. ziale "tengo famiglia e mi faccio i E quella è poi l'identità forte della fatti miei". Un'Italia avida, grella, sinistra, il suo patrimonio geneti- bisognosa di essere rassicurata rico: conoscere la realtà per trasfor- guardo ai propri interessi materiali, marla, non per aderirvi. E' un vec- _f e totalmente disinteressata a qualchio progeuo giacobino, di artifi- siasi altra dimensione di proge11uacialismo della costruzione della lità collettiva, di protagonismo colsocietà, dove le identità e le appar- lettivo. tenenze sono quelle che l'agire La Lega e Forza Italia nascono da politico riesce a costruire, non quel- lì, nella divaricazione fra il sociale le naturalistiche così come si sono e il politico, in un sociale ormai determinate. fuori dalla politica che va a seguire In questo senso Berlusconi, Forza quel tipo di pulsioni. Berlusconi Italia, rappresentano appunto un colma questo gap, questa divaricaaltro modello di relazione con il zione. sociale: quello di assecondarlo nel- Una sinistra unita e una destra la sua naturalità. Il messaggio della divisa. In realtà le cose, nel paese, Lega è quello: la tua appartenenza stavano molto diversamente. è la più giusta possibile, e quindi ti Lo dico con franchezza, questoriconsente immediatamente .... E' poi, sultato non mi ha sorpreso. Non se vuoi, la logica, in Berlusconi, sono mai stato ouimista guardando non nella Lega, del venditore: asse- la sinistra, perché, in primo luogo, mi sembrava che le sue condizioni ogge11ive fossero drammatiche sia a livello di organizzazione politica sia a livello di presenza nella società. Tuili i soggelli sociali tradizionali di riferimento della sinistra erano muti, apatici, non erano in grado di imprimere un loro dinamismo al sociale. Il secondo elemento di pessimismo era la pochezza, il pressapochismo degli apparati politici della sinistra. Lo dico con franchezza, ho ritenuto ridicola Alleanza Democratica, mi faceva impressione la sua vacuità, il suo essere giuliva. Questo essere allegri, questa contentezza intelleuuale, era una cosa raccapricciante. Tra l'altro a me sembra che una sinistra senza pathos, senza dramma, non è una sinistra, è un'ameba salottiera. Terzo, la funzione di totale supplenza data alla magistratura nei confronti di una iniziativa politica, mi sembrava anche quella preoccupante. Non perché la magistratura non andasse bene -la magistratura mi ha fallo anche togliere delle soddisfazioni, l'idea che mi abbia liberato, io penso anche al sud, penso a Salerno, di Carmelo Conte e di Paolo Del Mese, per me è una cosa fondamentale- ma perché una cosa è essere tifosi della Juventus, e quindi assistere a una partita di calcio, l'altra cosa è essere protagonisti. Noi siamo stati spettatori, tifosi, abbiamo fauo il tifo per la squadra migliore contro questi disgraziati, però siamo stati totalmente passivi in tulla questa vicenda ... li mio pessimismo rispetto ali' orizzonte complessivo della sinistra era esplicito. Per la prima volta nella storia d'Italia mi pareva però che la destra avesse più problemi della sinistra, che le componenti della destra avessero un'impossibilità quasi oggettiva a trovare un accordo. Mi sembrava che tra un movimento totalmente definito dall'economia, dalla materialità del mercato, dal pragmatismo, come quello della Lega, e un elemento come il Msi, grondante identità, appartenenza, ideologia, statalismo, ci fosse proprio come un'incompatibilità genetica. Che il piccolo padroncino della Brianza della Lega e il militante del Msi romano, ministeriale, burocratico, fossero due persone che messe insieme in una stanza, si sarebbero ammazzate di botte immediatamente. Quindi non ero ottimista per la forza della sinistra. ma per questa debolezza organica della destra. E invece? So11ovalutavo due cose: la permanenza in questa Italia profonda dei nostri caratteri originari, che a torto avevo immaginato che le grandi trasformazioni degli anni '60avessero cambiato e la sottovalutazione della potenza della comunicazione, e del rapporto che fra comunicazione e politica si era instaurato negli anni '80. E non penso al moloch, al grande fratello, penso a un rapporto tra politica e comunicazione televisiva molto strullurato, molto organizzato, fuori da ogni contesto liberticida. Rispetto al primo punto, per capire questa Italia, basta riflellere su Giuliano Ferrara, che è veramente il rappresentante più degno ed emblematico di quel che è successo. li suo libro Lettere ai compagni, pubblicato da Laterza nel 1989, è veramente sintomatico: lui chiede a tutti di essere come lui. "Ma che cazzo ABBONATEVI A UNA CITTA' ABBONAMENTO ANNUALE a 1 O numeri: 30000 lire. Sostenitore: 50000 lire. e.e. P. N.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì - Tel. e fax: 0543/21422. La redazione è aperta tutti i giorni, certamente dalle 17 alle 19. Una cituì si può trovare nelle librerie: a Bologna: "Feltri11elli"."Tempi moderni", e Libreria Delle Moline; a Cesena: "Dedalus". "Bellini" "Minerva": a Faenza: "Moby Dick": a Padova: alla "'Feltrinelli": a Pesaro: "Pe.mro Libri"; a Milano: nelle tre "Feltrinelli", alla "Utopia", alle librerie della Statale, "CUEM" di Via FesJa del Perdono e "CUESP" di Via Conservatorio. B1ouotecaGino Bianco volete, gli ideali, parliamoci chiaro, per due milioni in più, noi facciamo i salti mortali, abbandoniamoci con volu11àa questo ...". Esattamente la negazione della sinistra che riconosce le debolezze degli uomini, però non le accetta in quanto dato naturale e cerca di trasformarle e di cambiarle. "Basta con questa tensione morale, questo impaccio dell'etica ... , qui c'è la ricchezza, il mercato ... godiamocela, rivoltiamoci nel fango tutti insieme ..." Questo era il suo messaggio. "Ce l'avete con Craxi perché vorreste essere come lui ... ma allora fatelo!". Craxi esteso a tutti quanti gli italiani ... Noi, intorno a Giuliano Ferrara, potevamo costruire un modello antropologico dell'Italia che era nata negli anni '80. Lui era nato, si era ingrassato nell'Italia di questi anni, e ne rappresentava visibilmente la traduzione. C'era un'Italia profonda che si riconosceva totalmente dentro quel tipo di contenitore, dentro quel tipo di messaggio. Quindi, il problema della discesa in campo di Berlusconi, sotto questo punto di vista, è un problema identitario: il modello Berlusconi, come il modello Lega, sedimenta identità e appartenenza, la sinistra non più. Questa è la cosa fondamentale. La sinistra che identità trasmette? Rispetto all'identità antropologica all'interno del quale si era strutturato l'universo della sinistra -l'operaio di Borgo San Paolo, serio, lavoratore, monogamo, ecc.- per tanti versi anche criticabile, ma quella era una proposta di identità. Adesso qual è la proposta di identità? La proposta di identità della destra è chiara, è quella lì: riconosciamoci per quello che siamo, abbandoniamoci con voluttà a questo nostro modo di essere ... Il secondo versante è il modo in cui si è strutturato il rapporto tra politica e televisione. In tutti gli anni '70, nell'incontro con la politica la televisione era una sorta di contenitore neutro che la politica occupava sulla base delle sue regole. Gli spazi della politica in televisione erano tribuna elettorale, tribuna politica, dentro le quali c'era la conferenza, c'era il doppio pello che parlava, cioè tutti i luoghi della politica dentro la televisione avevano ancora il marchio del fallo che erano nati nella politica e non nella televisione. La televisione prestava il suo contenitore a queste irruzioni dall'esterno, che però erano parentetiche, perché poi c'era l'intrattenimento, c'era il quiz, e poi la tribunaelellorale ... Negli anni '80 questo modello, che in qualche modo rappresentava la subalternità della televisione alla politica, si ribalta: la politica diventa totalmente subordinata alla comunicazione. Le regole della comunicazione politica nascono dentro la televisione e vengono imposte alla politica. E da questo punto di vista il modello su cui noi adesso paghiamo i prezzi più alti è il modello Rai3, non è il modello Berlusconi. Berlusconi se ne è appriopriato, ma chi concepisce questo modello è Rai3, e il paradigma di riferimento è il Processo del lunedì di Biscardi, 1980. E poi anche le date ritornano assolutamente tutte. Il Processo del lunedì che cos'è? E' la trasposizione sul piano della comunicazione televisiva di quella che è la realtà naturale, la comunicazione da bar, il litigio dal barbiere, trasportato puramente e semplicemente in televisione. E' lì che nasce Giuliano Ferrara, è lì che nasce Samarcanda, è lì che nasce Gad Lerner. Il modello Gad Lernerdi Milano Italia è il modello in cui l'operaio non ha più nessuna dignità come soggello collettivo, fa notizia nel momento in cui è disperato, che sale su una torre per buttarsi giù, che si dà fuoco. E' un modello della realtà così com'è, nei suoi aspetti più brutali, portato sul piano della televisione. Ma nel momento in cui la politica accetta per poter comunicare di servirsi dello strumento televisivo, la televisione detta le sue regole, e allora perché non dettarle fino a fare un partito televisivo? Il partito televisivo è un altro degli elementi incubati totalmente durante gli anni '80. E, ripeto, non voglio attribuire a questo meccanismo la dimensione totalitaria del grande fratello; tra l'altro questa cosa è un'ipotesi di lavoro, perché poi negli anni '80 abbiamo avuto anche un partito, la Lega, che è nato contro la televisione, senza la televisione. Quindi vedremo quello che succede, però è chiaro che se parliamo di Berlusconi, il percorso che ha seguito l'impianto del successo televisivo e politico di Berlusconi è proprio in questa commistione tra politica e televisione. Cosa del resto spiegabilissima. Quando i partiti diventano autoreferenziali, quando tra il politico e il sociale si tira su il ponte levatoio, la televisione diventa la scorciatoia per recuperare un contatto, diventa piazza elettronica su cui dare una finzione di protagonismo ai soggetti collettivi ... E una volta che tu la televisione l'hai caricata di tutte queste valenze politiche ti meravigli che diventi un partito politico? Lo è già, lo era già nei fatti. Hai parlato di date. I 35 giorni della Fiat, 1980, lo sono certamente. Non c'è dubbio che gli anni '80 non sono solo un prodotto puramente fisiologico, come si diceva all'inizio, nascono anche da un confronto tra vincitori e vinti, ce l'hanno dentro il patrimonio genetico il fatto di essere stati costruiti sulla sconfitta della classe operaia. Il Romiti che vince i 35 giorni della Fiat è già tutto quello che succederà, compresa tangentopoli. Il libro Gli anni duri della Fiat, l'intervista di Giampaolo Pansa fatta a Romiti nell'88-'89, è un documento agghiacciante degli anni '80, ancora prima di Craxi. Costui che passando davanti ai cancelli della Fiat vede in faccia gli operai e dice che quelli non erano i suoi operai, e quindi traccia una linea di tipo antropologico tra chi sono i suoi operai e quelli che invece dovevano essere licenziati ... E' già tutto quello che poi succederà, la tangentopoli torinese nasce prima ancora che dalla corruzione della classe politica, dalla sconfitta degli unici antagonisti che in questa città avevano costretto tutti a dare il meglio di se stessi. Anche il gruppo dirigente Fiat diventa una roba lutulenta negli anni '80, perché non ha più nessun confronto, nessun interlocutore, nessun controllo dal bl)Sso. La vera sconfitta della sinistra è quella lì. Infatti qual è in questa fase la differenza fondamentale tra noi, ex del 68, e quelli del PCI? Che mentre noi il nostro lutto grande l'avevamo già elaborato, questi invece non capiscono più niente, sono spappolati. Poi la sconfitta genera mostri, dopo la sconfitta del '22 succede di tutto, dal rancore alla recriminazione, il settarismo, l'opportunismo, tutte cose che noi abbiamo già attraversato, il che ci fa essere più lucidi forse. - luogocomune AYRl'ON SENNA OA Sl1VA Le sterminate folle che accompagnano ii pilota brasiliano morto in corsa, ma anche, più semplicemente, la commozione, per una volta autentica, di tanta gente che di automobilismo forse poco sapeva. Oppure la tristezza di amici, normalmente indifferenti alle vicende agonistiche, che incontrandosi, «dopo la notizia», si sentono in dovere di spendere almeno una parola di tenerezza per l'asso schiantatosi, come un missile, contro un muro, ma il cui bel corpo, a dispetto della carneficina interiore, è rimasto nell'aspetto miracolosamente illeso. Incuriosisce questo insolito accomunamento in un dolore lontano, per altro ampiamente previsto dalle leggi di questo sport che, come tutti sanno e non dicono, nessuna variazione regolamentare potrà mai veramente preservare dal sangue. E non è il sangue in sé a consacrare questo giovane corpo, non è il sacrificio inutile e rituale a renderlo glorioso. Questo, semmai, valeva per l'altro asso, il canadese «volante», vero e proprio devoto della velocità e votato alla morte, la cui icona sbiadita troneggia ancora in tanti bar della periferia romagnola a riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, della particolarissima religiosità che anima questo popolo (la sua morte fu esplosiva come il suo stile in corsa: catapultato fuori dall'abitacolo sembrò volere confermare, fino all'ultimo, ai tifosi innamorati la sua solidarietà di fatto con le nuvole e il cielo). Ciò che le masse, infallibilmente, hanno invece fiutato nella morte del giovane campione brasiliano è stato il venir meno di una «grazia» possibile. Nellasua fanatica determinazione come nella delicatezza dei tratti del viso e nella eleganza dei modi brillava infatti una charis, era presente quella «luminosità», quella nobiltà naturale del gesto, senza la quale la vita degli uomini sarebbe qualcosa di meramente muscolare. Che la grazia potesse trionfare sulla forza meccanica, o meglio, che la forza per potersi esercitare come forza avesse bisogno di uno stile, di un grande stile, questo, forse, era ciò che masse quotidianamente avvilite dalla dittatura del kitsch hanno ammirato in Ayrton Senna da Silva. La specificità di questo lutto, rispetto ai tanti che hanno caratterizzato questo e altri sport violenti, è data allora dal fatto che in esso la sensibilità collettiva ha veramente pianto il venir meno di qualcosa, qualcosa che si sarebbe voluto vedere ancora, non per prolungare l'agonia e rendere così ancora più sensazionale -più mitologica- la scomparsa, ma perché era bello, perché meritava di vivere, perché, a suo modo, dava «forma» ad una esistenza, che, nella sua immediatezza, nonostante l'ottimismo di regime, è sentita ancora come intollerabile. Rocco Ronchi UNA CITTA' 3

di proble,ni italiani Bi La virtù civile, che vuol dire servire il bene comune perché condizione per il proprio, ha il suo movente nel patriottismo che non vuol dire affatto omogeneità culturale ed etnica. La caritas civium da Livio a San Tommaso D'Aquino a Simone Weil. Quando quelle strade, "gonfie di vuoto", improvvisamente furono patria per Natalia Ginzburg. La necessità per la sinistra di un linguaggio dell'unità. Intervento di Maurizio Viroli. Maurizio Viroli insegna filosofia politica a Princeton. Il testo che segue è l'intervento che ha tenuto a Forlì, a. un corso di formazione politica organizzato dal comune, da Polis e da Memoria e Ricerca. La virtù civile, insegnano i classici, è la passione che spinge i cittadini ad impegnarsi per il bene comune, a servire la costituzione e le leggi, a resistere contro gli attacchi dei nemici esterni ed interni della Repubblica, a combattere la corruzione, a mobilitarsi quando anche i diritti di un solo cittadino sono violati. La virtù civile è la virtù propria dei cittadini delle repubbliche o, per usare la classica definizione di Montesquieu ne Lo spirito delle Leggi, è il principio delle repubbliche. E' il principio delle repubbliche intese come quella forma di costituzione politica in cui il popolo è sovrano, detiene il potere sovrano, ovvero il potere di approvare le leggi, di eleggere i governanti. Sottolinea Montesquieu che nella monarchia, dove non ci ·sono· cittadini, ma sudditi e tanto meno negli stati dispotici, dove non ci sono cittadini,. ma servi, non può esserci virtù civile. La condizione necessaria per la virtù civile, dunque, è che i cittadini siano parte della vita pubblica, abbiano il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni politiche sovrane. La virtù civile, per dirlo in un modo più simile al nostro linguaggio, è il principio, o la virtù, propria delle buone democrazie. .. Quando sottolineano che la virtù civile è una passione, i classici del pensiero politico intendono dire che la virtù civile è una forza che fa agire gli individui, una passione che dà agli individui il coraggio, la determinazione, di servire la libertà comune anche quando questo comporta rischi, pericoli e oneri, anche quando servire la libertà comune richiede si mettano da parte, o addirittura si sacrifichino, interessi e beni privati. Nei secoli il mito del cittadino virtuoso è quello di Giunio Bruto, raccontato da Livio in Ab urbe condita. Giunio Bruto -fondatore della Repubblica romana dopo la cacciata dell'ultimo re, Tarquinioera un magistrato che condannò a morte i propri figli, rei di aver cospirato contro la libertà, e presiedette di persona ali' esecuzione. Fu l'amore per la libertà comune, commenta Livio, a dare a Giunio Bruto la forza di prendere quella decisione, la forza di pronunciare la sentenza di morte. Fu la virtù civile a dargli la forza di mettere il bene della sua patria, la libertà comune, al di sopra dell'amore per i suoi figli. Questo non significa, tuttavia, che la virtù civile sia una passione irrazionale, al contrario. Memoria Andatelo a dire Ai caduti di ieri Che il loro morire Fu come le nevi. No, i fuochi di un tempo Non trovano pace, La cenere al vento Riscopre la brace. Una cosa il giudizio, Un'altra la pietà, Lottare per la morte O per la libertà. L'unica dignità Della nostra storia E' la memoria Della verità. Alla vecchia e alla nuova Resistenza italiana, Contro l'odio che odia, Per l'amore che ama. Andatelo a dire Ai caduti di ieri Che il loro morire Fu come le nevi. Gianni D'Elia 25aprile 1994 Anche questo è un luogo comune che si ritrova in tutto il pensiero politico classico e soprattutto nel pensiero politico repubblicano, cioè nel pensiero politico che nasce nel l'antica Roma, rinasce nel I' Umanesimo italiano, sopravvive nell'età modernaedarrivafino a noi. Quando i classici del pensiero politico sostengono che la virtù civile è una passione non intendono dire che è una passione irrazionale, al contrario, per essi essere buoni cittadini, servire il bene comune, è il solo comportamento razionale, è il comportamento che serve meglio l'interesse individuale, è il modo migliore per fare il proprio interesse. I cittadini che non fanno il proprio dovere, che non si impegnano per il bene comune, che sono avari, codardi o meschini, per i classici repubblicani sono soprattutto imprudenti e sciocchi perché non si rendono conto che il loro modo di agire porta alla dissoluzione della repubblica e alla perdita della libertà, ovvero alla perdita dei beni più preziosi perogni individuo. L'esempio di tutto questo, notissimo, è quello, raccontato da Machiavelli, dell'imperatore di Costantinopoli che chiese ai propri sudditi di dare soldi per formare un nuovo esercito e difendere la città, ma i sudditi rifiutarono per avarizia, fin quando sentirono il rumore dell'esercito turco che si avvicinava alle mura e corsero dall'Imperatore con i loro denari. L'imperatore allora disse "Adesso andate sulle mura a morire con quei denari, visto che non avete voluto darli quando era necessario", ovvero, nella lezione di Machiavelli, quel comportamento fu un comportamento irrazionale poiché, per non voler voluto servire la libertà comune, persero tutto. il patriottismo dell'omogeneità o quello della libertà? Questo tipo di teoria della virtù civile si basa su un paradosso, su una apparente contraddizione, cioè sull'idea che per vivere liberi bisogna servire il bene comune. Questa idea sembra contraddittoria perché essere liberi è l'opposto di servire, ma la teoria non è affatto irrazionale, in quanto bisogna essere disposti a servire il bene comune per non essere domani costretti a servire un tiranno o una fazione o gli arroganti o i corrotti. La virtù civile, per i teorici politici repubblicani, è quindi necessaria per la conservazione della repubblica, ma è anche la virtù più difficile da coltivare, più difficile da insegnare, più difficile da praticare, è addirittura, secondo lo stesso Montesquieu, una virtù impossibile per cittadini moderni. Impossibile perché i cittadini moderni non sentono la repubblica, la vita comune, come una cosa loro, la sentono distante, hanno pochissimo interesse per la vita politica, sono quasi esclusivamente concentrati sulla vita privata, sulla vita familiare. Spesso, in società multiculturali come gli Stati Uniti, i cittadini si identificano con il proprio gruppo, con la loro comunità particolare -se sono ebrei con gli ebrei, se sono neri con i neri, se sono donne con le donne- e non si identificano con la Repubblica nel suo insieme. Per questo motivo nel pensiero politico contemporaneo ci si trova di fronte a un dilemma: da una parte tutti sono concordi nel dire che, per vivere, la democrazia, e soprattutto una buona democrazia, ha bisogno di virtù civile, di cittadini capaci di praticare la virtù civile, mentre, dall'altra parte, si riconosce che è quasi impossibile che i cittadini moderni sappiano, e possano, praticare l'impegno civile. Possiamo predicarla quanto vogliamo, e molti filosofi lo fanno, ma, come spesso succede, le prediche restano lettera morta. Questo dilemma ha perciò due possibili soluzioni: o si rinuncia alla democrazia o si trova una via per far nascere, per far crescere, la virtù civile. La soluzione, pertanto, è sostanzialmente una, quella che si può sintetizzare con le parole del vecchio Rousseau il quale scriveva "Volete che i cittadini siano virtuosi? Fate in modo che amino la patria!". Se i cittadini non amano la loro pa ia non saranno mai disposti a servire il ~ bene comune e quindi il segreto della virtù civile è nel patriottismo. So benissimo cosa vuoi dire questa parola, come suona male in Italia, ma questo è esattamente ciò che i classici scrivono. E' il patriottismo, cioè la virtù civile, il segreto della democrazia, virtù civile e patriottismo sono la stessa cosa. Basta leggere la definizione che Montesquieu dà di virtù politica nella prefazione a Lo spirito delle leggi: La virtù politica, dice Montesquieu, è amour de la patrie, l'amore per la patria, ovvero l'amore dell'uguaglianza civile e politica. Il problema è allora quale patriottismo. Se si dice che il patriottismo è la base, il fondamento, della virtù civile, che è necessario alla democrazia, bisogna poi chiedersi quale patriottismo è davvero capace di sostenere una democrazia moderna. Di patriottismo ce ne sono, mi pare, due tipi, che oggi si confrontano nella discussione intellettuale. Chiamo il primo "patriottismo della omogeneità", o nazionalismo, e il secondo "patriottismo della libertà", o patriottismo politico. I teorici del patriottismo della omogeneità, del nazionalismo, sostengono che per far rinascere nei cittadini la virtù civile bisogna creare comunità omogenee, che bisogna trasformare le nostre democrazie in comunità di individui omogenei dal punto di vista culturale, etnico, religioso, morale. Per questi teorici bisogna quindi che le comunità siano basate sulla condivisione della stessa cultura, sulle stesse concezioni del bene morale, possibilmente sulla stessa etnia, sulla stessa religione. Per i teorici del nazionalismo se i cittadini si sentono parte di comunità omogenee, se sono coesi, sono disposti a servire il bene comune, a fare il loro dovere, perché sentono la comunità vicina, se ne sentono parte. Negli Stati Uniti queste idee sono state recentemente sostenute dai filosofi che si definiscono "comunitari", e in Italia una posizione simile è stata presa dal professore Gian Enrico Rusconi, nel libro Se cessiamo di essere una nazione. La lealtà civile, la solidarietà che la democrazia richiede per funzionare, sostiene Rusconi, nol) deriva dall'attaccamento a dei principi universali -come la libertà in astratto, la democrazia in astratto, i diritti in astratto-, ma deriva dall'identificazione con la cultura concreta della comunità, cioè con la nazione. Per Rusconi se cessiamo di essere una nazione, cesseremo anche di essere una democrazia. l'omogeneità porta al bigottismo e all'intolleranza Ora, Rusconi ha ragione quando dice che la democrazia ha bisogno della virtù civile dei cittadini e ha anche ragione nel sostenere che, perché la virtù civile, l'impegno per il bene comune, "viva nella mente e nel cuore" dei cittadini, bisogna che i cittadini si sentano parte della cultura particolare di quel popolo, ma io non credo che abbiamo bisogno del tipo di virtù civile che Rusconi predica, ovvero di una virtù civile che si basa, come lui dice, su comuni radici etniche e culturali. Se noi vogliamo, come Rusconi sembra volere, una cittadinanza democratica, cittadini democratici maturi, cittadini che siano capaci di sostenere il bene comune e la libertà comune -cioè di fare il loro dovere sociale, di impegnarsi per la libertà comune, di vigilare contro le violazioni dei diritti- abbiamo bisogno non di una società più omogenea, di una più forte appartenenza a una comunità etnica, ma abbiamo bisogno di stimolare l'amore della libertà, cioè dei valori politici. lo credo che, se vogliamo avere delle democrazie migliori, dobbiamo ridurre, non rafforzare, l'identificazione con una tradizione etnica e culturale. lo non credo che, per rendere gli italiani migliori cittadini, dobbiamo rendere gli italiani più italiani, nel senso di rafforzare la loro unità etnica e culturale. Cosa vuol dire diventare culturalmente più italiani? Cosa vuol dire rafforzare l'unità etnico-culturale della nazione italiana? Vuol dire che dobbiamo essere più cattolici? Che dobbiamo andare a vedere sederiviamo tutti dallo stesso ceppo, se abbiamo lo stesso sangue? Che dobbiamo parlare tutti un perfetto italiano? Io credo invece che occorra sottolineare i valori politici della cittadinanza democratica; bisogna difendere questi valori e presentarli non come valori astratti, ma come valori che sono parte, la parte mjgliore, della cultura condivisa di questo popolo e quindi non valori astratti contro l'etnia, ma una diversa cultura contro l'unità etnica. la passione della carità: prendersi cura dei concittadini La connessione fra essere italiani e essere buoni cittadini non è una correlazione necessaria: non c'è bisogno di essere genuinamente italiani, nel senso etnico e culturale, per essere buoni cittadini, mentre invece è possibile essere dei perfetti italiani, dal punto di vista etnico e culturale, ed essere dei pessimi cittadini. Tant'è vero che Craxi e Andreotti sono italiani nel senso etnico e culturale quanto lo sono Falcone e Borsellino. Per fare una buona repubblica non c'è nessun bisogno, mi sembra, di rendere la nazione italiana più omogenea, più pura, più unita, in questo ci sono anzi molti pericoli perché la strada della omogeneità spesso porta non a costruire e creare dei cittadini migliori, ma al bigottismo, all'intolleranza. Per fare una nazione più omogenea dal punto di vista etnico e culturale bisogna per forza escludere qualcuno, bisogna per forza purificare chi è diverso culturalmente o etnicamente o dal punto di vista religioso, chi non condivide i valori e le idee e i costumi della maggioranza. Ma se succede questo, se si esclude, allora la città, la comunità politica, non è più la città di tutti, quindi non è più la repubblica, quindi non è più ciò che Rusconi stesso dice di volere, perché la repubblica, come dice il vecchio Mazzini, è la città di tulli e per tutti. Non credo quindi che questo patriottismo dell'omogeneità sia la strada che dobbiamo seguire. Ma c'è un altro tipo di patriottismo discusso nella letteratura contemporanea, è un patriottismo che si è radicato nella cultura americana, è, per esempio, un patriottismo come quello sostenuto da Michael Walzer, secondo cui l'attaccamento dei cittadini alla repubblica non è basato su un'unità etnica, o religiosa, o culturale, ma è attaccamento ai principi della costituzione, ai principi di quella repubblica particolare e al modo di vita conforme a quei principi, è cioè un patriottismo politico. Un patriottismo che è l'unico possibile negli Stati Uniti, essendo la loro una società formata da gruppi etnicamente diversi, con diverse culture, religioni, colore della pelle. Negli Stati Uniti l'unica unità possibile è l'unità che è data dall'accettare i comuni principi della repubblica, cioè della costituzione, e il modo di vita che si è radicato, formato, su quei principi. Michael Walzer sostiene che quello è il solo patriottismo che possa vivere una società multiculturale, che una società multiculturale democratica possa tollerare, l'unico possibile per gente come noi, ed è un patriottismo che non ha bisogno di essere sostenuto dall'omogeneità, ma può essere sostenuto dalla politica, solo dalla politica, dalla partecipazione alla vita politica nelle diverse forme della società civile. Può sembrare quasi contraddittorio, ma, secondo Walzer, sono politiche di tipo democratico e socialista, politiche di welfare, politiche di giustizia sociale, politiche che incoraggiano alla partecipazione, le vere e le migliori forme, i migliori mezzi, per incoraggiare il giusto tipo di patriottismo di cui una democrazia ha bisogno. Questa tradizione è oggi particolarmente presente in America, in Europa è sostenuta da Habermas, ed è una tradizione nostra: questo patriottismo politico è una concezione del patriottismo che nasce nell'antica Roma, che nasce nella tradizione del pensiero politico repubblicano ed è l'idea che per patriottismo si intenda certo amore della patria, ma per patria si intende la repubblica, non la comunità etnica. Per patria si intende la libertà comune di un popolo, la costituzione, le leggi che formano quella libertà comune, che sono alla base della vita civile. E' un patriottismo che parla di amore per la patria, ma intende per amore della patria non un attaccamento esclusivo, cieco, verso la propria comunità, ma un tipo di carità, una passione generosa che spinge l'individuo a prendersi cura non solo dei propri familiari, dei propri amici, dei propri correligionari, ma dei propri concittadini. Infatti l'espressione che Livio usa è caritas civium: carità verso i cittadini, soprattutto quando i cittadini sono vittime di ingiustizie, di torti, di discriminazione, di oppressione, questo è il significato classico del patriottismo repubblicano. E' un significato che certo si è trasfigurato, che si è perso, che si è dimenticato, ma questo non vuole dire che non ci sia una tradizione nostra, alla quale possiamo guardare per risolvere il problema di cui parlavo ali' inizio. Già lo ricordavo: questa tradizione rivive nel pensiero degli umanisti, riappare in Machiavelli che, quando parla dell'amore della virtù degli antichi romani, lo qualifica come amore della patria e intende la capacità dei cittadini della repubblica romana di mettere il bene comune al primo posto, al di sopra degli interessi particolari. Questa tradizione dall'umanesimo italiano si trasferisce al pensiero politico inglese che prepara e accompagna la rivoluzione inglese, tant'è che John Milton definisce i nostri vecchi patrioti "difensori della libertà civile e religiosa" e definisce, in un altro testo più tardo, i migliori patrioti coloro che hanno giustamente difeso la nostra libertà. E Milton difende l'esecuzione del re: per difendere quell'atto spiega che esso non fu un atto di ribellione, o di ira, o di odio, ma fu un atto di carità nei confronti della libertà comune. Il significato della parola patrie nella tradizione intellettuale che precede la rivoluzione francese, poi, è indubbio: tutte le volte che viene usato, patrie significa una repubblica, una comunità di cittadini liberi ed uguali. Quindi dire amore per la patria, se per patria si intende la libertà comune, la repubblica, ha un significato del tutto diverso dalla retorica nazionalista, dall'ammirazione della purezza etnica, dalla difesa della omogeneità naturale di una nazione. Tant'è vero che per gli scrittori politici dell'illuminismo e per i teorici dell' Encyclopédie, l'opposto di "patria" è il dispotismo perché dove c'è il dispotismo non c'è la patria. Ci può essere un paese, ma non può esserci una patria, perché per esserci una patria bisogna che ci sia la libertà comune, che ci sia il governo della legge, l'uguaglianza politica e I' uguaglianza civile. che cosa si ama? la grande nazione o la fragile repubblica? Per chiudere sulla descrizione di questa tradizione, vorrei sottolineare il fatto che esiste, negli scrittori politici repubblicani a cominciare da Cicerone, una chiarissima definizione di che cosa si deve intendere per amare la repubblica. Dice Cicerone che questo amore è una forma di carità, un attaccamento che abbiamo verso le persone care, verso i nostri concittadini, e che si esprime in atti di servizio -ecco la virtù civile, servire il bene comune- e in atti di cultus, cioè nel prendersi cura, nello stesso senso in cui ci si prende cura di una pianta, di un campo, della vita pubblica perché prosperi. Questo è il patriottismo nel senso tradizionale, nel senso classico, che rivive nel Medio Evo. Ad esempio in un testo attribuito a S. Tommaso D'Aquino, Amor patrii in radice caritatisfundatur, l'amore della patria ha la sua radice nella carità. L'amore della patria in questo senso, per i teorici repubblicani, è un tipo di passione che ha una capacità trasformativa perché trasforma l'individuo che mette al primo posto l'interesse personale, privato, in un

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