Una città - anno IV - n. 32 - maggio 1994

Bi _,>{I,_ :: : / . FALSA IMMAGINE DI UNA FALSA PACE Il mondo sembra alla fine sollevato: dopo due anni di incubo, che pesano a causa degli avvenimenti di Sarajevo, si è felici di poter constatare: "Laggiù c'è la pace. Tutto è meraviglioso rispetto a quel che c'era prima". In Francia o altrove all'estero non vi è amico o conoscenza che non dirà ad un profugo da Sarajevo appena arrivato: "Alla fine là è molto meglio ora che prima". Se si risponde che le cose non sono affatto tali, nessuno nasconderà la sua meraviglia. Evidentemente, la grande manipolazione sulla guerra di Bosnia, e in particolare su Sarajevo, continua. Probabilmente è ancor meglio organizzata e più ostinata che all'inizio. La maggioranza dei media stranieri, in particolare le catene televisive, pongono termine all'infelice storia del loro ruolo in questa manipolazione. Il risultato finale è tragico non solo per gli abitanti della Bosnia-Erzegovina e di Sarajevo ma anche per il giornalismo. Questa è verosimilmente la vittima meno importante della storia. La guerra in Bosnia-Erzegovina e il dramma di Sarajevo non sono finiti, anche se si cerca di dimostrarci che il paradiso regna laggiù, annunciando, a riprova del cinismo, partite di calcio, due ore di "apertura" del ponte fra le "due" Sarajevo e la messa in opera di un tram che non va in nessun luogo. La città resta quel che è da due anni: una prigione dove non si può entrare e da dove non si può uscire, un campo per 300.000 abitanti che non sanno quel che vi è da mangiare, non possono muoversi come uomini liberi, né comunicare con l'esterno, né aver elettricità o acqua corrente in casa, né inviare o ricevere lettere. Il peggio è che chi è uscito dalla città credendo che fosse solo per qualche settimana -il tempo che questo si ferminon ha potuto più farvi ritorno. Da allora, e senza speranza che la città ritorni come prima, essi errano per il mondo, i bambini senza scuola e senza padre, le madri senza documenti e senza denaro, senza contatti con quelli che son rimasti per proteggere lo Stato e la casa. Infatti, Sarajevo sembra un campo di concentramento dove, come in tutti i campi conosciuti della Seconda Guerra Mondiale, si trova una squadra di calcio, un'orchestra sinfonica, un teatro. Beninteso, gli spettacoli sono organizzati soprattutto per il pubblico che viene da fuori, per i giornalisti, i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie seduti nelle prime file che così ammirano "la forza, il coraggio e la dignità" degli attori. li fatto che i campi di concentramento di quell'altra guerra non fossero bombardati, non ha affatto ridotto la tragedia dei loro prigionieri. Quanto alla situazione di Sarajevo, la fine dei bombardamenti ha aumentato il dramma: in effetti, si diffonde l'idea che la fine delle distruzioni ha messo fine alla guerra, che la pace è arrivata e che tutto è come prima. Durante la "vera" guerra, quando la città era inondata di granate, noi sapevamo che era la guerra, che ogni tipo di miserie deve accompagnare la guerra, sapevamo perché non c'era più acqua o elettricità. Psicologicamente, si trattava di conseguenze "logiche" delle bombe e delle stragi. Che fare oggi? Come vivere con questa tesi della guerra finita e della vita normale, restando tuttavia prigionieri, separati dalla famiglia e dagli amici, della oscurità e affamati, senza lavoro e senza futuro? Il mondo non ci sta forse dicendo che dobbiamo considerarci felici di essere vivi, di accettare la miseria e la degradazione generale come condizione durevole e come promessa di avvenire? E' su questo punto che poggia il principale "malinteso" fra Sarajevo e il resto del mondo, fra la vera città con tutte le sue libertà e il suo umanesimo, da un lato, e i crudeli calcoli dei politici del mondo, dall'altro. Chi non ha mai compreso che le bombe non erano il peggiore dei mali di Sarajevo -che la sofferenza interiore sorgeva dagli attacchi I ILI CORRIERE ESPRESSO ~~©GJJ GROUP INTERNATIONAL FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 - Tel. 0543/31363 - Fax 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Blocco 32/C - Gros Rimini Tel. 0541/392167 - Fax 392734 SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA 1anco contro l'umanità di questa città e di ciascuno dei suoi abitantipoteva, in effetti, credere scioccamente, che il tram è la misura della nostra libertà -e non l'aereo o semplicemente la bicicletta, che ci permetterebbero di raggiungere il "mondo esterno". Il nostro universo, nello spazio di una linea di tram, non è mai stato occupato. Questo universo ci è sempre restato accessibile, anche senza tram. Ma Sarajevo non è mai stata troppo modesta su questo punto, questa città ha sempre voluto andare più lontano e più in alto. Tale è, in fin dei conti, la differenza fra chi ha sempre costruito dei ponti, lo sguardo rivolto verso l'altra riva, verso l'ignoto, e chi li distruggeva per il piacere di restare solo nel suo ovile, nella sua tana senza possibilità di allontanarsi o -che Dio ne scampi- di ricevere qualcuno. Recentemente, si è detto che "Sarajevo non è più assediata", che si poteva uscire verso Visoko e Zenica. E da lì verso nessun luogo. Visoko e Zenica sono a due passi da Sarajevo, la situazione è identica a quella della capitale. Che vado a fare io a VisokoeaZenica? Devo andarci unicamente per confermare la menzogna su "l'apertura di Sarajevo"? Si dice anche che il ponte della "fraternità e unità" è aperto fra Grbavica -il quartiere che resta sotto il controllo degli uomini delle colline- e Sarajevo -dove sono gli abitanti di Sarajevo. Nessuno vuol dire chiaramente come e perché questo ponte è "aperto". Per rilasciare ai bambini e ai vecchi delle autorizzazioni di passaggio, per tracciare infine nel cuore di Sarajevo una frontiera e per issare, dall'altra parte, la bandiera serba con l'iscrizione "Repubblica Serba". Quale "Repubblica"? Riconosciuta da chi? A nome di chi? Ecco che cos'è la normalizzazione a Sarajevo per le cineprese della televisione, per gli spettatori del mondo intero. Questo significa che è "molto meglio di prima". Per un abitante di Sarajevo non è per nulla così. In compenso, è un tentativo di legalizzare la divisione, di legittimare quelli che hanno commesso il crimine, un tentativo di falsificare la realtà, di passare la spugna su quel che si è prodotto. Le autorizzazioni di servirsi del ponte sono rilasciate dalle "autorità" di quella parte che ha tracciato la frontiera e che ha issato una bandiera straniera. Questo significa, forse, che queste "autorità" sono ormai legittime a Sarajevo? No, questo non potrà mai passare. Malgrado gli sforzi di alcuni all'estero, che sono i proprietari delle cineprese delle televisioni, dei redattori delle televisioni, delle menzogne delle televisioni, e che vogliono che questo passi come una "normalizzazione" della vita a Sarajevo. Ciò non riuscirà non tanto perché una politica bosniaca radicale e incociliabile non lo voglia. Non perché ciò abbia a vedere con la politica, ma perché è la violazione della natura di questa regione, della storia di Sarajevo, del codice genetico di questo spazio. Noi siamo costernati che i creatori di questi grandi progetti politici, continuamente concepiti per gli spazi della ex Jugoslavia, non arrivino a capirlo. Beninteso, noi rimpiangiamo ancora di più che ogni applicazione di questi progetti stranieri semini la morte e il caos. E comporta l'assassinio di persone poco abituate a vivere intruppate in un ovile, di persone la cui filosofia non si riduce al pane e ai giochi -al pane delle riserve umanitarie e ai giochi sul campo di calcio. Agli occhi degli abitanti di Sarajevo resta una domanda: i creatori dell'illusione del paradiso a Sarajevo, lo fanno perché i loro criteri sulla qualità della vita sono diversi dai nostri? Oppure perché vogliono partecipare alle menzogne politiche che servono da pretesto a i nuovi progetti politici a vantaggio del fascismo e della distruzione? In entrambi i casi, Sarajevo non crede più alla "bellezza della vita" che le è suggerita dall'estero. Zlatko Disdarevic • Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni • Allontanamento colombi da edifici e monumenti • Disinfestazioni di parchi e giardini • Indagini naturalistiche 47100Forfi • viaMe11cci, 24 (Zo,wIndustriale) Te/.(IJS./3/712061 Telefax(0543)722083 ------------lettera LE FERl7E E IL RANCORE Cara Romana, forse è stato il titolo ad infastidirmi, anzi è stato senz'altro il titolo (magari non deciso da te?). Sembra che gli esuli possano essere divisi tra quelli con rancore e quelli senza rancore. Ho sempre pensato che vi potessero essereesuli più segnati o meno segnati da quegli avvenimenti e che, a secondadella loro cultura ed intelligenza, in modi vari facessero "vedere" le loro ferite. Purtroppo una certa ottusità della sinistra (o malafede) fa sì che queste ferite vengano fatte spesso vedere in malo modo ... Come dici anche tu, le efferatezze che avvengono oggi non mi stupiscono, fanno partedella mia infanzia. Appunto. Che di tutto sia stata colpa la guerra e quindi implicitamente il fascismo mi trova d'accordo (anch'io asuo tempo ho fatto scelte cosiddette di sinistra) ma che quello che si è scatenato, e per di più a guerra conclusa, sia stato un lucido piano politico di violenza brutale, di ingiustizia e menzogna, una campagna sistematica di terrore e odio etnico, fa sì che qualche istriano viva come se non fossero passati 50 anni ... Per alcuni vi è un'irriducibilità rispetto una memoria traumatica che, per vari motivi, si è voluta e vuole cancellare. Purtroppo questa memoria appare come rancorosa perché politicamente è stata strumentalizzata dalla destra, dato che la sinistra non voleva assumerla. Naturalmente chi (come mio padre per esempio che ha fatto la Resistenza) capisce il gioco, non si "mescola" ai rancorosi nostalgici, ma è rancoroso due volte, sentendosi "tradito" due volte ... Nella mia famiglia, come in altre, vi erano varie opinioni politiche, a seconda della storia individuale o generazionale ecc. ma su certe cose tutti erano d'accordo: a secondadei caratteri hanno sofferto più o meno in silenzio, proprio perché, volendo testimoniare il vero, non potevano esser rappresentati da nessuno. Vedi, contrariamente a te, io ho molto sofferto del fatto che gli italiani non sapessero niente di quest'esodo di 350000 persone, perché, volendo anch'io semplicemente riequilibrare la mia vita, sentivo la necessità di mostrare la mia origine. Quando ci provavo finivo solo per sentirmi una straniera... ! Dovevo dapprima dare delle informazioni geografiche, poi difendermi dall'accusa che tanto lì erano tutti fascisti e che quindi era giusto avesseropagato in proprio per tutta Italia ecc. Proprio perché non si può misurare la storia solo dalla durata della propria vita, l'ignoranza o peggio ancora l'alterazione della verità storica mi ha sempre infastidito. Guai ai vinti! La storia la fa sempre il vincitore come ben sai. Anch'io in famiglia ho sempre ricevuto solo insegnamenti simili ai tuoi, né ho mai ascoltato discorsi revanscisti, o sentito parlare di rivendicazioni economiche, né rivoglio le casedei miei nonni, ecc. Ho sentito però il desiderio di vederle e allora ho insistito con i miei genitori che mi hanno accompagnata. Dignitosi come sempre, ogni tanto si soffermavano a parlare sottovoce fra loro, pensando non sentissi " ...ma sì qua iera quel che i ghe ga taià la testa... ma no iera quel che i ghe ga sventrà sul tavolo la sorella ecc.". Nel mio non sapere il dialetto loro e nel volerlo invece ridire qui in modo approssimativo, nella perdita della mia lingua materna, di tante tradizionali ricette di cucina, perché rifiutavo da bambina un'eredità troppo pesanteper le mie spalle, vi è qualcosa di non più componibile. I miei non sono voluti più tornare. Mia madre, forse perché aveva vent'anni e non quaranta come la tua, a sentire parlare slavo piangeva ancora per l'angoscia. Allora, vedi, io non tornerò in Istria (e non riesco adire Croazia), né a casa (perché non è più, né può essere casa mia). Non credo assolutamente che al governo croato faccia piacere che gli ex esuli tornino lì a metter ordine, a far lavoretti. Credo ad esso interessi molto di più il denaro francese o tedesco. Perché ti dico questo? Non per farti soffrire. E' che nelle tue parole riconosco quell'eticità, quella "nobiltà" d'animo che ho ereditato anch'io in famiglia, che credo rifletta ancheunacultura comune. Ma ho sempre pensato che è un patrimonio che può esser giocato solo individualmente, non politicamente. Una certa ingenuità della sinistra migliore mi ha anche sempre spaventata, pur riconoscendomi in essa. Così spesso mi sqno sentita sbattacchiata fra malafede e ingenuità. Mi sta bene un discorso interetnico, perché realisticamente e idealmente non è. pensabile altro, basta che, a monte, sia chiaro almeno chi è stato vittima e chi carnefice: non intendo caricarmi né delle colpe altrui né dei sensi di colpa di nessuno. Se andassi in Istria vorrei saperecon quale italiano o croato ecc. faccio lavoretti, per chi metto ordine. Lo vorrei sapere veramente e vorrei anche sapereachi vanno i miei soldi ecc. Come vedi sarebbetroppo complicato! Ti vorrei incoraggiare e fare auguri di cuore, ma proprio non ci riesco anche se, naturalmente, ti capisco. Mi sono permessadi scriverti perché i tuoi pensieri li ho conosciuti leggendo Una Città, quindi in ambito pubblico e politico. Vedi, mentre ti scrivo sta cadendo Gorazde. Anche lì, gente indifesa, che verrà uccisa, seviziata e, alla fine, smembrata su qualche tavolo internazionale. Fra 50 anni credo che anche loro saranno rancorosi! Con affetto, 1/ia Semeia W CoffdaeRi ipfamr idiForlì 8.p.A. - CONTO, l!:!!f da O a 10 anni da 11 a 19 an>ti erloroil migliorfuturopossibile Aut. Mln. n. 6/1758 del 2/10/93 UNA CITTA' 7 ..

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