Una città - anno III - n. 19 - gen.-feb. 1993

gennaio-febbraio DROGA. Sperimentare la legalizzazione? Intervista al sociologo Luigi Manconi. In seconda. DI NOI E DEGLIALTRI. I' possibile un incontro fra le grandi culture su basi eticl,e? Ci sono valori indiscutibilmente universali, come, ad esempio, quello dell'integrità fisica? Intervista a Pier Cesare Bori. "Il segreto dell'incontro" è un intervento di Gianluca Manzi su "globalismo e differenza". In terza. DI PACEE DI GUERRE. Si può vivere ancora insieme a Sarajevo? Nei resoconti di don Albino BizzoHo, or,anizzatore della spedizione pacifista a Sarajevo e di Claudio Bazzoccl,i, uno dei partecipanti, una riflessione sul problema della pace. Nell'intervista a Abde Salam Nassar un bilancio di Nevè Sl,alom, dove da vent'anni ebrei e palestinesi vivono insieme. In quarta e quinta. Per leHere e interventi i contributi di Giovanni MaHeuccf e di Ana Gomez. IL LUOGO DI UNA ClffA' è un cimitero monumentale nato nel culto laico della memoria dell '800 come ciHà dei morti cl,e vivesse dentro la ciHà dei vivi. La sua storia rivive nel racconto di Roberto Balzani. "Consegnarsi a qualcuno" è l'intervento di don Sergio Sala. In sesta e seHlma. SPECIALE II RADICI 11 • Un "paesano poligloHa ", cl,e, nell'affezione a una piccola patria, si apra a cl,i rarla un'altra lingua, è l'idea di Massimo A. Bonfantini. "La terra cl,iama, la terra pesa" è i racconto di Rubens, un camerunense ormai residente in Italia, cl,e si sente straniero da due parti. "Piazza Italia" dove si parla della corsa a cercarsi radici, in società dove il principio del clHadino, "uno e nessuno", viene messa In crisi dal principio della rappresentaza etnica è l'intervista a Alessandro Carrera cl,e vive in Canada. "Cercasi tradizione" è il racconto singolare di una giovane americana, di origine cinese, cl,e scefllie di farsi ebrea. I "coureur des bois" è la riflessione di Andrea Cane varo su due tip, di colonizzazione: quella della spedizione militare inglese e quella del cacciatore di pellicce francese. In oHava, nona, decima, undicesima. DI UN VIAGGIO IN GIAPPONE. Da "Goldralce al Busl,ldo" è il racconto affascinato di Willy Signora. "La bellezza della decisione" è l'intervento di Ivan ZaHini e "lo spaventapasseri non sta invano" quello del Maetro Fausto raiten Guarescl,i. In dodisesima e tredicesima. PERPROBLEMI DI CONFINE. Sulle "nonne mamme". Per lnricl,eHa Susi, ricercatrice del Cnr e appartenente della comunità scientifica "lpazia" di Milano, a decidere deve essere comunque la donna, f'ercl,é cosi è sempre stato. "Comunuque mamme" è la tavola rotonda fra Patrizia Gentllin,, oncologa, Rita Marcl,eselli, psicologa, Cristina rerenzf, avvocato. STORIE. In "quei fiori del suo 11iardino" Luisa Campana ci racconta di sua figlia Carla, morta I Alds a soli 26 anni. In ultima. anca

••• "Mi avvicino alla finestra (vetri antiproiettile, che a qualcuno non venga in mente di spararti così non ci si pensa più) eguardo fuori. Unmucchio di gente che va e viene, con mille problemi e mille pensieri. Ehi voi come siete lontani! Mille vite che si consumano così, in una quotidianità senza fine". A parlare è Carla, di cui, in ultima, una madre ci racconta qualcosa. E a noi, passando di fronte a quelle finestre, è mai capitato di pensare alle lotte terribili che di là da quei vetri si combattevano? Di quante storie stavano finendo senza "poter essere raccontate"? E vien da chiedersi che vita sia diventata la nostra se non riusciamo più neanche ad accorgerci degli occhi del moribondo che ci osservano. Noi non sappiamo cosa sia bene per il problema, la proposta di Manconi qui sotto sembra ragionevole, soprattutto per non arrivare a quel "fondo", dal quale, certo, non si può che risalire ma dal quale troppo spesso è semplicemente troppo tardi per risalire. Ma di sicuro è assurdo pensare a questi ragazzi come appendici inerti di qualcosa, muti. Nelle scelte che hanno fatto, nelle conseguenze che hanno pagato, hanno affrontato qualcosa di più grande di tutti noi, qualcosa per tutti noi. E nel loro silenzio ci parlano e potremmo ascoltarli se solo ci fosse occasione. "E te ne stai qui con il naso spiaccicato contro un vetro pieno di virus, aspettando il miracolo, come la donna che invecchia aspettando il ritorno del suo guerriero dalla battaglia di sangue, piena di un amore che chissà se mai ancora potrà liberare ed offrire. Certo che il guerriero tornerà!" Per Carla quel miracolo non è venuto e il guerriero, forse l'unico che le fosse capitato in sorte, era già morto su una spiaggia di Ceylon. Ma forse, a un prezzo assurdo e lei sì, in gran fretta, ha miracolosamente ritrovato se stessa in quella "prossimità" così banale e quotidiana, che spesso per noi, che passiamo in fretta sotto quelle finestre, è tanto scontata e gratis. Ma pur sempre a portata di mano. SPERIMENTARE LA LEGALIZZAZIONE? Il sociologo luigi Manconi ci spiega la sua proposta di sperimentazione della legalizzazione dell'eroina Il governo Amato ha parzialmente depenalizzato l'uso personale di sostanze stupefacenti. Quali sono i punti principali della "ragionevole proposta di sperimentazione" che lei ed altri state avanzando? Premessa a qualunque programma efficace è la possibilità di sottrarre il consumatore di droghe illegali a due convergenti forme di pressione: quella, di tipo giudiziario, rappresentata dal sistema delle sanzioni (penali e amministrative) e quella, di tipo sanitario, che subordina l'aiuto, l'assistenza e la cura a una decisione di totale astinenza. Pertanto, se si vogliono ridurre le sofferenze e i decessi, si deve liberare il tossicodipendente dalla pressione delle sanzioni legate al consumo di droga e dall' obbligo della totale astinenza quale pre-condizione per ricevere aiuto. Dunque, si deve ipotizzare una strategia di assistenza che preveda due forme diverse di intervento, tra loro integrabili: a)terapia, finalizzata ali' interruzione del consumo di droghe che comportano dipendenza; b )trattamento, finalizzato, non all'astinenza, ma al miglioramento dei comportamenti dei tossicomani sul piano fisico e sociale. Un programma di ispirazione antiproibizionista può intervenire nella situazione attuale attraverso gli strumenti della politica sanitaria e può porsi l'obiettivo di sviluppare un complesso di servizi sociali, di progetti terapeutici, di misure di prevenzione e profilassi. Un programma minimo ispirato a questi presupposti richiede modifiche delle leggi e dei decreti amministrativi: fermo restando che la più efficace politica sociale e sanitaria può soltanto temperare o non annullare iguasti del proibizionismo. Un tale programma può così articolarsi: I) E' necessario che i Servizi pubblici per le tossicodipendenze, istituiti presso le Unità sanitarie locali, organizzino le "unità di strada": servizi mobili su camper o autobus, destinati al primo contatto con i tossicodipendenti che rifiutano di rivolgersi ai centri fissi. Le "unità di strada" devono essere costituite da operatori sanitari, psicologi, volontari con esperienza dell'ambiente da raggiungere (per esempio, ex tossicodipendenti provenienti da gruppi di auto-aiuto e da comunità) e operare nelle zone "a rischio": devono fornire siringhe sterili in cambio di quelle usate e preservativi e devono distribuire metadone a domicilio ai tossicodipendenti registrati. Devono offrire il primo contatto per informazioni su possibilità di lavoro, alVia M. F. Bandini Buti, 15 4 7100 FORL/' Te/. 0543/780767 - Fax 0543/780065 Via Parini, 36 4 7023 CESENA Te/. 0547/611044 - Fax 0547/671144 P.zzaTreMartiri, 24 47037 RIMINI Te/. 0541153294 - Fax 05411544 64 Il validosupportoallapromozione dellaVs.attività Produzione Orologidapareteedatavolo, oggettisticadascrivaniaa, rticolpi romoziona"lai dhoc'. Oggettisticapromozionale: pennea, gendea, rticolidaufficio, calendarip, ortachiavi, pelletteriavaria,magliette, camicietuteda lavoro,valigettee, cc. Campagnepubblicitarie,venti,comunicazione, servizi,allestimenftiere, sponsorizzazionmeanifestazionsiportive, realizzaziongirafichedi marchei stampatpi ubblicitarviari, marketingf,ormazioneprofessionale,cc. piùsempliceperesserericordati? elle i nostrinumertielefonici! loggio, reinserimento o per favorire lo sviluppo di programmi di auto-aiuto fra gli utenti, ,n collaborazione còn le associazioni del volontariato e le comunità di accoglienza. 2) E' necessario che i Servizi pubblici per le tossicodipendenze forniscano il metadone, e altri farmaci di sostituzione dalle caratteristiche analoghe, nell'ambito di un programma sanitario graduato sugli obiettivi a breve e a lungo termine. Ciò al fine di evitare la trasmissione dell'infezione da Hiv (virus dell' Aids) e di altre malattie infetti ve provocate dall'uso promiscuo di siringhe; al fine di limitare i rischi di overdose, di allontanare il tossicomane dal circuito criminale, di facilitare il suo reinserimento nella ·vita sociale, di ridurre la sua dipendenza dalle droghe illegali. 3) E' necessario riconoscere il diritto di ogni medico a suggerire e praticare la forma di terapia più appropriata alle condizini del paziente (compresa la terapia del dolore, attualmente resa difficile dalle leggi sulla droga); e il diritto di ogni cittadino a scegliere in un ampia gamma di offerte sanitarie e di decidere per quella che ritiene più confacente ai propri bisogni. Vanno perciò eliminate tutte le norme, come quelle contenute nel decreto del 19 dicembre '90 del ministro della Sanità sul metadone, .che riducono la libertà dei medici e quella degli utenti dei servizi sanitari. 4) E' necessario mettere a disposizione macchine per la distribuzione automatica delle siringhe strerili in cambio di quelle usate, in numero tale da garantire un funzionamento il più ampio possibile e da evitare la concentrazione degli utenti in poche aree della città. Tali macchine devono essere installate in luoghi e locali accessibili a qualsiasi ora, nei quartieri più "a rischio". Questo richie,dein collaborazione di istituzioni, associazioni, gruppi di volontariato. 5) E' necessario sperimentare -in un numero significativo di città- la distribuzione controllata di eroina e altre sostanze stupefacenti, in virtù di quanto previsto dalla L. 162/90 che, ali' art. I3, comma 2, così afferma: "E' consentito l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui al comma I, debitamente prescritti secondo la necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto". Concretamente, si può pensare alla distribuzione di sostanze stupefacenti, tra cui eroina, in strutture del servizio sanitario pubblico, sotto controllo medico. Al termine del periodo sperimentale, o in funzione dei risultati ottenuti, verrà deciso se sopprimere la sperimentazione o estenderla a tutto il Paese. 6) E' necessario considerare il carcere come "quartiere ad alto rischio", dove si presentano in maniera aggravata tutti i problemi della collettività (ivi compresa la circolazione di droghe iniettabili). Questo richiede l'apertura di Servizi pubblici per le tossicodipendenze ali' interno delle carceri, al fine di garantire una assidua opera di informazione e consulenza; i Servizi cureranno la distribuzione di preservativi e garantiranno la somministrazione di metadone ai detenuti che ne avranno necessità. 7) E' necessario abolire la disposizione realativa alla dose media giornaliera, solo ritoccata dal decreto legge del 12 gennaio 1993. E' inaccettabile, d'altra parte, che i consumatori di cannabis corrano oggi i maggiori rischi di incriminazione; e che la distinzione nel trattamento sanzionatorio fra consumatore e spacciatore resti affidata a un criterio meramente quantitativo. La necessità di provare il reato di spaccio non giustifica la violazione di principi fondamentali del diritto e l'abolizione dell 'onere della prova per la pubblica accusa. Le contrapposizioni restano nette e si discute sempre più Amministrazione Comunale Longiano Accademia Perduta - Romagna Teatri la tradizione del nuovo CARTELLONETEATRALEGENNAIO-APRILE'93 Venerdì 5. Sabmo 6 FeblJraio. ore 21 -Teatro Comico- REMIGIO GOMEZ in "E tutti ballano la Bossi-Nova" lngrc.~so: pla1ca. p.1lchi L 15.000-loggionc L 10.000 Sabato IJ Febbraio. ore 21 "Ricercar Teatrando-Palcoscenicl per il Nuovo Teatro•• Compagnia SUTKI in "Redingote" Regia e coreografia di ANNA SAGNA lngrc,so: pla!c:a. p..1kh1L15.000-loggionc L 10.000 Ve11erdì/9 Febbraio. ore 21 "Ricercar Teatrando-Palcoscenici per il Nuovo Teatro" Nucleo Teatrale MOTUS in "Strada principale e strade secondarie" dedic,ito a Samuel Beckett e Paul Klec lngn:s~ unico L 10.000 Mercoledì J. Giove,n 4 Mar:.o. nre 21 -Teatro Comico- LELLA COSTA in "'Due abbiamo un'abitudine alla notte" con Lella Costa e Giorgio Mela1.zi-Regia di Riccardo Piferi lngrc~so: platea. palchi L20.000-logg1onc L 15.000 Ve11erdi12 Mar:.o. ore 21 "Ricercar Teatrando-Palcoscenicl per ii Nuovo Teatro" Compagnia MARCIDO MARCIDORIS e FAMOSA MIMOSA in "Spettacolo" dalla FEDRA di A.SENECA Regia di Marco lsidori -Prima nazionalclngrc~~ounico: (.10.000 Sabato IJ. Domenica 14 Mar:.o. ore 21.JO -Teatro Comico- MARIO ZUCCA in "Con tutto Il cuore" lngrcs ..o. : platea. palchi (.15.CXX>-loggionc LI 0.000 CO Sabato 20. Dnmenirn 21 Mar:.o. ore 21.JO -Teatro Comico- FRANCESCA REGGIANI In ''Emozioni forzate'' -Prima na1.ionalclngrcsso: plOlca. palchi {.20.()()().foggionc L 15.000 Domenica 28 Mar:o. ore 21.30 "Ricercar Teatrando-Palcoscenicl per il Nuovo Teatro" Compagnia GIARDINI PENSILI in "Terra di nessuno" di Isabella Bordoni, Roberto Paci Dalò e Marcello Sambati lngrcsw unico: C.10.CXXl Ve11erdì2 Aprile. ore 21.JO "Ricercar Teatrando-Palcoscenici per il Nuovo Teatro" Compagnia NADIR in "Come se il cielo avesse fatto male alla terra•• - Regia e coreografia di CATERINA SAGNA lngrc....,so:pkuca, palchi L 15.000-loggionc f. 10.000 Dome11ica4 Aprile. or<'21.JO "Il Terzo Orecchio-Rassegna di Nuove Musiche" GUO YUE-Flauli cinesi (Cina) e JOJI HIROTA-Percussione (Giappone) in concerto lngrc~,;,ounico: L20.000 Venerdì 9. Sabato IOAt>rile PRF;MIO SCENARIO. IV0 Edizione Idee e progetti di teatro contemporaneo Sabato 17. Dam,11ica I8 Af>rile.ore 21.JO -Romagna in poesiaLELIA SERRA in "ltaly" di Giovanni Pascoli di Corrado Bertoni, Gyula Molnar, Lelia Serra ANTONIO CATANIA in "Pedretti" con interventi coreografici di CHIARA REGGIANI lngrcs!,.()unico:(, 10 000 Mercoledì 28. Gimwli 29. Venerdì JOAt>rife. ort• 21.JO STADIO in concerto Special Live Recording Session lngrc..-.!ìu>noico: f.20.000 Teatro Petrella Longiano Direzione Tatrale: Sandro Pascuccl Per infom1a11on1 e prenotazioni: Ufficio Tcalro: ore 9-13 Tcl. 0547/55024-55113 Boucghino: dalle ore 19 del giomod1 -.pcuacolo animosamente ... Contesto quel "sempre più animosamente". E' vero il contrario. Si è passati da una fase di contrapposizione netta e irriducibile a una fase, quella attuale, che vede profondi cambiamenti di idee e radicali mutamenti di posizioni. Anche il mio rapporto con la comunità di San Patrignano che, nella sua rappresentazione televisiva (nel corso di "Milano, Italia") è apparsa conclusivamente conflittuale, nei fatti è stata e continua a essere di comunicazione. Non con Vincenzo Muccioli, preoccupato solo del proprio potere ideologico, ma con gli ospiti di San Patrignano. Questi hanno bisogno, certo , delle sicurezze che gli garantisce Muccioli: ne va del loro equilibrio; ma hanno bisogno anche dei dubbi che noi solleviamo: ne va della loro libertà. E poi le comunità sono qualcosa di molto differenziato: le loro posizioni verso l' antiproibizionismo sono assai diverse. Don Mazzi mi ha intervistato per il quotidiano "Avvenire", don Riboldi e il gruppo Abele costituiscono preziosi e assidui interlocutori. Per quanto riguarda gli operatori dei servizi pubblici, sono in atto grandi mutamenti, e un numerocrescentedi loroèd'accordo sulla necessità di sperimentare forme di legalizzazione. Ciò nonostante, il problema esiste. Molte comunità si guardano con diffidenza. E' comprensibile. Un ragazzo di San Patrignano è, per molti versi, un privilegiato: ha trovato le energie, l'occasione, l'aiuto per scegliere la comunità; ha trovato un posto in comunità; ha trovato una via d'uscita dall'eroina. La legalizzazione si rivolge, invece, a quanti oggi non hanno quel1'opportunità; a quanti oggi non possono o non vogliono scegliere l'astinenza. E sono la stragrande maggioranza. La legalizzazione si rivolge a questi ultimi perché possano-in un'altra fase della loro vita- abbandonare l'eroina. Si tratta di consentire loro di assumere sostanze sotto controllo medico. Solo se il tossicomane assumerà droga di cui conosce la composizione (riducendo i rischi di overdose), se abbandonerà l'uso promiscuo degli aghi (riducendo i rischi di AIDS), se non sarà criminalizzato e se non si farà criminale (riducendo i rischi di degrado sociale irreversibile): solo in tal caso quel tossicomane potrà, domani o in futuro, scegliere l'astinenza; e sarà in grado di rivolgersi a Don Mazzi o a Don Ciotti, a uno psicoterapeuta o ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. O potrà provarci da solo. Nell'intervista pubblicata nello scorso numero, un genitore ha lamentato I 'ingerenza degli intellettuali sul tema droga, assegnando agli operatori, cioè agli "esperti", il diritto di intervenire. Gli "esperti", come noto, sono tanti ed esprimono posizioni assai diverse, spesso antagoniste. Credo di poter dire però che solo gli "esperti" di ispirazione antiproibizionista insistano -testardamente- sul concetto di sperimentazione. Che é poi il concetto chiave di ogni opzione scientifica e di ogni programma terapeutico, e anche del nostro lavoro. Un esempio: tra qualche tempo, partirà in Svizzera un esperimento di somministrazione controllata di stupefacenti. Nel provvedimento del governo svizzero si legge: "Saranno realizzati progetti pilota che includono la distribuzione di droghe sotto controllo medico. Esperienze pilota che consentono (...) di stabilizzare la situazione del tossicodipendente e permettergli di superare la fase della dipendenza. (...) Il numero di persone ammesse ai progetti pilota non può superare le 50 per progetto. Un numero relativamente alto di partecipanti è necessario per avere la garanzia, dati i probabili abbandoni nel corso del progetto, di un numero sufficiente di persone che permetta una valutazione scientifica. La partecipazione al progetto sarà volontaria. Ci saranno circa 20 progetti di prescrizione di stupefacenti. Ogni trattamento di questo tipo sarà sottoposto a controllo medico. (...) I progetti pilota potranno prevedere anche la prescrizione di eroina."Noi diciamo: seguiamo con estrema attenzione questo programma. E applichiamolo in via sperimentale anche in Italia. E' abbastanza diffusa l'idea che il proibizionismo serva per ''far toccare il fondo" al tossicodipendente, il quale, per risalire, deve giungere alla disperazione. Rifiuto l'idea che dall'eroina si possa uscire solo quando si è toccato il fondo. Per tanti non è stato e non è così. Ma se anche così fosse, perché collegare quella situazione estrema (che, sola. consentirebbe di arrivare a scegliere l'astinenza) con il regime della proibizione e della punizione? L'alcol è, indubbiamente, tutt'altra sostanza rispetto all'eroina (ripeto: tutt'altra), ma non si deve ignorare che dall'alcol consumato in regime di legalità si può uscire: e tanti ne escono. Perché negare, pregiudizialmente e ideologicamente, che ciò possa avvenire con l'eroina? •

I I Un incontro fra le culture alla luce dell'etica clte le anima. Un insegnamento materno comune agli uomini. Il rispeHo delle diversità e l'universalità dei diritti umani. Il valore dell'utilitarismo. Intervista a Pier Cesare Bori. Pier Cesare Bori è professore universitario di Filosofia Morale e animatore del "Gruppo Simone Weil" di Bologna. Lei sostiene che è possibile una comprensione ed un incontro fra diverse culture, ma, visto quello che sta succedendo nel mondo, le pare un'idea applicabile? versità nei confronti degli altri, si può diventare indifferenti o egoisti. Si tratta di sviluppare insieme i due elementi della particolarità e dell'universalità. Per quanto riguarda invece il piano della concretezza, credo che su certe cose, come l'integrità fisica e le libertà fondamentali, occorra essere intransigenti, fermi. Però il concetto di integrità fisica è del tutto culturale, non è dato di per sé. Per la circoncisione praticata dagli ebrei non si crea nessun problema, mentre, quando si parla di infibulazione ... lombiane i sacrifici umani, a parte alcune eccezioni, erano un elemento totalmente interno alla cultura ed alla società di un dato popolo, il quale sceglieva al suo interno i sacrificandi. Io non possogiustificare sacrifici umani, di nessuntipo. Questo è uno dei casi in cui la diversità culturale devecedere di fronte ai diritti umani fondamentali. Sobenissimo chequesto è rischioso, so benissimo che può esserestato uno strumento del colonialismo, masu questo punto sono assolutamente fermo, perché è una difesa dell'uomo e delle vittime Inoltre, come è possibile che ci sia comunicazione fra religioni lontane come Cristianesimo e Buddhismo? Per quanto riguarda la secolarizzazione io penso che la rilettura che va proposta debba essereappunto una lettura secolare. Una rilettura che non è quindi in contrasto con l'essere nel mondo degli uomini, ma che anzi intende la secolarizzazione in termini positivi. Si tratta di trasformare una secolarizzazione negativa, che sfocia nell'abbandono e nello sradicamento, in una secolarizzazione positiva, cioè nell;i capacità di cogliere l'essenza di un'esperienza religiosa e di viverla nel mondo. Penso appunto che le grandi religioni etiche siano molto adatte a questa prospettiva. Anche per quanto riguarda il Buddhismo non credo che la distanza sia incolmabile, perché ci sono importanti esperienzedi Buddhismo vissuto nel mondo, in cui la dimensione della compassione e del rispetto per il vivente ècentralissima. Secondo Levy-Strauss, per esempio, se c'è qualcosa a cui ispirarsi questa è proprio la posizione che il Buddhismo haversoogni esserevivente. Pensoche oggi sia possibile lavorare in questo senso:una riproposta di queste grandi origini religiose in termini mondani, intramondani. Se alla base di ogni religione c'è un fondo etico, un tendere al bene di tutti, come si spiega allora la richiesta del Dio di Abramo di sacrificare Isacco? Non c'è una dimensione della fede che va oltre l'istanza etica e, mentre gli da senso, anche la determina e la limita? La dimensione fondamentale dell'etica per me è I' obbedienza, l'obbedienza ad una legge cheuno sentedentro di séeche. chi ha una visione religiosa pensa sia ispirata da Dio. Di qui il passo al sacrificio è abbastanza intuitivo: di fronte a questo Dio che mi ispira questalegge la mia obbedienzami spinge anche a sacrificare, a donare me stesso.Ma la fede non può essere trasgressione della legge che è in noi, tradi noi e degli altri sgressionedella coscienza, del Dio che è in noi e che vieta di uccidere un altro uomo. Penso che Dio non voglia questo. E' anche su questo che bisogna sollecitare questareinterpretazione positiva e co~truttiva, forse anche fermando la mano che tiene il coltello sacrificale. Ma è possibile obbedire ad una legge di cui ci sfugge il senso? E fuori da tale senso non si cade in un utilitarismo per cui oggi si obbedisce alla legge, ma domani, se a disobbedire siamo in tanti, si cambia la legge? Io consiglierei una riflessione sull'utilitarismo. Cosa significa veramente "utilitarismo"? Il vantaggio immediato è un vero vantaggio o bisogna pensare ad un vantaggio più mediato? Quand'è che sto veramente bene? Giuliano Pontara, che parte da posizioni deontologiche e arri vaali' utilitarismo, concepisce un utilitarismo nei termini del benessere fino alla decima generazione cheverrà. A questopunto I' utilitarismo diventa l'amore per il genere umano, quindi una prospettiva deontologica. Detto questo il mio discorso sul1'esperienza religiosa è che, qualunque nome si possadare alla gioia e alla paceche viene dal fare ciò cheuno sadi dover fare, in questo c'è la presenza di Dio. Ma io non penso che debba essere Dio a salvarci, penso che dobbiamo salvarci fra di noi ed in questo diamo forma a Dio. Insomma, io credo in un'evidenza dell'imperativo etico, un'evidenza cheè in circolo con l'agire bene. Pensocheci sia unacircolarità fra azione e conoscenza: solo chi si incammina per fare certe cosecapisce quanto sono vere e giuste, non lo si può spiegare a parole, dimostrare. Fare la testimonianza, è certo un fatto fondamentale, tuttavia rischiadi essere ininfluente: le fiaccolate in piazza non fermano i naziskin ... Io sonoper l'essere atti vi, sono per battersi, però credendo nella forza di un atteggiamento indifeso, dell'esporsi. Volete picchiarmi? Fate pure, però io ho una forza più grande della vostra, la forza della ragione, della riflessione. Per altri versi, però, la testimonianza è tale proprio quando non ha la preoccupazione utilitaristica di raccogliere frutti, di ottenere risultati immediati, perché al-· trimenti viene stravolta. Dobbiamo agire con la fiducia che semettiamo nella testimonianza noi stessi, la nostra intelligenza, essaavrà un riconoscimento, un successo. E' l'idea dell'azione rinunciante di Gandhi. E' l'agire volendo avere un effetto, con la speranza di avereun effetto, ma senzaI' ossessionedell'efficacia. - Il problema è riuscire a promuovere, ali' interno delle grandi culture e delle grandi religioni, delle letture capaci di riconoscere la differenza e l'altro. E questo non èautomatico: dipende dalla capacità degli interpreti, dei maestri, di condurre, di proporre, questa interpretazione. Gandhi è un esempio di lettura della cultura induista in questa direzione e sollecitava, senzafarla direttamente perché non vi apparteneva, una lettura analoga del- !' islamismo. Credo che quello che possiamo fare noi sia di cominciare a proporre una lettura della nostra cultura, di impronta ebraico-cristiana secolarizzata, che sia capace del riconoscimento del!' altro, attraverso un'opera di reinterpretazione in questa direzione delle nostre fonti e di conoscenzae traduzione delle altre culture e degli altri mondi. Un'opera molto complessa, che dovrebbe costituire un esempio, un modello, per altre culture. Non credo si possafare molto di più. C'è poi un altro livello, il livello dei diritti umani, dell'impegno immediato, della militanza, e credo che Io credo che ci sia una differenza fra le due operazioni, perché è noto che l'infibulazione viene usataper diminuire il piacere sessualee quindi come unaforma di impedimento e di ulteriore costrizione per ladonna. La circoncisione non ha questa funzione. Tempo fa, in una riunione internazionale di donne alcune islamiche hanno difeso il diritto all'infibulazione .... Io dubito molto della libertà di queste posizioni. Ci sono dei dati di costume, come tagliarsi i capelli o le unghie, chedifferenziano il rapporto che, nelle varie culture, ognuno ha col suocorpo, ma credo che I' infibulazione vada molto oltre questo tipo di operazioni. E' anche vero che ci sono delle obiezioni molto forti, da parte di alcuni antropologi ad esempio, a questo modo di vedere, ma comunque mi sembra che non si possano mettere sullo stessopiano taglio dei capelli ed infibulazione. Contro una cultura che ammetta i sacrifici umani, o l'uso di droghe pesanti, come facenti parte del culto religioso, credo che sia giusto intervenire in nome del rispetto della vita e dell'inteinnocenti dei sacrifici in nome della cultura. Per me uno degli assunti fondamentali è questa idea del rispetto per la vita, l'idea di un atteggiamento quasi procreativo che sta al fondo dell'essereumano. Io credoche nessuna madre generi perché suo figlio venga ucciso. Può darsi ancheche riescanoaconvincerla di questo, maper me è una orribile stortura. Io farei interagire questi due aspetti: il rispetto per le culture ed un universalismo che si attesta nella difesa di alcuni diritti fondamentali. 11 SIGRITO Dl11'1NCONTRO questo non si possa procrastinare. Il primo livello, quello più profondo e di lungo periodo, deve essere una rilettura della propria cultura in senso universalistico, sollecitando in questadirezione chi ha unaleadership culturale nelle altre realtà. Però una rilettura universalistica si scontra con almeno due problemi. Uno è che anche la nostra civiltà, come tutte, è una civiltà particolare. L'altro problema è appunto quello dei diritti umani; per fare un esempio banale, nel caso della richiesta di fare l'infibulazione all'USL come comportarsi? Io credo che ci sia un aspetto positivo e fondamentale nel riconoscimento e nella ricerca della specificità; non è tanto una tematica fatta propria dalla destra, è anche un discorso scientifico che l'antropologia indica: la conoscenza è conoscenzadello specifico. Questo però non deve impedire di riconoscere ciò che è comune agli uomini, il substrato che li unisce. Io credo che esista un sapereetico fondamentale, comune, pur nella varietà delle culture e addirittura nell'impossibilità di darne una formulazione esplicita. Credo, anzi, che questo saperesiadi origine materna, che siano le istruzioni fondamentali per vivere e che, più che una cultura o una filosofia, sia un sentire comune a tutti gli uomini. E' su questo che bisogna agire, è su questo che èpossibile lo scambio. Il relativismo culturale, quindi, dovrebbe essere temperato da una tensione etica universalistica. Certo non va eliminato, altrimenti si rischia l'assimilazione e la cancellazione dell'altro, equesto ècerto un pericolo, ma anche nel1'esaltazionedella diversità c'è pericolo. In forza della diversità, affermando la propria digrità fisica. Ma l'universalismo di cui lei parla è l'idea di universalismo dell'occidente, quindi una particolare idea di universalismo ... Credo che l'universalismo non sia un discorso esclusivamente occidentale. L'elenco dei diritti umani non è un prodotto tipicamente occidentale: fu sottoscritto da nazioni di ogni tipo, così come nazioni di ogni tipo hanno poi sottoscritto patti e convenzioni per il loro rispetto. Non credo che quella dei diritti umani sia un'idea solo nostra. So benissimo che ci sono dei problemi complicatissimi in questi campi, ma penso che su certe cose, come i diritti fondamentali e I' integrità fisica, bisogna essere molto, molto intransigenti. Non credo che il termine "cultura" si possa usare per giustificare qualsiasi cosa: allora anche il nazismo sarebbe una cultura, una cultura che comporta lo sterminio degli ebrei. So benissimoche, nel casodelle culture amerindiane, il discorso dei sacrifici umani è stato usato per giustificare lo sterminio, però questo non toglie che i sacrifici umani fossero un male. Credo che sia sbagliato dire checi sonodelle culture in cui il sacrificio umano svolge determinate funzioni, per cui va benissimo. Non credo che sia veramente indispensabile, altrimenti finiamo anche per accettare che i serbi sterminino i bosniaci e così via. Una cosa è una contrapposizione armata dichiarata, mentre nelle culture precoMa come si motiva questo fondo etico, comune e universale, dell'uomo? E' un fatto inerente alla ''natura" umana? Io non uso il termine "natura", perché so che è un termine minato. Faccio notare, tuttavia, che il concetto di "natura" inizia ad essereriscoperto perché sono troppe le omologie che troviamo nella storia, nel- !' osservazione dei fenomeni, per poter pensareche essesiano casuali o determinate da diffusione. Io penso che ci sia un sentimento fondamentale, che è la pietà e la compassione per l'altro, profondamente radicato nell'uomo; non sono un hobbesiano, sono piuttosto un roussoviano. Ma se fosse un sentimento così universale di fronte ad esso tutto il resto dovrebbe cedere il passo, come si spiegano allora i massacri, il razzismo? E' un problema di educazione della persona, in modo che i "germi positivi", come li chiama Mencio, possano svilupparsi e crescere.E' unadimensione dell'uomo, che certo va rettificata e corretta. Per cui la lotta contro il razzismo non può semplicemente attestarsi su una posizione liberale, per cui ciascuno ha diritto di perseguire la propria cultura, ecc. Non è sufficiente l'antidoto liberale, non bastano neppure i diritti, occorre un grosso sforzo di elaborazione etica fondamentale. Io noncredochel'universalismo sia solo il dato di una cultura, credo che possa esseresviluppato in ogni cultura. Cosl il cristianesimo può essere letto in termini imperialistici e violenti, ma anche, come ha fatto Locke, in termini di benevolenza e di amore. La stessaletturapuòesserefatta dall'Islam, il quale haal centro l'idea di misericordia, e da altre culture. Però bisogna favorire lo sviluppo di queste letture, non solo accampare il proprio diritto nei confronti degli altri. Ma è ancora possibile, in quest'epoca di grande secolarizzazione, una rilettura dei valori religiosi che stanno alla base delle diverse culture? BibI 10 teca Gino Bianco Sulla questione della globalità e della differenza "Ahi ahi, ma conosciuto il mondo/ non cresce, anzi si scema, e assai più vasto/ l'etra sonante e l'alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio, appare". In sorprendente anticipo sulle celebri considerazionidi Heideggera propositodella Tecnica, Leopardi, come ci testimoniano questi versi dedicati Ad Angelo Mai, già individuava nel Nulla, quell'evento che a partiredalla scoperta dell'America, in corrispondenza, cioè, diquella rivoluzionescientifica con la quale si è soliti dar inizioall'era moderna,stava caratterizzando il corso della nostra civiltà. "Ecco svaniro a un punto,/ e figurato è il mondo in breve carta:/ ecco tutto è simile, e discoprendo, / solo il nulla s'accresce". Dalla circumnavigazione del mondo, in effetti, la nostra civiltà non riportò quasi alcun giovamento spirituale, se non beni materiali o finalizzati alla scienza (Zibaldone 7 agosto 1821); si ebbe, al contrario, la ben più desolante impressione di aver fatto il pleriplo di se stessi senza aver incontrato nient'altro che se stessi. "o caro immaginar; da te s'apparta/ nostra mente in eterno ... / e il conforto perl de' nostri affanni". L'incanto che grazie ai miti, alle leggende, ai complessi sistemi metafisici regnava sulla terra si rivelò frutto dell'ignoranza se non della menzogna. "Più scoperte - scrive ancora Leopardi nell'Annuncio delle Canzoni - si fanno nelle cose naturali, e più s'accresce nella nostra immaginazione la nullità dell'universo". "Tutto è simile", nessun mistero interno a noi, dietro le presunte "colonne d'Ercole", né sopra di noi, nei cieli vertiginosi e "immobili"; "discoprendo, solo il nulla s'accresce". "L'uomo - dirà più di un secolo dopo Martin Heidegger- è ossessionato dal problema di ciò che potrebbe accadere in conseguenza dell'esplosione di una bomba atomica. L'uomo non vede ciò che da lungo tempo è già awenuto, l'evento che solo come suo ultimo sottoprodotto e risultato finale ha dato luogo alla bomba atomica e alla sua esplosione ... Che cosa aspetta ancora questa confusa angoscia, se la cosa terribile è già accaduta?" (La Cosa) "La cosa terribile" è che malgrado tutto sembri più vicino, più a portata di mano ("figurato ... in breve carta"), nessuna cosa ci è veramente prossima, ma solo privata aella sua distanza. "Tutto fluisce e si confonde nell'uniforme assenza di distanza", cosl che lo straordinario diventa presto monotono, e il monotono superfluo. Le agenzie turistiche non fanno in tempo a presentarci nuovemeraviglie esotiche che già questi luoghi ci assomigliano. Intere culture, aree geografiche, annientate e profanate dal nostro sguardo disincantato che "a un punto" non ha più riflettuto che se stesso, il proprio nulla, sono di volta involta spogliate o rivestite a seconda che servano a giustificare "progetti globali di sviluppo" o a stimolare appetiti per "il diverso". Di questo mondo ridotto a semplice "oggetto" noi finiamo per occuparci solo quando incomprensibilmenteci turba o ci minaccia, nel caso di un cataclisma o di una epidemia, di una rivolta etnica o di un'ondata emigratoria. Tanto che se della Natura dovessimo proprio, al di là di come ci è illustrata dalla scienza, farci un'opinione, non protremmo non convenire con Leopardi sul fatto che in qualche modo ci è "inimica" e "matrigna". Incapaci di pensare tutto ciò che, come la morte, presenta un aspetto ineludibilmente personale, singolare ancor prima che soggettivo, ci siamo affidati alla Tecnica con lo scopo di assicurarci la vita. Rendendo così la stessa Tecnica schiava di se stessa, poichè impensata e, perciò, abbandonata, da natura seconda che è, all'inesorabilità delle proprie leggi. D'altronde, la stessa impossibilità oggi di risanare l'ambiente dall'inquinamento provocato dal proliferare delle tecnologie senza l'ausilio di nuove tecnologie, la dice molto lunga sui rischi di irreversibilità del processo innescato. Allo stesso modo, se gli Stati Uniti, ultimi eredi di un bonapartismo tutto europeo e attuali garanti del Nuovo Ordine Mondiale, si trovano inquesti anni a prendere parte ad "operazioni di polizia internazionale", ciò non va imputato unicamente ad una politica imperialistica, sia pure sostenuta dai profitti dell'industria bellìca e dall'urgenza di invertire la tendenza recessiva, maanche, come per i romani al tempo di Cristo, alla richiesta, da parte dei responsabili governativi dei paesi sottomessi all'economia di m~rcato, di un loro intervento, di eseguire quella sentenza che essi stessi non sono ingrado di fare e di cui tanto agli Stati Uniti quanto agli "alleati" interessa relativamente. Relativamente che, però, non significa con minore responsabilità, al contrario; relativamente sta ad indicare la nostra difficoltà nel concepire un diritto che non sia universale, ma fondato sulla "persona". "Privando l'uomo della qualità di persona umana -ci ricorda Simone Weil- lo si priva della possibilità di rinunciare ad essa, se non è già sufficientementepreparato. Dio ha creato la nostra autonomia perchè avessimo la possibilità di rinunciare ad essa per amore; per la stessa ragione noi dobbiamo volere che i nostri simili conservino quell'autonomia. Chi è perfettamente obbediente considera infinitamente preziosa per gli uomini la facoltà di scegliere liberamente". (L'attesa di Dio). Il ricorso dell'Occidente al diritto internazionale, non è dunque così pretestuosocome pare,ma l'espressione di una giustizia che prima di espropriare le ricchezze, ha già espropriato la libertà di essere poveri. La verità è che noi, essenzialmente, non capiamo più perché ci siano delle persone, dei popoli che, come noi, non accettino di essere. n(ente (non il niente della libera rinuncia di cui parlava la Weil, ma quello cogente dell'"oggettività"); i quali, anche se raggiungessero il loro scopo, non importa se etnico o religioso, sempre dovrebbero riconoscersi come niente, annullarsi nella Tecnica. Giacchè tutto ciò che è singolare, i propri affetti, il proprio dolore, i propri ricordi, non potranno mai più essere qualcosa, se non nel "privato". Nella sua ingenuità, Bill Clinton, aprendo le cerimonie per l'insediamento, l'haespressochiaramente: bisogna guardare agli Stati Uniti come ad un modello di unità nella differenza. Più ambigua è semmai proprio la posizione assunta dalle nostre opposizioni e dall'insieme di quella cultura che dando fondo al patrimonio "ideologico" della "sinistra" e della "filosofia critica" si trova non solo spesso a legittimare le azioni di regimi che umiliano la tradizione spirituale dei loro popoli, ma soprattutto a ricorrere, in difesa della pretesa diversità delle culture e dei popoli, ad un linguaggio che definendosi "negativamente" non si oppone In modo sostanziale all'atteggiamento dominante, ma ne costituisce, per così dire, la sua "sovrastruttura". Come è, infatti, possibile dire agli altri ciò che sono dal momento che noi non sappiamo chi siamo? Come è possibile sfuggire ad unpensiero"globalizzante", "totalizzante", se noi stessi non ci costituiamo come differenza? Non sarà forse che la nostra cultura, al pari della politica, non intende passar di mano al proprio potere per riconoscersi davanti ad una ben più misera impotenza? Divorati dalla nostra stessa coscienza, riusciamo a dire ciò che caratterizza il mondo, ad illustrare civiltà e religioni diverse dalle nostre, senza deciderci per nessuna; a sondare i meandri dell'intuizione e della ripetizione, senza aver di che agire o saper conservare il rapporto con nostro marito o nostra moglie. Ma come è possibile dar voce a ciò che ci è proprio, a rendere omaggio al sacrificio degli altri se noi stessi non abbiamo a cuore la nostra di morte, e non ci impegnamo positivamente, in ragione di quell'identità che precede ogni discussione intorno alla legittimità logica del principio di non contraddizione, a cercare nel confronto con noi stessi, coraggiosamente, in solitudine, vero abisso di libertà, quel linguaggio che semplicemente sia, quel gesto che appartenendoci riconcili l'essere con l'essere, e rimetta a sé il nulla? Non si nasconderà forse il nostro "fanciullin" nel mistero di questo corpo già da sempre esposto all'azione, proteso nel linguaggio? "Tutti i dolori possono essere sopportati se vengono messi in un racconto, o se si narra, su di essi, un racconto." ha scritto Hannah Arendt nell'epigrafe di un capitolo di Vita activa dedicato all'azione; i maestri orientali parlano di un sapere che passa di uomo in uomo, senza mediazioni. Anche un libro, quando il suo autore si rende testimone del linguaggio, piuttosto che usarlo a pretesto per l'esposizione di un sistema, può contribui rea risvegliare ciò che Paul Celan chiamava il "segreto dell'Incontro"; ma l'importante è, anzitutto, apprendere ad ascoltare, ad abbandonare incondizionatamente la propria mano in quella dell'altro, in ciò che è vicino in quanto vicino, in ciò che è lontano in quanto lontano, poichè per raccontare l'amore dev'essere accaduto. Gianluca Manzi UNA CITTA' 3

ettere 1ntervent1 ORIENTI Ho letto spesso con interesse sulle colonne di "Una città" gli interventi e le interviste di Ivan Zattini, di frequente tesi ad illustrare motivi inerenti al pensiero orientale. Nulla da obiettare; credo anzi che ciò possa svolgere una funzione meritoria, soprattutto se si è convinti con Zattini della colpevole trascuratezza dell'occidente nei confronti dell'altra metà del globo. Condivido ancor più questa sua convinzione se, come lui suggerisce di fare, con tali designazioni non s'intendono zone geografiche, bensì "luoghi dello spirito", se comprendo adeguatamente, territori concettuali e categorie utili alla riflessione. E tuttavia lo scopo del discorso di Zattini non mi pare quello di proporre un incontro tra due tradizioni culturali... Nelle affermazioni di Zattini s'avverte un tono di risentimento nei confronti della tradizione occidentale, vera fonte della nostra odierna dannazione. Certo, non credo che Zattini voglia condannare tutte le forme della cultura occidentale, ciascuna di esse nessuna esclusa, bensì una caratteristica predominante del nostro patrimonio spirituale che avrebbe offerto le sue prove più mature negli ultimi due secoli. Insomma, la critica di Zclttini è rivolta anzitutto ad un presunto tratto peculiare della nostra cultura: la tendenza a sfociare ndla tecnica vedendo in essa la propria manifestazione fatale e letale. Ciò consente peraltro di individuare in occidente importanti precursori, o presunti tali, di questo modo di rapportarsi ali' insieme della nostra cultura; in particolare si enfatizzerà una vena di pessimismo radicale nei confronti della ragione, capace (sia pure in estrema sintesi) solo di rifondere nella tecnica il senso dell'uomo nel mondo. Sorvolando su alcune forzature, quasi figlie di un luckàcsismo rovesciato, diverrann<l'senz'altro maestri positivi i filosofi per i quali la ragione occidentale servirebbe solamente ad assoggettare la natura ali' uomo, diventando mero strumento per l'esercizio di una violenza addirittura catastrofica per la sopravvivenza del pianeta. Almeno in un punto di grande importanza questa argomentazione non convince e non sembra rendere giustizia al cosiddetto "pensiero della tecnica", visto che con questa mitica categoria si intende designare il nocciolo autentico del pensiero occidentale. Quest'ultimo è infatti l'unico che - a quanto mi consta - abbia talvolta cercato di vedere nell'uomo qualcosa di più di un riverbero metafisico. E spesso proprio in virtù dell'enfasi posta sulla tecnica. Ricordo, ad esempio, Eraclito, col suo invito a scorgere nel logos qualcosa di comune a tutti gli uomini; e Gorgia, che ripudiando ogni decisione metafisica vedeva in un linguaggio divenuto tecnica la residua possibilità dell'uomo di sopportare l'enigma della vita prendendo dimora in un'incerta dimensione civile; e ancora Socrate, che nella tecnica dialogica riponeva le speranze del rinnovamento della convivenza politica. Insomma, quello stesso pensiero della tecnica spesso vituperato è spesso stato, sin dalle sue origini, insieme un pensiero del Tu oltre che un tentativo di dominio della natura, e credo anzi sia stato espressione di passione umana prima che adesione a paradigmi metafisici. Finanche nelle sue espressioni più assolutiste e violente, come in Hegel. Forse il motivo di ciò risiede nel fatto che la tecnica non è che l'espressione culturale dell'atteggiamento che contraddistingue l'uomo nel mondo della prassi, nel mondo comune all'Io e al Tu. Viceversa la Tecnica (quella mitica, il demone dell'occidente) è solo immagine iperbolica, uno dei risultati di questo pensiero e non la sua essenza umana e dialogica. Mi pare quindi improprio giudi-. care l'intera matrice culturale del1' occidente facendo esclusivo riferimento alle iperboli che predominano nella nostra situazione epocale: questa sì incapace di salvaguardare, prima che la natura, le diversità degli uomini, avendo smarrito i lumi fiochi di quell'intelligenza che dovrebbe rischiarare i rapporti tra l'individuo e il suo ambiente di vita. E inoltre, mi pare opportuno riflettere sul fatto che - al di là delle buone intenzioni - la proposta di sostituire ali' occidente identificato con la sua faccia più cupa, un oriente assolutamente estremo, potrebbe determinare un trapasso fatale dal dialogo tra I' uomo al monologo che incombe sull'uomo, cioè la sospensione ultima e definitiva del mondo della prassi e la conseguente chiusura solipsistica e passiva in vista di un avvento della Verità. A detta dei loro stessi "sacerdoti" ed epigoni culturali, è appunto questo a rendere possibile, per esempio, ai cinesi di convivere con la violenza di Tien An Men, ai giapponesi di sopportare ritmi di vita-lavoro psicologicamente e socialmente alienanti, agli indiani per secoli di "convivere" in una società divisa per caste. LQ sfondamento finale sarebbe allora il possibile preludio di una·catastrofe umana difficilmente rimediabile. E il risultato sarebbe identico a quello ottenuto con l'affermazione finale della Tecnica, poiché in entrambi i casi andrebbe perduto il gusto per la precarietà critica del nostro esistere. Il "nuovo" uomo (anche quello di Nietzsche e di Foucault) sarà solo se saprà essere "più" uomo, poiché più in là non s'annunciano che nebbie metafisiche, a Ovest come a Est, nella Tecnica come nell'Evento. Nella sua vita, prima che nella sua dottrina, Machiavelli aveva messo ottimamente a nudo le due grandi regioni estreme dello spirito. Da una parte quella "estremoorientale", in cui la Fortuna domina incontrastata e verso la quale l'uomo virtuoso e stupefatto cerca soprattutto d'instaurare un rapporto d'armonizzazione a costo della propria inattività. Dall'altra parte quella "estremo-occidentale", in cui la Fortuna è "donna giovane e bella" rispetto alla quale la virtù dell'uomo mostra l'altra sua faccia ispirata al dominio. In entrambe non v'è spazio per l'Altro. E ciascuna, in sé, surroga questo deficit creando una Morale (positiva o negativa) incapace di rendere adeguatamente la precarietà dell'immagine dell'uomo, mentre la piena virtù umana è semmai sollecitata da entrambi quei due momenti, e stimolata da una passione per il Tu tanto profonda da poter persino esigere che la morale venga ad essa, paradossalmente ma realisticamente, assoggettata. In Machiavelli queste due regioni dunque non confliggono, ma costituiscono assieme il torbido spirito umano, e giungono a determinare un atteggiamento razionale sebbene non assolutistico che è uno splendido frutto del nostro pensiero, ma non un patrimonio esclusivamente suo. Ritengo che questa labile marca di confine possa ancora offrire risorse per ovviare ai difetti di ciascuno dei due imperi del globo spirituale. Ciò riuscirà nella misura in cui si imparerà a non affidarsi a costellazioni immobili di pensiero, senza far abdicare la ragione. Vi è infatti una ragione (e una tecnica) che non fonda nulla poiché rimane fedele alla precarietà della propria singolarità, e che risulta quindi insensibile ali' attrazione degli antipodi, e intatta dalla lotta tra l'assolutismo tecnico di un mitico Ovest e l'estremismo mono logico di un mitico Est: lotta, questa, cruenta e fatale perché, chiunque ne sia il vincitore, ne usciremmo comunque "visconti dimezzati". E, come insegna Calvino, la presunta "metà buona" apparentemente dimessa sarebbe tanto nociva quanto quella ritenuta "cattiva•·.Questa forse apparirà una provocazione più che una riflessione. La CassdaeiRisparmdiFi orlì I Del resto, altro non riuscirei davvero a dire, in quanto certi luoghi estremi dello spirito rappresentano per me più terrifiche minacce di esilio che agognate mete di pellegrinaggio. NIVI' SHALOM Giovanni Matteucci Possono vivere Insieme palestlne•I ed ebrei? Oa vent'anni ormai Nevè Shalom è un tentativo. Ne parla uno del protagonl•tl, Al,de-Salam Na••ar L 'INffRVISTA A DI BAR Ad ascoltare De Bar, il modo come evolveva il suo discorso, mi domandavo se la gente sarebbe disposta ad ascoltarlo, a capire le nuances, a cogliere tra un passaggio e l'altro l'onestà e allo stesso tempo la difficoltà di chi sa bene ciò che ci sarebbe da dire ma che sa anche che si tratta di un terreno minato.Minato perché lunga è la storia dell'intolleranza nei confronti degli zingari. E anche lunga è la storia dei fraintendimenti fra intervistatore e intervistato. Molto spesso, la complicità che si stabilisce nel faccia a faccia, nel momento dell'intervista, non traspare poi nel testo scritto e reso pubblico. E poi, una volta reso pubblico, il testo scritto non appartiene più ai suoi autori, cosa che può richiamare una diffidenza in più dalla parte di chi invece si orienta ali' interno di una tradizione orale. Si è già detto che la parola scritta è diventata anch' essa merce. E allora si ha paura che essa venga a passare in mano ai non destinatari. E comunque vale la pena una volta in più' cercare di comunicarci, tastando il terreno per evitare le mine. Tastare per sapere con chi si parla e di che cosa si può allora parlare. In questo senso, in questa intervista si è parlato di tante cose, molte delle quali non arriveranno alla carta. Come ad esempio il fatto che Debar dovesse portare una figlia al lavoro a meta' intervista, oppure che l'altra doveva andare a fare la spesa nella bottega vicina al campo per preparare la cena. O le varie interruzioni e rumori e rumori di fondo che il "setting" dell' intervista comportava (eravamo dentro la sua roulotte e, mentre si parlava, la vita attorno continuava, con chi doveva asciugarsi i capelli, o chi domandava di un compagno di gioco, o chi veniva a vedere chi erano le persone di fuori, o chi semplicemente veniva ad ascoltare un pezzo della conversazione). L'inizio del discorso è emblematico, di quelli che si devono fare in TV per evitare malintesi in così poche parole. Dopo, mentre si racconta della vita, il discorso univoco dell'inizio comincia ad arricchirsi di elementi vari. Piuttosto che sentire ogni frase, mi colpiva sentire la variazione sul tema; comunicare la mobilità della realtà stessa. Non c'era mai una frase del tipo "adesso le dico come stanno le cose". Le cose possono stare in modi molto diversi, a partire dal punto di vista di chi le guarda. Nell'intervista la variazione viene data dall'interazione faccia a faccia ma, e nella lettura dopo? Mi domando se la gente sarà pronta a capire che non si può capire d'un colpo. Se si renderà conto che tendiamo a valorizzare ciò che viene a combaciare con quello che pensavamo di sapere dapprima. Se capirà l'apertura implicita nell'alternanza del discorso che può anche essere appresa come un invito a proporci anche noi in modo meno presuntuosamente categonco. Debar non lo dice, ma mi fa capire (o forse sono anch'io a cercare la conferma di quanto mi sembra di aver capito di loro) che non sarà facile il dialogo. E Mafalda fa notare che siamo cambiati tutti, sinti e non sinti. E comunque noi siamo andati da loro (io c'ero già da poco prima) e loro ci hanno ricevuto, disponibili a parlare. I malintesi della stampa/scrittura? Lasciamo perdere, sono inevitabili. Invece quello che potremmo evitare è di andare oltre ai malintesi. In altre parole, che la conversazione non finisca qui. Ana Gomez Ci puoi dire la storia di Nevè Shalom, quante persone ci sono, quali sono le attività? E' una comunità palestinese ebraica. Oltre alla comunità c'è quella che chiamiamo "scuola per la pace": è un centro educativo che si occupa del conflitto israelo-palestinese con strumenti educativi. La comunità comincia 20 anni fa. Il fondatore, l'uomo che ebbe l'idea, è un frate domenicano, Bruno Hussar. lo ne sono venuto a conoscenza nel 1976 quando ero studente. Mi diedero i dialoghi degli studenti palestinesi e israeliani, così venimmo a sapere dell'idea di Hussar. Lo invitammo e ci disse della sua idea. Ci invitò a vedere Nevè Shalom e noi andammo. Fu una sorpresa perché non c'era alcuna nulla. Gli chiedemmo: dov'é? E lui si guardò intorno e ci rispose: voi siete qui, adesso esiste. Noi ridemmo, ci piacque l'idea. Fu un'opportunità per noi per mettere in pratica le nostre idee e ideologie. Cominciammo ad incontrarci nei fine settimana, per pensare a come costituire la comunità di NS. La prima famiglia arrivò nel 1978. Poi venimmo in 5 famiglie e da allora, lentamente, le persone hanno cominciato a venire qui. Oggi ci sono in tutto 22 famiglie, più di 80 persone. Abbiamo una scuola per i nostri bambini, bilingue, biculturale, abbiamo asilo nido, asilo e scuola elementare. Ali' inizio era aperta solo per i nostri bambini, -palestinesi ed ebrei-, adesso la frequentano anche bambini che non appartengono alla comunità, e la scuola ha ora 100 allievi. Questa scuola è unica nel suo genere, è bilingue e binazionale. Non è stata finanziata fino a questo momento dal governo, ma loro sanno che esistiamo, stiamo diventando molto famosi per questo tipo di educazione, in Israele e anche in altri paesi. Oltre alla comunità abbiamo, come ho detto, la scuola per la pace, e teniamo dei seminari per gruppi palestinesi ed ebrei che vengono per occuparsi del conflitto. I seminari sono a volte uninazionali, solo per palestinesi o solo per ebrei, e a volte sono seminari di incontro per i due gruppi. Il nostro scopo è di provocare la coscienza che i partecipanti hanno della loro identità, l'autocoscienza, e della complessità del conflitto, di dare loro degli strumenti per porsi di fronte al conflitto, dei metodi, delle possibilità. E poi di dare loro l'energia, il senso di poter fare qualcosa, e soprattutto che lo potrebbero fare. Ci sono state delle discussioni nel 1982, durante l'invasione del Libano, o quando è cominciata l'Intifada? Discussioni ci sono sempre, specialmente, come hai citato giustamente, nei momenti difficili, guerre, violenze. Ci sono molte discussioni tra ebrei e palestinesi, maancheall'interno dei gruppi palestinese ed ebreo, perché le persone hanno idee diverse anche ali' interno di uno stesso gruppo. Noi non siamo una comunità pacifica, non siamo tranquilli, a Pest Control Igiene ambientale ■ Disinfestazioni - Derattizzazioni - Disinfezioni ■ Allontanamento colombl da edifici e monumenti ■ Disinfestazioni di parchi e giardini ■ Indagini naturallstlche 47100Forll - via Meucci,24 (ZonaIndustriale) Tel (0543)722062 Telefax(0543)722083 CO volte ci sono discussioni dure, in cui si grida, a volte qualcuno sbatte la porta e se ne va, qualcuno piange, ma una cosa fondamentale che abbiamo deciso è che continueremo a vivere insieme: questa è l'unica strada, anche se a volte, e capita molte volte, ci sono momenti difficili tra palestinesi ed ebrei, perché reagiamo alle cose in modo diverso. Se io reagisco emotivamente alle violenze contro i palestinesi, la reazione degli ebrei è diversa per questa violenza, è, a volte, più ... razionale. Loro sono contro questa violenza, ma la mia reazione è più emotiva. lo mi sento male, mi fa sentire molto arrabbiato. Poi succede anche l'opposto. Dopo 15 anni di esperienza mi sembra che, da una parte, ebrei e palestinesi possano convivere, dall'altra che non possono, perché, dopo tanto, siete solo 22 famiglie. Mi sembra che ci sia un problema. Fin dall'inizio, comunque, il nostro scopo non è stato di essere un movimento pubblico, ma un centro educativo. Il limite massimo che ci siamo dati per la nostra crescita è di 60 famiglie, non di più. Ma ci sono persone che vengono alle nostre attività e se ne vanno quando queste sono terminate. La scuola per la pace funziona per la gente esterna alla comunità. Negli ultimi 12 anni 15.000 persone sono venute e hanno partecipato alle iniziative di NS. Nonostante ciò tu hai ragione: c'è una sorta di paradosso nella nostra comunità. Non pensare che noi siamo un modello di soluzione possibile. NS non è questo. Da una parte noi siamo ebrei e palestinesi che vivono insieme, dall'altra noi parliamo di due parti che dovrebbero essere separate tra di loro. lo non sono venuto qui, a NS, per dimostrare che ebrei e palestinesi possono vivere insieme, per me è un assioma: se vogliono possono, se non vogliono non possono. La nostra esperienza riguarda piuttosto questo: come lavorare insieme, più che come vivere insieme, e che mezzi dovrei avere per capire l'altra parte, ma prima di tutto per capire me stesso, e poi l'altra parte. E a NS noi facciamo questa esperienza. Noi stiamo lavorando qui e adesso, giorno per giorno, noi non stiamo lavorando per il futuro o il passato, ma per quello che succede ora, come possiamo affrontarlo. E questa è la cosa più importante. Tu mi hai fatto una domanda alla quale forse un politico dovrebbe rispondere, ma io non sono un politico, sono un educatore. lo faccio un lavoro che viene prima di quello del politico. Io non cerco le soluzioni, io educo la gente a trovare soluzioni. Comunque io penso che la cosa più importante, nel conflitto tra palestinesi e israeliani, è che le due parti si accettino reciprocamente come tali, che i palestinesi accettino che l'altra parte sono gli israeliani, e lo stesso da parte degli israeliani. L'altra parte non sono l'Arabia Saudita, l'Egitto o il Kuwait, ma i palestinesi, e dovrebbero avere un rapporto con loro, non con le altre parti. Ignorare l'altra parte non significa risolvere il conflitto. Questa è la prima cosa, la più importante. La seconda cosa è ottenere l'uguaglianza per le due parti, e se tu hai uguaglianza e accettazione, allora puoi cominciare un dialogo. Uguaglianza dei diritti. Ora in Israele, io penso, c'è uguaglianza di diritti. Ora possiamo cominciare. lo posso dire quello che tu puoi dire, posso fare quello che tu puoi fare. Questa è uguaglianza. Senza uguaglianza non puoi continuare a parlare. Se gli israeliani vogliono parlare con i palestinesi e vogliono che i palestinesi facciano qualche cosa, i palestinesi diranno: noi non siamo uguali, non possiamo fare niente. Se cominciamo un dialogo non c'è già una soluzione finale: cominciare un dialogo vuol dire cominciare un processo di pace, è un processo, a volte va avanti, a volte si ferma. E forse l'obiettivo cambierà nel corso del processo. Perché? Perché ora l'obiettivo degli israeliani è avere sicurezza, e hanno paura di uno stato palestinese. Credono che uno stato palestinese minacci la loro sicurezza. I palestinesi vogliono il loro stato sovrano, questo è il loro obiettivo. Se queste cose vengono poste come base ali' inizio del dialogo, il dialogo non può avere la sua la sua soluzione fin dall'inizio. In questo modo non potranno continuare a parlare, perché sull'ultima cosa, sulla soluzione non siamo d'accordo. I palestinesi non sono d'accordo con una soluzione che escluda uno stato palestinese; gli ebrei non vogliono uno stato palestinese. Allora cominciamo a parlare dall'inizio, non dall'ultima cosa. Allora, quando parlano, perché gli israeliani non vogliono uno stato palestinese? L'ho detto, perché hanno paura. Hanno paura perché hanno un'esperienza in questo senso. Ma se continuano nel processo di pace avranno un'esperienza diversa. Forse avranno un'esperienza positiva con i palestinesi, magari un qualche genere di cooperazione, e prima o poi il loro atteggiamento di paura cambierà. Forse in futuro accetteranno uno stato palestinese. Forse i palestinesi accetteranno una federazione con Israele, insieme. Questo è un processo e forse richiederà IO anni, forse 5, chissà ... Stare insieme non sembra più una idea popolare in Europa, vedi quello che succede in Jugoslavia, in Italia, in Germania contro gli stranieri ... Non è tanto contro gli stranieri, è più la situazione economica difficile. E' facile attribuire ad un altro la colpa. In Italia il nord dà la colpa al sud e agli stranieri, se non ci fossero stranieri o meridionali forse darebbero la colpa alle donne oppure a qualcun altro. Questo non è prendersi la responsabilità di una situazione. Sembra che sia importante avere un nemico ... A cui dare la colpa ... mentre dovrebbero prendersi la responsabilità della situazione e lavorare o per cambiarla. Cercare il colpevole significa che non stai facendo niente. E un'altra cosa molto importante: quando noi collaboriamo fra due parti, non siamo d'accordo che una parte incolpi I' altra. Prenditi la responsabilità di una situazione e fa qualcosa per cambiarla .... - CINFRO LIA ROSIMBAUM glovedi I I FIBBRAIO ore 21: Incontri di leffura MARIANGIU GUALTIIRI legge PAULCILAN lunedi 22 FIBBRAIO ore 19: proiezione video di un'intervista sulla memoria a Nuto Revelli ore 21: discussione con la partecipazione di Andrea (anevaro pressoil Centroin P.zzaDante 21,Forlì -per informaziontielefonareal 21422cera una voltanel ,~ paesedi Uz unuomodi nomeGiobbe Sfa per uscire Il primo "fasclcolodlleHuran. Verrà Inviato In omaggio a tuffi gli al,l,onafl di UNA Cfff A', col prossimo numero. PIII. GLI ABBONATI: Al,l,lamo laHo un 'Interruzione Invernale di un mese, Invece che di due In estate. Cl scusiamo con al,l,onatl e leHorl per Il mancato preavviso. Il preuo di copertina diventa di 3000 llre. Mentre l'al,l,ona• mento ancora per tuffo Il mese di lel,l,ralo e mano resta di 25000. Poi passerà a 30000 llre. 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