Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

di metropoli, ghetti e altro B1 L'ambivalenza del ghetto metropolitano: luogo degradato socialmente e vivace culturalmente. Luogo di comunità etniche che, a differenza di quelle, spesso orrende, radicate nel territorio, si ibridano, si arricchiscono nel confronto fra di loro. La fine della società centrata sul lavoro e la disperazione delle lotte metropolitane. Intervista a Augusto Illuminati. Augusto Illuminati insegna Storia della filosofia politica all'Università di Urbino. Nei suoi studi recenti si è occupato dei conflitti sociali nella metropoli contemporanea. Ce ne può parlare? Intanto, parlando di metropoli s\ devono intendere le grandi metropoli occidentali. Nel senso che le grandi città del mondo, quelle che hanno più di dieci milioni di abitanti, in genere stanno nel terzo mondo e sono spesso agglomerati informi di gente concentrata lì per la maggiore possibilità di sopravvivenza. Non c'è una crescita organica della città, sono un immenso ammucchiamento di popolazioni che cercano di sfuggire alla condizione di morti di fame. Il mio discorso è pensato sulle metropoli dell'Europa e del I' America di cui si può ricostruire una storia e quindi possono essere si- , gnificative dal punto di vista dell'analisi dei conflitti sociali. Che si può dire? Intanto che, in una situazione in cui le classi non sono definite e visibili come soggeui pieni, le città sono il luogo dove più si leggono i conflitti di classe nelle forme attuali, che sono frammentate. Nella città, cioè, noi vediamo in modo chiaro quella che Balibar chiama "la lotta di classe senza classe": un'estrema proliferazione dei gruppi, lo spostamento della lotta al controllo del territorio, la localizzazione territoriale degli schieramenti, con una classe oppressa formata dagli abitanti di un ghetto e quindi precisamente individuata e circondata dagli altri. E infatti molto spesso le lotte si manifestano in forme territoriali: difesa del proprio ghetto dall'invasione o degli altri o dell'apparato del_lostato, straripamento del ghetto in quartieri vicini come forma di lotta, controllo delle strade al!' interno stesso del ghetto. Quella tipologia, cioè, che la rivolta di Los Angeles ha mostrato: non più una classe con un ruolo sociale che vuole conquistare il potere, ma semplicemente l'arroccamento in un ghetto senza neanche più la forza di uscirne. Nel caso di Los Angeles c'è anche un'impossibilità fisica emblematica: se non puoi fare 50 chilometri sollo gli elicotteri della polizia per arrivare a Beverly Hills difendi il ghetto, ali' interno del ghetto la banda difende la strada, e così via. E' veramente una metafora molto efficace di una lotta di classe moderna, profondamente diversa da quella classica, quella che abbiamo studiato sui libri, e anche da quella di cui abbiamo visto gli ultimi bagliori. In questa il fattore temporale aveva una grande importanza: l'idea di richiamarsi a un passato della propria classe, di avere un futuro da costruire. Se prendiamo sempre l'esempio di Los Angeles, i protagonisti della rivolta non hanno assolutamente nessuna memoria del passato: né di un passato americano, né di un passato di Los Angeles, né del loro passato cicano, coreano o afroamericano. E se qualche cosa del genere c'è, è puramente retorica. E poi, cosa ancora più drammatica, non hanno assolutamente ne sun futuro da costH1ire. ---"---"----'('~ cioè nessuna proposta consapevole di organizzazione, anche se qualcuno volonterosamente ha cercato di proporre dei programmi di vivibilità nel presente, più ancora che per il futuro. La parola d'ordine punk no future, nessun avvenire, con un atteggiamento nichilistico, esprimeva un dato più generale. D'altra parte questo sembra vero anche per altre lotte, come quella dei giovani francesi: non c'è alcuna continuità col passato. Non dico per esempio di ricordarsi della Comune di Parigi, ma è evidente che ignorano tranquillamente anche il maggio del '68. La cosa è curiosa perché ripercorrono gli stessi itinerari, combattono nelle stesse vie, spaccano le stesse vetrine che furono spaccate nel '68, ma non lo sanno, forse lo sanno i proprietari dei negozi se hanno il negozio da un po' di tempo. il 50% della popolazione è stato carcerato Il caso americano, poi, è ancora più significativo perché avviene in una città alla Biade Runner, dove abbiamo una pluralità di comunità etniche e le lotte, spesso, prendono la forma dello scontro interrazziale. A Los Angeles il primo obiettivo non è stato il potere bianco che stava sulle colline e nei canyon intorno alla città, ma i coreani, perché i coreani stavano nei loro quartieri. Questo fa vedere proprio il carauere ravvicinato, senza prospettive, non strategico, delle lotte, che non si volgono direttamente contro il potere, ma passano in primo luogo attraverso scontri etnici fra neri ed ebrei, o neri e italoamericani a New York, tra messicani e neri insieme contro gli asiatici a Los Angeles. Questo tipo di frantumazione delle lotte è abbastanza significativo e anche drammatico. Quindi il problema etnico sembra diventare l'elemento più importante nella metropoli contemporanea? La divisione fra quartieri riguarda molto le divisioni etniche, nel senso che i quartieri più identificabili come ghetto sono quartieri dove balza in primo luogo una differenza etnica. Quando si dice ghetto si deve usarlo nel senso classico. cioè il luogo abitato dagli ebrei, cioè della differenza etnica e della differenza religiosa. Il ghetto americano non è semplicemente il quartiere povero e degradato, è un quartiere dove abita un determinato gruppo etnico e anche, se si vuole, una determinata religione perché se si va in America si vede abbastanza facilmente l'insediamento e anche il ruolo che hanno sette, gruppi. chiese, dentro un ghetto. Comunque evidentemente l'aspetto più chiaro è quello razziale. In Europa questo comincia ad essere tendenzialmente visibile, nel senso che quando parliamo di ghetto nelle città europee cominciamo a chiamare ghetto quei quartieri dove è prevalente la popolazione immigrata. In America. in genere, il ghetto coincide con il centro del! città, è la i1111ercity, e ~ "0 invece i quartieri di ceto medio o alto e misti sono quelli che si dispongono tutto intorno. In Europa c'è un sistema un po' diverso perché il centro della città continua ad essere il centro storico e l'anello periferico è invece quello di prevalente insediamento degli immigrati. Non che manchino anche i fenomeni americani, perché per un certo periodo il centro di Torino è stato il luogo dell'immigrazione meridionale. A Genova anche, ma il porto è sempre zona tradizionale di insediamento delle minoranze perché lì arrivano. Quindi il porto di Genova va a seguire la stessa strada del porto di New York, che è stato successivamente il centro del quartiere ebraico, il centro della Little Italy, di quegli immigrati che poi, mano a mano che si sono affermati, si sono spostati in altri quartieri. Se pensiamo agli zingari, vediamo che si addensano intorno ai raccordi anulari delle città e non nei porti perché arrivano da ogni parte tranne che dal mare. Ci sono poi casi pittoreschi e non metropolitani come quelli della Sicilia, di Mazara, dove l'immigrazione araba ha rioccupato l'antica città araba del dodicesimo secolo, ma sono casi molto particolari. , Fra questi quartieri ghetto, proprio perché definiti da una differenza etnica, si stabiliscono veri e propri confini che sono tipici della città americana. E il conflitto si scatena quando gruppi diversi, o le forze dell'ordine, si addentrano al di là dei confini di un ghetto. Queste sono forme di lotta che animano continuamente la società contemporanea e, pur avendo un tasso di pericolosità per il potere abbastanza basso ed essendo tenute facilmente sotto controllo, creano grossissimi problemi e portano a fenomeni mostruosi. L'incidenza dei carcerati, per esempio, fra la popolazione negra dei ghetti urbani comincia ad arrivare a livelli attono al 50%. Il 50% della popolazione è passata almeno per qualche mese dal carcere e questo significa livelli molto alti di droga. La vita media in un ghetto americano è a livelli più o meno paragonabili a quelli del1' Etiopia e del Bangladesh: anche se non muoiono di fame muoiono di Aids, di arma da fuoco ancora di più, di overdose e cose di questo genere. Tutto questo se non dcstabi Iizza certo la società, la rende altamente invivibile. L'altro aspetto della medaglia è che questi ghetti, più in America che non in Europa, sono anche centri di produzione della cultura e dell'innovazione. La cultura musicale e figurativa scaturisce in gran parte da queste situazioni. Si può anche capire che determinate condizioni spingano disperatamente a fuoriuscire dal ghetto utilizzando questi sistemi. In Italia e negli altri paesi europei questo succede di meno, ma naturalmente ci sono eccezioni. Pensiamo alla musica rahi algerino-francese: scaturisce dai quartieri ghetto del!' ultra-peri feria di Parigi ed è una ibridazione di cultura algerina e cultura francese. E' nata originariamente nelle città del nord Africa da immigrati ritornati in Algeria, però oggi trova condizioni di sviluppo più facile in Francia, in questi quartieri ghetto, che non nel luogo originario dove è sottoposta a persecuzioni di polizia. Questo è un po' l'esempio di confronto più tipico che possiamo fare tra situazione americana e situazione europea. Ma a parte il caso francese, in cui c'è un interscambiocontinuo, il limite dell'immigrazione europea sta nel fatto che gli immigrati europei periodicamente, o in prospettiva, ritornano al paese di origine. In America invece gli immigrati non hanno altro destino che starsene lì attaccati come ostriche. In Italia, per esempio, non c'è una grande produttività culturale perché gli immigrati vengono da parti molto diverse del mondo, vengono quasi casualmente, casomai non riescono ad andare in Germania come desiderano e rimangono intrappolati in Italia, qualcuno resta e qualcuno torna via. i fondamentalisti uccidono i cantanti rahi Questo rende per ora difficile la possibilità di una cultura ibridata nordafricana-italiana, senegaleseital iana, cinese-italiana, ecc. Che tipo di rapporto si crea tra comunità e metropoli? Vale per la comunità quello che abbiamo detto per le lotte. Non si vede come la comunità possa costituirsi altrimenti che sul terreno delle metropoli. Intendendo naturalmente per comunità qualche cosa che abbia un minimo di senso, che non sia semplicemente la descrizione di un mostro orribile. Perché fuori dalle metropoli, e potremmo dire fuori dal "mondo civile", abbiamo forme orrende di identità comunitaria che, affondando le radici nel territorio. coltivano l'idea di allargare la comunità allargando il territorio mediante guerre di conGAIA Alimentazione Naturale Yoga Shiatsu via G. Regnali, 63 Forlì tel. 0543 34777 4ui<,ta, c<,tirpando tutti quelli che non hanno le stcs<,e radici della comunità mediante la pulizia etnica. E' il ca<,o della cx-Jugoslavia. Quindi se vogliamo mantenere al termine comunità un minimo significato positivo, praticabile e comprensibile, dobbiamo parlare di comunità nella metropoli, dove la convivenza di varie comunità presuppone un irreversibile sradicamento dal loro territorio di origine. E' la comunità dei portoricani di New York, dei coreani di Los Angeles, che non torneranno mai più nella loro patria, perché là non c'è più nulla di autentico, di originale, oppure perché c'è troppa povertà per consentire la sopravvivenza dei suoi abitanti, oppure per scelta deliberata. In questo senso il caso esemplare e anche più antico storicamente è quello delle comunità ebraiche. La comunità ebraica americana è una comunità che ha reciso le proprie radici territoriali nel senso che, pur potendo teoricamente tornare in Israele, invece ha scelto di restare in America ed eventualmente di appoggiare e finanziare l'esistenza di un gruppo ebraico radicato in Israele. Ecco, lì c'è la scelta della diaspora contro la pratica effe11iva del sionismo.che può anche conciliarsi con un appoggio esterno al sionismo. Questo tipo di comunità è interessante perché sente le radici come qualche cosa che è stato perso e nello stesso progresso delle comunità c'è come la coscienza dell'impossibilità di realizzarsi completamente come comunità. Naturalmente restano evidenti anche elementi negativi della comunità, cioè il permanere, malgrado lo sradicamento, di alcuni elementi di radici che possono far emergere a11eggiamenti razzisti e atteggiamenti di tipo fondamentalista. Ma anche questo "lato cattivo" della comunità opera comunque sul terreno di una metropoli, quindi di scambio, di confronto con altre comunità. E il loro essere comunità è un vissuto tutto immaginario. Una cultura afroamericana più si proclama africana e meno ha a che fare con quello che effettivamente è stata o è adesso una cultura africana. E' veramente una creazione originaria. Un po' come l'idea dei giacobini francesi di rinnovare la repubblica romana. Fu un grande mito di fondazione, di coesione, ma naturalmente non aveva nessuna corrispondenza realistica con la realtà del passato storico. L'esperienza interessante di queste comunità è dovuta al fatto che, non essendo separate ma interagendo col resto della metropoli, possono fare valere, anche se rischiano derive fondamentalistiche, delle effettive differenze in un crogiuolo che è ricco e produttivo. Prendiamo sempre la musica rahi. I fondamentalisti sono riusciti a far proibire il rahi a Orano e nei luoghi dove esso è nato storicamente, ed ora hanno cominciato a uccidere i cantanti rahi. Per cui. paradossalmente, si può cantare e suonare liberamente. e soprallutto incidere, soltanto in Francia. Anche i testi del rahi testimoniano questo carattere di ibridazione culturale: c·è l'enorme sofferenza di chi non è più algerino né francese, non è accettato bene in Francia, e non è più algerino a casa sua ... Però questa sofferenza del loro sradicamento è una componente inevitabile della metropoli. che può produrre anche risultati notevoli. Le comunità possono realizzare ancora qualche cosa. mentre è evidente che questo non si può dire della comunità maggioritaria. Che "la" comunità francese. o "la'' comunità italiana, a contatto con altre comunità, possa produrre qualche cosa di suo, di autentico, fa semplicemente orrore. vuole dire semplicemente espulsione degli altri, o razzismo differenzialista, o altre cose del genere. La comunità vale in quanto minoranza che si ibrida con la cultura maggioritaria e che costringe all'ibridazione la cultura maggioritaria. Nonc'èdaaspellarsi nulla di buono se una comunità maggioritaria che prima parlava in termini di universale all'improvviso si richiama al sangue. In questo senso la città è un laboratorio molto interessante e comunque non se ne vedono altri. Questo resta valido quali che siano le considerazioni sociologiche sul fatto che le città possano anche spopolarsi. Le metropoli, nel mondo occidentale, non guadagnano abitanti, perdono abitanti a favore di cinture ultra periferiche, di città satelliti. Oppure, semplicemente, in Italia la gente se ne va in Toscana, in Umbria, nel Lazio o nella Brianza. E questo per problemi di fatica del vivere urbano, poi perché l'elettronica consente qualche allontanamento dai percorsi lavorativi, in America questo allontanamento avviene perché la gente non vuole convivere con i ghetti, perché ha paura. Ma questo svuotamento delle città europee e americane non toglie il carattere di metropoli che è ormai fortemente radicato nelle strullure, siano esse lavorative oppure centri di comunicazione. Quindi il ghetto come luogo di grande vitalità artistica e culturale. Da questo punto di vista che tipo di rapporto si crea fra il ghetto e il resto della società? Qui ci sono due aspetti: da una parte c'è la società ricca che assorbe questa cultura, dall'altra c'è il problema, per chi sta dentro al ghetto, di cosa significa questa creatività, se ribadisce o meno le frontiere del ghello. Partirei da questo secondo punto. le mode sono un segno anche di curiosità Indubbiamente il ghetto offre una grande protezione. Chi sta dentro al ghetto vive male, ma comunque ha una certa protezione, una specie di grembo materno in cui vivere. Naturalmente questo è un fatto impoverente e mi pare logico che bisognerebbe cercare di uscire dal ghetto; r ibridazione culturale si devemanifestarecon l'abbattimento delle barriere dal!' interno del ghetto. Mi pare che in tutte queste culture che nascono nel ghetto ci siano entrambe queste tendenze: quella di chiudersi a riccio nella sicurezza del proprio ghetto e quella invece di uscire fuori da una logica di tribù, di banda giovanile e di esporsi maggiormente alla contaminazione, ali' ibridazione etnica, di quartiere. In generale le produzioni artistiche, culturali che ottengono successo realizzano questo. In forme ambigue, perché uscire vuole anche dire farsi una casa, avere ricchezza, andare da una casa discografica e così via. Quindi c'è una stretta mescolanza fra interesse puramente economico a produrre un tipo di cose che si vendono sul mercato e l'aspirazione a rompere le barriere del ghetto. E quindi gli infiniti tormentoni se il tal gruppo ha tradito o no, se si è corrollo o no facendo circolare questo linguaggio a milioni di spellatori. Il secondo problema. Perché questa cultura marginale viene richiesta. viene consumata? E' un meccanismo tradizionale, che risale alSOFTWARE - SYSTEM HOUSE CENTRO ELABORAZIONE DA TI CONSULENZE INFORMATICHE CONSULENZE DI ORGANIZZAZIONE . . - - CORSI DI FORMAZIONE Soc. Coop. a r.l. Via A. Meucci, 17 - 47100 FORLI' Tel. (0543) 727011 Fax (0543) 727401 Partita IVA 00353560402

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