Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

le leggi razziali del '38 Nel '38 all'improvviso i ragazzi ebrei dovettero lasciare la scuola. Erano scattate le leggi razziali e compilate col censimen_toquelle liste di nomi che poi facilitarono enormemente il lavoro dei tedeschi. Un gruppo di studentesse del liceo classico Alfieri di Torino ha rintracciato e intervistato alcuni degli studenti di allora. 1122agosto 1938 si svolge il censimento degli ebrei italiani. E' la premessa della persecuzione che vedrà ragazzi e professori cacciati dalle scuole, igenitori colpiti nella dignità sociale, nel lavoro, nei beni. Grazie a quegli elenchi, nel '43, i tedeschi, coadiuvati dai fascisti italiani, potranno arrestare e deportare più di 8000 ebrei, circa il 20 per cento della popolazione ebraica italiana, la quasi totalità dei quali non tornerà più. E tutto iniziò il giorno in cui a quei 39 studentesse dell'Alfieri di Torino fu comunicato che quella scuola non era più la loro. . Noi ringraziamo le giovani studen,tesse dell'Alfieri di oggi che ci hanno permesso di pubblicare la loro rìcerca. A ricordo di una dei giorni più brutti e tristi della storia d'Italia. Introduzione Il lavoro che vi presentiamo è il frutto di una ricerca condotta da un gruppo di studentesse liceali che, interessate al fenomeno delle leggi razziali, hanno voluto analizzare questa particolare vicenda storica non passivamente, secondo i metodi abituali proposti dalla scuola secondaria superiore, cioè attraverso diverse forme di mediazione quale la figura del professore e l'utilizzo dei libri di testo, ma documenrandosi personalmente attraverso il rapporto immediato con le fonti. Il primo incentivo è stato sicuramente l'interesse per l'argomento: l'esigenza che sentiamo di rinfrescare il ricordo di cosa siano state le leggi antiebraiche in termini di oppressione e di intolleranza. Un ulteriore stimolo è stato proprio la possibilità di operare in modo diverso da quello abituale, di poter entrare fisicamente in contatto con le modalità ed i tempi di una ricerca storica condotta con metodo universitario. Naturalmente abbiamo preso in considerazione un campo d'azione limitato, consono alle nostre capacità e possibilità, cosicché abbiamo analizzato il fenomeno per come si è sviluppato all'interno del nostro liceo. Previa consultazione di alcuni libri che colmassero adeguatamente le nostre lacune storiche e ci introducessero nel vivo della materia, abbiamo stabilito, in base a criteri prioritari, diverse fasi di lavoro e ci siamo divisi in sottogruppi in modo da snellire l'onere dell'attività dividendoci i compiti. Lo scopo che ci prefiggevamo era quello di riuscire ad interpretare i dati ed i documenti che avevamo a disposizione per essere in grado di fornire un quadro preciso della situazione che si era delineata all'interno del Liceo Vittorio Alfieri al momento del1'emanazione delle leggi razziali che, tra le altre imposizioni, prescrivevano l'allontanamento dalla scuola pubblica di tutti gli allievi ebrei. Il primo proposito è stato quello di riuscire ad entrare in possesso di nominativi dei ragazzi allontanati dalla scuola: per questo lavoro si è creato un gruppo di ragazze interessate a realizzare la ricerca d'archivio. Esse, spulciando i registri scolastici di quegli anni, attraverso diversi criteri e metodologie che ci presenteranno loro stesse, hanno fornito un elenco. Un secondo gruppo si è incaricato di rintracciare queste persone e, contattatele, ne ha richiesto la collaborazione per una breve intervista che mettesse in luce l'atmosfera reale che si respirava in quegli anni all'interno del Liceo ed evidenziasse, attraverso aneddoti personali e racconti di vita familiare, quale fu l'autentica reazione dei giovani scacciati. Un terzo gruppo, infine, per dare un riscontro più oggettivo e meno emotivo, ha esaminato giornali e riviste dell'epoca, cercando di enucleare gli articoli che potessero, coll'affermare o il contraddire le affermazioni degli intervistati, dare un respiro più ampio all'orizzonte della ricerca, constatando come l'opinione pubblica era informata di questi provvedimenti razziali e B q~ rac91; p~zi >11diellafampa La situazione prima e dopo La formulazione di alcune domande era finalizzata a focalizzare l'attenzione degli intervistati su ricordi riguardanti la loro situazione prima delle leggi razziali, in modo da cogliere il loro grado di integrazione e rilevare le contraddizioni che si presentavano. Dalle risposte degli intervistati è risultato che prima del '38 la loro adolescenza era vissuta naturalmente, che erano perfettamente integrati sia in ambito scolastico che in ambito familiare, sia nei rapporti coi coetanei. E' disarmante l'affermazione del signor Muggia, che dichiara con schiettezza "Io avevo 13 anni, ero un ragazzo che non sapeva niente di queste cose". Per pura combinazione tutti gli intervistati appartenevano a famiglie laiche , che non partecipavano alla vita della Comunità. Nella Errera ci riferisce: "Prima eravamo molto assimilati, non conoscevamo nessuno, non avevamo fatto le scuole ebraiche, mai niente, niente!". Per loro essere ebrei non era motivo di differenziazione, non aveva rilevanza, poiché, non seguendo la tradizione religiosa, nella vita quotidiana, non avevano motivo di ricordarsi di questa loro identità. Sono risultati particolarmente significativi i ricordi che ci offrono particolari divertenti, come l'aneddoto che ci ha riferito la signora Errera che ha messo a nudo la sua innocenza di bambina; dice: "Quando ero piccola e andavo alle adunate dei Balilla e delle Piccole Italiane, con la musica, tutti i colori, poi dicevo: -Ma che bello che era- ". Su questa linea si comprende l'affermazione della signora Fernanda Monte IAnau, che dichiara: "Io ero la fascista della scuola, perché lì si doveva esserlo per forza. Che mi piacesse l'argomento proprio no, a nessuno in famiglia. Era una dittatura, chi può amare una dittatura?". C'è stato chi, come l'avvocato Guido Fubini, invece, sentiva il bisogno di dichiarare la sua ebraicità, ci ha infatti raccontato che da ragazzo, volendosi iscrivere agli scout ha scelto senza perplessità il gruppo israelita e ci ha riferito la reazione del padre: "Male, avrei preferito che ti fossi iscritto a quelli laici, perché ti iscrivi là? Non devi differenziarti dagli altri", ma l'adolescente replica: "Se si differenziano i cattolici, perché io non dovrei farlo?". Un discorso a parte è da effettuare per la prof.ssa Giorgina Arian Levi, che ci ha fornito un quadro più nitido della situazione precedente alle leggi razziali: ci riferisce: "Nel mese di agosto a Rodi ero già molto allarmata. Sì, ecco già nel '37 si percepiva, no, però, si era .., eravamo proprio ottusi da 15 anni di dominio fascista! Non si aveva nessuna capacità di ... Bisognava trascorrere un po' di tempo all'estero... no, bisognava avere soldi" "In Italia si cominciò a parlare di sionismo molto tardi, sotto il fascismo, perché non sapevamo niente, direi verso il '33-'34, anche perché Mussolini aveva degli interessi nel mondo arabo, quindi aveva ricevuto dei dirigenti sionisti. Ma non si capiva mica il clima politico, niente, eravamo di un'insensibilità politica assoluta. Io questo lo dico sempre, di un'ignoranza enorme, non sapevamo nulla, vivevamo giorno per giorno." Anche l'avvocato Guido Fubini delinea una situazione simile, dice: "In Italia nessuno sapeva niente, insomma in Francia queste cose si vivevano già da anni, quando sono venuto in Italia, mia nonna non voleva neanche sentire, per lei erano cose ... In Italia non si sapeva niente di tutto ciò, né nella mia famiglia se ne parlava, perciò io, scosso da quei racconti, sentivo il bisogno di sfogarmi. Tra ragazzi era una cosa lontana, era molto più sentita in Francia. In Italia si partecipava alle adunate fasciste vestiti da Balilla o Avanguardisti, si inneggiava, non si discuteva. Il motto era: "Qui non si fa politica, ma si lavora". Tuttavia cominciavano già ad esserci le prime avvisaglie di ciò che sarebbe successo". La prof.ssa Giorgina Arian Levi mette poi ancora in risalto la disinformazione tra i suoi allievi, dice: "Fra gli studenti, nella scuola, non c'era assolutamente coscienza, coscienza politica, in quegli anni. No, in alcuni casi sì, ma P,Ochi, poiché c'era discussione in famiglia, in famiglie antifasciste". Ed è proprio per questo motivo che le reazioni ali' uscita delle leggi razziali furono diversificate e addirittura contrastanti. A riguardo, la sig.ra Fernanda Monte! Anau dichiara: "Chi se lo aspettava? Chi se l'aspettava? Nessuno. E' stata una violenza vera e propria". Mentre sulla stessa questione Nella Errera ribatte: "Eravamo già nell'ambiente, un ambiente laico e antifascista, perciò potevamo aspettarci di tutto·•. Reazioni dei soggetti interessati La reazione di fronte alla promulgazione delle leggi razziali nel '38 è stata generalmente di stupore: nonostante il regime fascista filotedesco, in Italia pochi credevano che si sarebbe giunti alla discriminazione sul piano legale e pratico degli ebrei. Dice Fernanda Montel Anau: "La prima reazione è stata di protesta, poi è subentrata tanta incoscienza, credo in tutti, giovani e meno giovani, grandi e piccoli, perché ci sembrava impossibile poter arrivare a dei livelli così. Subito è stata presa male e poi, come a tutte le cose, anche quelle brutte, un pochino ci si abitua. Però, quando è venuto il momento duro, che sono subentrati i tedeschi, allora lì è venuta la vera paura". Così Aldo Muggia:·' ... Ero un bravo bimbetto che andava a scuola, ero arrivato a quella che allora si chiamava la terza ginnasio, e, una mattina d'estate mi hanno detto: -Gli ebrei non possono più andare alla scuola pubblica-. Allora la mia vita cambia completamente ... E' stata una cosa molto scioccante, pensate se alla vostra età vi dicessero: -No, c'è tutta una categoria di persone a cui appartenete anche voi che non ha il diritto di vivere come gli altri, tutto diverso, perseguitati, ecc ...-. Beh, dicevo, per un po' possiamo studiare lo stesso, fare tante cose, ma non è più vivere ...". Lia Errera: "Noi ci siamo sentiti traditi, era una cosa che non riuscivamo a capire, percl'lé non ci eravamo mai accorti di essere diversi dagli altri ...". Nella Errera: "Ho avuto una ribellione, ecco, mi è venuto da dire: -Ma guarda che gente, ci cacciano, io li cancello dal mio cuore-. Nella famiglia Errera, come tra gli altri antifascisti, la sorpresa fu minore, per la diffidenza avuta fin dal principio riguardo alla dittatura. Altre persone decisero di lasciare l'Italia per vivere in paesi come la Francia, dove l'uguaglianza era garantita per tutti i cittadini. Così Guido Fubini: "lo vissi in maniera indiretta l'espulsione dei ragazzi ebrei dalle scuole. Mi è rimasta ancora impressa la frase che mio padre pronunciò rivolta al preside del liceo di Nizza, che, non poco stupito, gli domandava perché volesse iscrivere suo figlio in una scuola straniera. Disse: -Nel 1848 siamo usciti dal ghetto, non voglio che mio figlio ci ritorni-". Il senso della comune sofferenza fece crescere la solidarietà tra gli ebrei torinesi, che riscoprirono le loro tradizioni e rafforzarono il loro legame con la Comunità Ebraica. Anche chi era perfettamente assimilato e non era di religione ebraica sentì con più forza di essere ebreo, riscoprì I' importanza delle tradizioni e della religione. Dice Nella Errera: "Mi sono subito avvicinata alla Comunità, mentre prima eravamo molto assimilati, ... totalmente assimilati, allora è stato in quel momento che io mi sono resa conto di essere ebrea, anche se in quel momento non sapevo nemmeno che cosa volesse dire, perché i miei non erano affatto religiosi e quindi io non sapevo nulla di ebraismo". Fernanda Montel Anau rifiutò di essere battezzata per sfuggire alle persecuzioni: "Io ero figlia di genitori ebrei, tutti e due, ma la mia nonna paterna era cattolica. Quindi, avrei anche potuto, battezzandosi mio padre, battezzandomi io, diventare una cosiddetta ariana ... Però io non l'ho voluto fare, non che fossi particolarmente attaccata alla religione, come non lo sono neanche adesso, però la religione non è come un paio di scarpe vecchie, che quando non ti stanno più bene, le sbatti via. E' una cosa innata, nostra, e si tiene. Puoi anche non essere particolarmente ortodosso, però è tua e c'è una tradizione, specie nella religione ebraica, così vecchia, così antica, e se queste tradizioni non ce le rimandiamo da una generazione all'altra, finisce tutto. E' questo l'attaccamento, non alla religione in sé, ma a quello che è stato e a quello che dovrà ancora essere. Quindi io non ho voluto assolutamente". Dopo il '38 "lo ho sempre pensato di essere uguale agli altri, ed invece ho preso coscienza che non lo ero" dice Sandra Bachi Fubini con un misto di rabbia e di orgoglio: il governo fascista ed il comportamento di indifferenza e di paura di quanti avevano contatti con gli ebrei in quel tempo ha fatto loro presagire qualcosa, ma soprattutto, ha sconvolto la loro vita attraverso la quanto mai paradossale accusa di "complotto giudaicoplutocratico". Come ricorda amaramente Aldo Muggia: "Qui succede qualcosa che mi cambia completamente la vita": e allora, dopo le leggi del '38 assistiamo ad una nuova ennesima diaspora. Aldo Muggia si trasferisce in un paese vicino a Ravenna, che si chiama Cotignola, dove "Tutto il paese, per tanti mesi, ... si è mobilitato tutto, per ospitare non soltanto gli ebrei, ma anche i partigiani ...". L'atmosfera è senza dubbio familiare, la gente, almeno lì, disponibile e amica: "Così io in una casa, trenta in un'altra ... soltanto sono stato in tre case, una in paese, da un pittore, che aveva un mucchio di allievi, perché c'era sempre qualcuno che arrivava dai paesi vicini, ecc ...". Solo più tardi, con la madre, potè trasferirsi a Firenze: "E' andata bene che con mia madre son riuscito ad andare a Firenze, poi sono andato a Roma, quindi ho proseguito gli studi. Il primo anno di Università l'ho fatto a Roma, nel '45 sono tornato a Torino e ho ripreso il giro normale. Sono tornato a Torino, sono stato in via Roma, nel '45 ho ripreso finalmente a studiare alla scuola pubblica, ero libero cittadino". Di versa la storia di Fernanda Monte IAnau, che dice: "Io poi mi sono sposata l'anno dopo del le leggi razziai i e avevo una bimba piccola e abbiamo tagliato la corda in fretta e furia, siamo stati nelle Langhe, scappando, aiutando i partigiani, nascondendoci, facendoci fare carte false per sopravvivere e ... siamo sopravvissuti". Molto più drastica, invece, la scelta di Nella Errera, che ricopre il ruolo di bibliotecaria alla Comunità Ebraica: "Io sono andata in Israele, dopo la guerra ...". "Ma io non sono andata via subito, no, prima mi sono occupata completamente di fatti ebraici ...". "La mia famiglia è restata a Torino, poi, quando sono arrivati i tedeschi, si sono rifugiati in altri posti, hanno passato anche le loro, in maniera anche drammatica, però si son salvati tutti". Sua sorella Lia, invece, alla domanda: è rimasta a Torino? Risponde: "Sì, fino al '43, poi le cose sono cambiate, non era più una questione scuola o non scuola ... quindi ci siamo nascosti ... Poi mia sorella è andata in Svizzera, noi siamo andati più tardi ...". Giorgina Arian Levi riporta un'esperienza vissuta nella storia del marito, descritto come "un berlinese fuggito da Berlino" e riconosce: "Nel '33 Hitler ha fatto quello che Mussolini ha fatto nel '38 , ha cacciato tutti gli ebrei da tanti posti, ma dalle scuole in particolare". L'esperienza della scuola ebraica E' molto significativa l'esperienza della scuola ebraica che nasce a Torino dopo le leggi razziali del '38. Dalle parole delle persone intervistate emergono alcune caratteristichecomuni: innanzitutto era un' ottima scuola, che dava una buona preparazione, dato il numero ridotto di studenti e l'alto livello dei professori. Le sorelle Nella e Lia Errera dicono infatti:" ... Eravamo in 5 o 6 per classe, ed avevamo ottimi professori: erano quasi lezioni private". Nella scuola ebraica, inoltre si potevano affrontare argomenti che nella scuola fascista non veni vano trattati, come ad esempio la politica. Aldo Muggia dice: "Non era come la scuola fascista, dove bisognava salutare il duce, e guai a chi parla o a chi dice qualcosa che non va; invece, lì discutevamo, parlavamo liberamente, nessuno ci sentiva, e quindi, paradossalmente, il fatto di essere stato cacciato via dalla scuola fascista mi è anche servito, perché sono finito in un ambiente assai migliore". E le sorelle Errera: "Nella scuola statale era tutto improntato al fascismo. Da noi invece si è cominciato a parlare di altre cose più ampie .... A parte la letteratura straniera, anche nel corso di storia, anche di latino e di greco i professori ci dicevano qualcosa sulla tirannia, sulla democrazia, tutte cose di cui noi non sapevamo assolutamente niente alla scuola statale, non sapevamo cosa erano i partiti, cosa era la democrazia ... Quello era il periodo fascista e basta. Non si poteva parlare di altro. Invece no, è stata una scuola come quelle che ci sono adesso, in cui si parla di tante cose e quindi era diversissimo l'insegnamento, c'era quest'apertura generale, che invece non c'era nelle scuole pubbliche". Questa libertà di discussione serviva, dunque, a stimolare gli studenti, che si impegnavano al massimo anche per una questione di orgoglio. La stessa scuola ebraica nasce come sfida alle leggi razziali. Aldo Muggia: "Poi non ce lo dicevamo, ma eravamo tutti, professori ed alunni presi un po' dall'orgoglio: ci hanno cacciato via dalla scuola e adesso noi facciamo le cose meglio degli altri". Le sorelle Errera: "Avevamo anche dell'orgoglio, per i nostri professori, specialmente. Siccome venivano da fuori, qualche volta, a vedere la scuola: -Voi dovete far vedere che noi valiamo qualche cosa, bisogna essere migliori degli altri- ci dicevano". Ma il merito maggiore che ebbe la scuola ebraica fu quello di far nascere e crescere una coscienza ebraica: è servita ad unire gli ebrei torinesi in una vera comunità. Dicono le Errera: "Non conoscevamo nessuno dei nostri compagni, ma ci siamo uniti, siamo diventati amici, perché eravamo tutti degli emarginati, ci siamo trovati tra di noi ed è in quel momento che ci siamo rese conto di essere ebree." COSA SCRIVEVA Emanazione del Decreto Legge per l'epurazione nella scuola La profonda differenza di razza che ci divide è il motivo legittimo e indiscutibile del fondamento e della bontà dei provvedimenti decretati dal Consiglio dei Ministri. Chiarita la posizione degli ebrei stranieri ecco che il governo fascista emana un decreto legge col quale vengono eliminati dalle scuole gli insegnanti, i docenti e tutti gli studenti di razza giudaica. Tale decreto libera la nostra scuola, le nostre accademie da quell'influenza giudaica che in alcuni settori, poteva presentare un aspetto preoccupante. Dal 16 ottobre prossimo la scuola italiana sarà interamente affidata alle cure di insegnanti e docenti italiani e liberata così da ogni influenza giudaica. da "La Stampa" del 2 settembre 1938 Il testo del decreto Art. I: All'ufficiodi insegnanti nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine o grado e nelle scuole governative ai cui studi sia riconosciuto effetto legale non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto, né potranno essere ammessi all'assistentato universitario, né al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza. Art. li: Alle scuole di qualsiasi ordine e grado ai cui studi sia riconosciuto effetto legale non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica. da "La Stampa" del 3 settembre 1938 La difesa della razza nella scuola Il rettore dell'Università milanese ha ricevuto l'incarico di portare a termine una precisa indagine statistica sulle origini razziali di tutti i docenti dell'Università stessa. Nella nostra città l'indagine è tuttora in corso. Un afflusso notevole di studenti stranieri israeliti si è avuto lo scorso anno, determinato dai provvedimenti adottati nei rispettivi Paesi di origine. da "La Stampa" del 3 settembre 1938

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