Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

l'ottocento, quando la marginalità era quella dei poeti, degli eccentrici, della società bohemien. Ora la stessaoperazione di riciclaggio, di integrazione di ciò che è maledetto viene fatta a li vello dei grandi mezzi di comunicazione di massa. Si consumano i soggetti, gli argomenti, le vite degli autori ma soprattutto i prodotti musicali e gli oggetti del la moda. Percui mode e prodotti che nascono in ambienti marginali -ghetti etnici o anche autoghettizzazione di gruppi giovanili- vengono normalmente immessi sul mercato perché rompono la routine, sono un elemento di innovazione del consumo, generando una serie di fenomeni ciclici per cui appena la moda viene rilanciata a livello ufficiale è abbandonata da quel Ii che l'avevano creata. Questo meccanismo non ha solo una spiegazione commerciale. ma forse, psicologicamente, corrisponde a una curiosità, è la forma più passiva, più debole ecommerciale del!' ibridazione. E' come se, prendendo certe mode o prendendo certa musica, si attenuassero certe di ff erenze. Resta il fatto che questa contaminazione culturale, pur essendo positiva e preparatoria di altre forme di contaminazione, in genere non produce nessunaforma di integrazione sociale. La distanza economica tra i quartieri ricchi e gli abitanti dei ghetti americani è andata crescendo anche se la loro musica e la loro moda hanno invaso questa società. E questo vale anche laddove i I contenuto esplicito di queste musiche è invece quello di ribadire resistenza del ghetto. Il rap, che a differenza delle altre forme musicali non ha mai cercato di diventare glam, di farsi amare, è diventato lo stesso un oggetto di consumo e quindi evidentemente la cosa va al di là delle intenzioni e dei comportamenti provocatori. Ti puoi ammazzare, "fare e rifare", ammazzare i poliziotti, eccetera, sei inesorabilmente consumato da un pubblico che ascolta, capisce le parole e UNIPOL ASSICURAZIONI assorbe tutto. Situazione comunque interessante e tipica di una metropoli in cui è possibile oltre ali' integrazione anche l'assorbimento molecolare o distratto di quello che proviene dal ghetto. E gli aspetti sociali? Il lavoro è finito come centro della civiltà, non è più un fattore di socializzazione. Questo vuol dire che non c'è nessunasperanza di uscire fuori dai problemi della metropoli con i criteri tradizionali adottati dalla grande politica borghese delle riforme di fine 800 inizio '900 - eliminazione degli slum. città giardino, eliminazione della corruzione dall'amministrazione comunale- o con quelli che permisero, nelr epoca del new dea!. alle grandi città americane di sollrarsi alla morsa troppo strella della criminalità organizzata. smantellare scuole e diminuire l'età punibile Invece la metropoli contemporanea è cara11erizza1ada un notevole grado di rinuncia dei gruppi dirigenti a tenere insieme le cillà con politiche di tipo riformista. Liberismo sfrenato, incentivi alle industrie private, e poi, come unico intervento pubblico per rendere vivibile la cillà, un elevato grado di militarizzazione poliziesca. Non c'è più nessuntentativo. senon formale, di recuperare le bande giovanili, i ghelli fatiscenti, con politiche di tipo assistenziale, pietistico. Ogni politica riformista in una grande città significa tenere i ragazzi a scuola e non per strada, una politica puramente repressiva signilica continuare a finanziare solo la polizia, smantellare le scuole, lasciare che i ragazzi vadano per le strade, e casomai diminuire l'età della punibilità per i criminali minorenni. Questa rinuncia da parte dei gruppi dirigenti a qualsiasi tipo di riforme significa che pensano di non poter più ollenere niente. NelUNIPOL: DA 5 ANNI, AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, l O FORLI'- Tel. 452411 FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON UUurt\W 1no 1anco l'ambito di una società fondata sul lavoro è possibile redimere auraverso il lavoro e il suo corrispettivo, cioè il carcere minorile. Se il lavoro non socializza più a che serve fare una politica pubblica di risanamento dei quartieri, di scolarizzazione? E' una cosa puramente insensata, uno spreco. Bisogna mantenere quel tanto di repressione checonsente ai quartieri privilegiati di non essereinvasi dagli altri. Così le ci11à,che non sono più centri produttivi industriali di grande rilievo-in misura crescente si cerca di inseguire la mano d'opera dove èmeno costosa-. sopravvivono soltanto nella forma disciplinare che non può che portare aun interminabile e lacerante connitto dentro le città da cui non si vede come uscire. Non si vede quali nuovi asselli sociali possano venire fuori dalla fine della società del lavoro, al momento l'aspetto di decomposizione è assolutamente prevalente. Almeno è quello che possiamo vedere noi, in futuro speriamo che su questo si facciano grandi risate. In fondo dalla decomposizione della società degli schiavi venne fuori una nuova e rigogliosa civiltà ... Quindi la metropoli contemporanea è associabile alla fine del lavoro ... Senz'altro. E la metropoli è anche il laboratorio dove si formano probabilmente le forme alternative. dove si sono più sviluppate le tecniche che svuotano tecnicamente il lavoro tradizionale, dove si affermano quelle forme di lavoro nuovo. con forte carattere di personaIizzazione, che sono caratteristiche del lavoro post fordista. La cillà è un laboratorio privilegiato per tulle queste cose. Naturalmente la città saràsempre il luogo dei rapporti personali, perché dove è più fitto l'affollamento delle persone, più il carattere personale delle prestazioni balza agli occhi. E' ovvio che non troveremo il dog sitterche porta a spassoi cani in campagna, lo troveremo nei parchi cittadini, o il lavavetri, per dire di due forme tipiche di nuovo lavoro con evidente carallere servile, differenti dalla prestazione del lavoro salariale impersonale. Qui sono quelle forme di lavoro dove sia I' aspe Ilo di decomposizione. sia la cellula germinale di nuove forme di lavoro e civiltà, probabilmente sono presenti. In questa metropoli ha ancora un senso discutere il problema dell'individualità? Questo non è neanche un elemento assolutamentenuovo perchéeragià nelle analisi di Simmel del rapporto fra individualità e grande ci11à. L'individuo nella città è s011oposto a un forte progetto e a un forte processo di banalizzazione, di anonimizzazione. Però soltanto nella città e non certo nella campagna troviamo l'individuo realizzato interiormente. La condizione di anonimia, di alienazione dellaci11àche, ovviamente in una forma o nell'altra, possiamo a11ribuireanche alle metropoli contemporanee, è quella al cui interno si sviluppa anche l'interiorità dell'individuo che si contrappone aquesto. Naturalmente è un· interiorità non com palla. ma frantumata. la coca cola che affratella tutto il mondo Se i caralleri alienanti della metropoli amplificano quelli già denunciati ne11'800,d'altra parte la città lascia libere e distinte le singolarità, non le fonde. non le abbraccia. non le omologa nelle radici. nel sangue. nella carne, nella terra, in tulle queste mitologie. Poi io non condivido l'altra espansione, quella che fa !lardi ed è notissima, che l'individuo metropolitano consumatore alienato, selvaggio. realizza perfe11amentel'individualità, mi sembra un abbellimento un po' utopistico di coseche sono della cillà. Dello in parole povere: la parte negativa è condivisibile, meglio una civiltà della coca DIFFUSIONE SPECIALISTA RTICOLIDABAMBINO CENTROCOMMERCIALE«ILGIGANTE» BABYCROSS · GIGANTE v,aCampode,F,on47100ForlìTel.0543/721023Fax0543/724797 BABYCROSS · RIMINI ViaNuovaCirconvallazion2e1, 47037Rimin(iFO) Tel.0543/777552 cola che una civiltà apulizia etnica. La coca cola effettivamente affratella, come nelle reclame, tutte le comunità e quindi è meno pericolosa del!' idea che farsi la croce due volte o tre volte. da sinistra adestra o da destra a sinistra, bere quella grappa di prugne falla in quel modo particolare, sia un valore sufficiente per ammazzare gli altri. In questo senso, appunto, la città rende più liberi, l'aria di città continua, come nel Medioevo, a rendere liberi. Che poi su questo si sviluppi una sogge11ivi1àpiù ricca, desiderante e che si sbarazza da ogni problema di politica, è un abbellimento anarchico della situazione, perché c'è un altissimo livello di sofferenza e di debolezza in questa situazione dell'individuo metropolitano. E poi perché ritengo che non sia certo la civiltà del consumo r elemento che caratterizza la liberazione. Se non si può dire l'opposto -dove e'è consumo e·è alienazione- certo non è la partecipazione come consumatore, oppure come saccheggiatore, che permette di rompere questa strullura sociale, perché il consumo, e al limite un pochino di saccheggio. può essere beniss.imo integrato in una politica puramente repressiva. Un po' come nel supermercato dove fino al 5% di taccheggio è tollerato. Al di sopra di quei limiti scalla un meccanismo economico e quindi si cominciano a mellere le guardie all'ingresso a controllare. Bisogna stare molto attenti a pensare che il meccanismo del consumo sia più che un'occasione. Certo, bisogna pensare a un'emancipazione ricca. Però da questo adire che I' indi vi duo consumatore quanto più è bombardato dalla televisione, tanto più è liberato da un'ideologia, da una memoria e automaticamente diventa rivoluzionario, beh, insomma. ce ne corre. Non basta guardare Non è la Rai per diventare rivoluzionari. Anzi, si dice che siano successecose differenti. • altrecittà SHU LIN I generali e i pontefici dell'antica città di Shu Lin, nel nord-est della Cina, si recarono in visita dal saggio Chen che viveva in montagna in cima a un sentiero sassoso, e gli dissero: "Shu Linversa nel disordineed èminacciata dal nemico, che cosa ci consigli di fare?" "Cambiate tutti i nomi" rispose Chen. "E poi?" "Cambiate tutti i nomi, e basta." "Ma come, siamo nel mezzo di una crisi economica emorale, il nemico ci attacca, il momentoècruciale, è questione di vita o di morte, e tu dici di cambiare i nomi?! E come faremo a chiamare alle armi, a incitare alla lotta, a sostenere gli sforzi, se cambiamo i nomi?" e se ne andarono scuotendo la testa. Dopo qualche tempo un altro drappello di autorità e di cortigiani con cavalli e baldacchini salì fino alla casettadi Chen equando il saggiodopo l'inchino li invitòa entrare, gli dissero: "Maestro,a ShuLin regna il caos, non ci si capisce più, ci si urla l'un con l'altro, si sospetta di tutti, non si concludono affari, e il nemico è sempre più vicino. Che cosa consigli?" "Cambiate tutti i nomi" rispose Chen. "Ma come, le cose vanno di male in peggio e tu ci consigli di cambiare i nomi?" si lamentarono i visitatori e aspettarono che il maestro aggiungesse qualcosa. Ma Chen taceva e allora insisterono: "Proprio tutti?" ''Tutti" confermò Chen, sorridendo. "Ma come faremo a raddrizzare i torti e a estirpare il marcio senza invocare la giustizia e predicare il bene?" "Cambiate tutti i nomi" disse Chen a bassa voce e chiesto permesso si ritirò. Scontenti, confusi, stizziti i maggiorenti se ne ritornarono in città, sparlando del maestro. Dopoqualchetempo, però, lecariche massimedi Shu Lin,messeallo stretto dal precipitare degli eventi e sperando che anche il maestro nel frattempo se ne fosse reso conto e ravveduto, risalirono in montagna: "A Shu Lin non c'è più pace, maestro Chen, prevale lo spirito di vendetta, e il nemico passeggia tranquillo per le strade e se la ride. Cosa dobbiamo fare?" "Cambiate tutti i nomi" disse Chen. "Maestro" protestarono quelli, alzando la voce, "tu non ti rendi conto di quel che dici! Il nemico è tra noi e la nostra unica speranza è che i magistrati dellacittà loarrestino, e tudici di cambiare i nomi! Noi non ti capiamo. Almeno dicci quali nomi. Certamente nonvorrai riferirtia nomi come equità, uguaglianza, solidarietà..." "Cambiate tutti i nomi." "Ma insomma, maestro, se cambiamo i nomi di solidarietà, uguaglianza, equità, in nome di cosa i magistrati potranno arrestare il nemico?" Il maestroallora tacque e le massime cariche si allontanaronosbattendo la porta, e pensando: "Forse è d'accordo col nemico, dovremmo farlo arrestare!" Passarono un po' di mesi, la città di Shu Lin era pacificamente nellemani del nemico e i resti sconfitti e smarriti deivecchi signori risalironomogimogi alla montagna e il maestro li accolse a braccia aperte: "E allora?" "Il nemico ha vinto, maestro, Shu Lin è caduta, la maggioranza del popolo losegue, e i valori e i riti fondamentali sono vilipesi e traviati." "E come ha fatto?" "Molti nomi li ha cancellati, moltissimi li ha dimenticati, e molti di più li evita..." Chen sorrise e disse: "E voi che avete intenzione di fare?" "Certo" risposero quelli, tutti compresi di sé, "il momento è grave e difficile ma noi crediamo che restando saldamente attaccati ai vecchi nomi la piena passerà... Ci vorrà tempo ma poi alla gente ritornerà la nostalgia di quei bei nomi del passato." Ilmaestroproruppeallora in unabella risata e quelli lo guardarono come un matto, ma poiché gli dispiaceva d'esser venuti fin quassù a vuoto domandarono: "E tu che dici?" Il maestro Chen smise di ridere, si fece serio in volto, alzò il bastone e gridò mentre fuggivano: "Meritereste che vi si tagliasse la lingua, ecco quel che dico!" Michele Calafato CASSARURALEDARTIGIAN-AFORLI' ' NEL CUORE DELLA CITTA'

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