Una città - anno III - n. 19 - gen.-feb. 1993

UTIR UTIR CHIAMA PISA Il legame con le proprie radici, con il proprio paese quando eia tanti anni si è lontani. Il rischio cli essere straniero eia clue parti. Intervista a Rubens Yanou I , tradizione, potranno essere, 'la"? La televisione può essere mentari locali? Questo è un aspetto importante. L'informazione del paesano poliglotta non è necessariamente quella sulla sua città, in cui deve operare. Ma la mia contrapposizione era più tra una comunicazione, interattiva dialogica, che serve per agire e per approfondire e che si basa anche per forza, strumentalmente, sul video e la comunicazione effimera, che scorre, imposta dalle grandi centrali nazionali o multinazionali. Un fenomeno che io non sottovaluterei, anche se per ora interessa soltanto pochi esperti o appassionati o gente strana, è quello delle équipes televisive legate a piccoli canali, ma anche a studi televisivi, ad agenzie giornalitiche che vanno in giro a fare reportages e poi cercano di vendere questi nastri a privati cittadini interessati o a gruppi. Per esempio Scaramucci, il direttore di Radio Popolare, ha un agenzia in cui ho visto, nelle sue disponibilità, anche un reportage di 90 minuti sulla mafia russa e francese, la mafia russa e i collegamenti con lo stesso Gorbaciov. Sicuramente ci saranno delle inchieste approfondite sulla Jugoslavia che a noi non arrivano. A noi arrivano normalmente delle immagini che sono di difficilissima interpretazione, oppure delle immagini di propaganda, come è stato in modo clamoroso per la Romania, in cui anche le smentite sono passate via così, e nessuno sospettava che riuscissero a menarci così per il naso ... Per concludere torniamo al paesano. Autoctono o anche immigrato che sia, in presenza di problemi, non si incattivirà comunque? Tu mi chiedi se la carica paesana, delle tradizioni "du pays", ancorché uno possa continuamente prendere le distanze dal puffismo, quindi da terra, sangue e suolo e anche dalla lingua, non corra il rischio comunque di chiudersi agli estranei? Provo a porre la domanda così: l'umanità trarrà effettivamente una spinta positiva da questo indubbio movimento mininazionalistico o esasperatamente nazionalistico o localistico in atto, o invece questo sarà un processo disgregante, e tale da favorire guerre tra poveri e occasioni di intervento ordinatore e vincente del grande imperialismo? te a quanto in alcuni momenti hanno dato l'impressione di pensare i grandi storicisti, non consente delle previsioni, però si può ragionare sull' insistenza del riproporsi di certi problemi, di convivenza e sopravvivenza da un lato, e di difficoltà ad amministrare le risorse, in tutti i sensi, dall'altro. E ci si può chiedere se, a un certo punto, non finiranno per imporsi delle pratiche di armonizzazione delle localizzazioni invece che di dominio del1' imperialismo. Per esempio quello che 20 anni fa diceva soltanto la propaganda comunista, cioè che negli USA la gente era senza casa o crepa va di fame, ora è quasi un luogo comune ... • • • r1p1egars1 su se stessi per salvare il Allora, qu~M~ re che a un certo punto, proprio come reazione immediata, la gente dica: basta con questi farabutti, cacciamoli fuori, cerchiamo di controllare noi il nostro territorio ... E questo, certo, può avere il risvolto di chiudersi in se stessi, ma non quello di ricreare dei piccoli imperialismi, perché, presumibilmente, ne mancherebbero le forze. Se ad un certo momento lo stato di New York o la California come in "Ecotopia", che è forse l'unico libro di fantapolitica e di utopia positiva di questi ultimi anni, si staccano, si ripiegano un po' su se stessi per salvare il salvabile, per sopravvivere, e fanno un socialismo ecologico, avranno immediatamente l'energia di rilanciarsi a sfruttare di nuovo le terre intorno? No, non credo. Quello che si può pensare è che siano restie a far entrare gente. Cosa che, da un punto di vista di previsione ecologica darwiniana, credo sia inevitabile, ma questo può scatenare anche una prassi positiva. Ad un certo momento si comincerà a dire: non potete venire qua dentro perché staremmo male tutti; possiamo invece aiutarvi purché ve ne stiate sul vostro territorio. In ogni caso tutto questo può essere letto in modo più produttivo e inventivo, di quanto non facciano i demonizzatori dei localismi e dell'interesse per il "particulare". Da molto tempo ormai vivi in Italia, ti sei fatto qui una famiglia, ma che rapporto hai rimasto con la tua terra, la tua famiglia e i tuoi amici in Africa? A livello affettivo rimane una grande voglia della tua terra. Vuoi vedere i tuoi parenti, i tuoi amici ... Ho nostalgia di casa mia, ma so che posso rientrare anche domani, se voglio. Posso tornare a casa quando mi pare e piace. Però, cosa succede quando torno giù? Facciamo un passo indietro: io manco da casa da tanti anni, da quando ero ragazzino. Studiavo a 400 chilometri da casa e ci tornavo solo per Natale, per Pasqua, per le grandi vacanze e le amicizie erano ancora superficiali. Arrivato all'età in cui dovevo crearmi la vera amicizia, quella che dura nel tempo, sono venuto via. Avevo quasi 18anni, ma già dalla fine delle elementari ero fuori, in collegio. Dopo le elementari entri in un collegio che ti porta fino alla fine delle superiori. Stai lì, torni a casa per le vacanze e già in partenza capisci che gli amici li perdi. Non è mai un'amicizia solida, perché hai gli amici da un'altra parte, a scuola, e anche loro vengono da fuori. E dopo, quando vai all'estero e ogni tanto ritorni a casa, diventa strano. Appena arrivi trovi i vecchi amici del- !' infanzia. Dopo l'incontro, dopo le solite cose: "come stai, cosa hai fatto", tutto finisce lì. Una settimana e non c'è più niente da dire. Dopo un po' ti senti spaesato. Ti senti più straniero a casa tua che da un'altra parte. Allora vivi in quella realtà con i parenti, non più con gli amici. Perché insisto tanto sugli amici? Perché in Africa l'amicizia vale parecchio. Si vive molto fuori, all'aperto, e ci si intende molto più con gli amici che con i parenti. L'amico diventa quasi un complice. La famiglia è un punto di riferimento per certe cose, ma per la crescita gioca un ruolo di maggiore importanza l'amicizia. Tornando alla nostalgia, il più delle volte si risveglia in momenti di massima concentrazione o quando hai un problema e allora ti viene da pensare "se ero a casa ...", oppure quando una storia ti fa rivivere un attimo del tuo passato. Allora viene la nostalgia. Però mi rendo conto che per me è diverso da quello che sentono altri amici che, ad esempio, sono qua per motivi politici e non possono rientrare facilmente. Per chi non può tornare è un' altra cosa, ne soffre di più. Chi ha lottato per un'idea, quando deve allontanarsi, quando è fuori dal suo ambiente, difficilmente riesce ad esprimere se stesso, ad accettare la situazione. Io, bene o male, sono un emigrato "generico": sento la nostalgia, ma riesco a superarla. invecchiare qua non va bene a nessuno Non è quella nostalgia che ti può uccidere. Penso che questo succeda perché sono giovane, perché ho altre cose per la testa. Però vedo la realtà di gente che è ali' estero da tanti anni: è invecchiata, ha fatto famiglia e la loro nostalgia è molto più forte. Non so come spiegarlo, ma il fatto di invecchiare qua non gli sta bene. Devono tornare a casa. QuanCerto, la storia, contrariamen- Bi o I oteca Gino • do sei più giovane invece dici Bianco "lo farò, lo farò" e magari non lo fai mai. Ma dire "lo farò" ti fa andare avanti. Tu ti ci vedi ad invecchiare fuori? lo sento che prima o poi devo tornare. Forse sbaglio, forse sono condizionato dalle cose che ho lasciato a casa mia, dalla realtà della vitae della gente là, ma invecchiare qui non mi sembra tanto bello. Già è un problema per la gente del posto, figuriamoci per uno straniero. Io ho una figlia e sono sicuro che se rimane qua, lei potrà sentire parlare della mia terra, però non avrà niente a che vedere con la mia terra. Ho amici che dicono che l'importante è dare ai propri figli una ferrea educazione della nostra terra. Ma facciamo i conti di quante ore si passano coi figli: al massimo tre ore al giorno. Passano più tempo con tutta l'altra gente che hanno vicino e che non ha niente a che vedere con la "tua" realtà. Questa è la "loro" realtà. Allora se pen- . so che devo invecchiare nel meccanismo del la società, della famiglia, che c'è qui, non me la sento. Forse i miei figli un domani potranno adeguarsi, però la visione che ho io della vecchiaia è tutta diversa. Da noi l'anziano è un punto di riferimento. Non tutti, non voglio generalizzare. la mia è una cultura della parola, clte si tramanda Bisogna tenere conto che la mia è una cÙltura della parola, una parola tramandata. Di scritti ce ne sono pochi, forse oggi di più nelle nuove generazioni. Per conoscere la mia storia devo parlare con gli anziani. Allora ecco che il loro ruolo è molto importante. Se mi allontano da loro rimango vuoto, non ho niente, non ho riferimenti. Più mi avvicino a loro più capisco tante cose. lo ho girato abbastanza ed è così in quasi in tutta l'Africa; tolto il meccanismo delle grandi città dove sta prendendo piede il peggio dell'Occidente. Allora il vecchio non è che cerca il protagonismo, ma cerca di insegnare, di stare vicino alla gioventù che cresce. Non è come in Occidente. Non tanto in Italia, non voglio fare un esempio particolare, anzi qui ancora qualcosa si salva, ma più andiamo al nord e più è tutto sgretolato, l'anziano è finito, ha finito il lavoro quindi basta, non conta che al momento di andare al cimitero. Il fatto di sapere che sei vivo senza essere più utile è la cosa più micidiale che può succedere ad un essere umano. Questo non lo condivido. Ma venendo via ti è mancato questo rapporto con gli anziani? L'anziano è presente già nella gioventù. L'anziano da noi è come un animatore, fa da consigliere, da coordinatore, per i giovani. Però, per conquistarsi questo ruolo, deve dimostrare di essere ali' altezza. Non è che automaticamente, diventando anziano, assume questo ruolo. In ogni caso avrà rispetto assoluto. L'anziano come animatore è ali' interno di una comunità e interferisce involontariamente anche con la famiglia, coinvolge anche la famiglia. E' come qua, quando sento parlare di chi viene dalla montagna. Ho avuto occasione di lavorare in zone di montagna e ho visto gente di settant'anni che ha ancora quel piccolo ruolo, ma anche lì sta scomparendo velocemente. Quando sento la mia nostalgia e sono inquei posti, guardando come in una fotografia, dal di fuori, mi dà l'impressione di vivere una realtà che conosco già, mi dà quel tanto che mi ci vuole. la famiglia è una catena cli vita, una trascina l'altra Tanto è vero che molti miei amici sono anziani. mi trovo bene con loro. Se non è stupido l'anziano ha sempre tante cose da insegnare. Nella civiltà occidentale tutti possono imparare tutto, si può diventare ingegnere, dottore, quello che vuoi, ma per la lezione di vita ci vuole esperienza. Non serve nessuna scuola, la acquisti vivendo, conoscendo, avvicinandoti a gente che ha vissuto già. Tramite loro puoi acquisire cose importanti, non è una cosa meccanica. Questo ti fa sentire diviso fra due famiglie; fra i genitori in Africa e moglie e figlia qua? Per me, per la cultura africana, è "la famiglia" e basta. Non è un nucleo, poi un altro ecc .. E' un insieme, una catena di vita, dove una trascina l'altra. La mia famiglia di nascita è la mia famiglia e quando da lì mi allontano un po' non esco, se mi faccio una mia famiglia devo cercare di legarla con quella originale. In tante cose, anche piccole, nel modo di pensare. Non si tratta di un capo che decide. Non è così, penso che in Africa sia più giusto parlare di famiglia democratica, perché la donna può apparentemente avere un ruolo secondario, ma in certe decisioni gioca un ruolo fondamentale. Magari nella famiglia sono i bambini ad avere un ruolo di dipendenza. Ma le donne, gli anziani, gli adulti prendono le decisioni insieme. In Occidente la famiglia è solo la mamma, il babbo e il figlio. La famiglia d'origine è soltanto un punto d'incontro settimanale, uno della famiglia non sa mai quello che fa l'altro. In Africa non è che la famiglia di partenza condizioni la tua esistenza, ma ne deve fare parte. E la terra, i luoghi? Se ci penso sentimentalmente è un conto, razionalmente è un'altra cosa. Quando la pancia ha dei problemi diventa difficile. Quando sono qua lavoro, ho una famiglia, le cose vanno abbastanza come vorrei, e dici va bene. Quando comincio a pensare che ho lasciato la mamma, il fratello, la sorella e quello ha un problema, l'altro ti chiama, allora devi fare qualcosa, devi dare una mano. Alla fine dei conti quando apri le mani per vedere cosa hai fatto, vedi che potevi vivere normalmente, forse, anche a casa tua; togliendo la macchina, il telefono, questo, quello, quell'altro. Potevi sistemare le cose diversamente. Solo che il sogno ti ha spinto talmente che non hai visto certe cose. Perché bisogna anche dire la verità: viviamo in una società dove non ti puoi permettere di fare più di tanto. Quando sei fuori di casa verso la tua terra c'è anche un po' di risentimento. Ti accorgi che a casa tua "potevi" però non ti è stato permesso, per tanti motivi. Quando sei qua dici "posso, ma non sono a casa mia". La terra ti può chiamare e ti può pesare. Sono due spinte contrapposte. E vai avanti sperando di tornare; è il richiamo della terra. Puoi avere tutto ciò che vuoi, ma la serenità di quando arrivo a casa mia non ha prezzo. L'attimo che vivo lì..., mi sento come liberato, sciolto: sono a casa. Quando scendo dall'aereo sono a casa. C'è un'euforia, credi di poter fare qualunque cosa, magari invece non puoi far niente. Non riesco a spiegarlo con le parole. Torna quello che dicevo prima: trovi gli amici e dopo due sere ti accorgi che non hai più niente da dire. Poi vieni via e dopo due sere ti sembra di non avere più niente da dire neanche agli amici del bar. Sei straniero due volte. Comunque anche sulla propria terra si dicono tanti luoghi comuni. E' logico che ognuno stia bene a casa, ma questo non significa molto. Quando vado dai miei nonni, sto in una capanna senza luce e questo non mi da assolutamente fastidio. Ma quando rientro, sempre nello stesso paese, ma a Duala, nella città, se una sera manca la luce vado in bestia. Quello che accetto è perché è la mia terra, lì sono nato, cambierà. Ma altri amici dicono "il meglio è la mia terra", ma allora perché viaggiare? E' la classica domanda. lo non stavo né bene, né male. Avevo il necessario, però avevo altre pretese. Pretese di cose che servono fino ad un certo punto. Amici miei che sono rimasti hanno fatto progressi che, se io dovessi tornare, dovrei ancora conqui- -stare, dovrei partire da zero. Loro sono un passo avanti al mio. Io posso avere una condizione di vita migliore della loro, però stando lì a vivere io partirei da zero, mi dovrei adeguare. Mio fratello è venuto a trovarmi dall'Africa ed è scappato subito. al primo invento tanti dicono "citi me lo fa fare" Per lui l'esistenza che faccio io è inconcepibile. Al primo inverno tanti dicono "chi me lo fa fare". Il più delle volte è una fortuna riuscire a capire questo. Non è facile vivere qua. Ci vuole grinta. Chi dorme, qua è veramente morto. Nella tua famiglia solo tu sei fuori dal tuo paese? Un fratello è in Germania. Lui è cabarettista e vive nel mondo teatrale, forse per questo riesce a cavarsela ·in Germania. E' quello più vicino a me come età. Gli altri sono a casa. Sono tutti molto più giovani di noi. Hanno anche viaggiato per lavoro, ma sono sempre tornati a casa. Mia mamma ci ha sempre voluto tutti a casa. Ha sempre sostenuto che dove mangiano quattro mangiano anche sei. Per lei siamo troppo lontani. Sente il problema dei nipoti. Ha dei nipoti, gli vuole bene da morire, ma è come vedere un gioiello in cima ad una montagna e ti dicono che è tuo. Puoi toccarlo di tanto in tanto, ma tutte le volte ti devi arrampicare per andare su a toccarlo. Manca la familiarità e questa è una cosa abbastanza difficile. Questo legame con la tua terra, significa anche un legame con una religione? Io mi definisco animista, oggi. Ma vengo da una famiglia, e da un'educazione, di Testimoni di Geova. Però, secondo me un africano non può essere cristiano. Di convinzione, forse. Ma per cultura e discendenza, no. Credo nel sole, negli alberi, in quello che vedo, nel culto degli antenati. Non voglio assolutamente dire che la mia credenza sia quella giusta, ma nell'ambito in cui vivo, in cui sono cresciuto, è valida. Come africano non mi sento cristiano, anche a livello spirituale. Quando sono di fronte al momento di preghiera, non mi ci trovo. Sono convinto che c'è un unico Dio: cambia la forma e il modo di pregarlo. il bianco lta faHo scltiavi ma già c'era la schiavitù Per esempio da entrambe le parti c'è la paura della morte. Forse è diverso il modo di accettarla. Qua trovo una realtà strana. Si fa una gran lotta per cercare di vivere il più a lungo possibile, ma io non accetto che si possa vivere fino a 150 anni nelle condizioni di un uomo che non ha più il senso del vivere. Bisogna accettare la propria morte, è la chiusura di tutto. In Africa quando uno muore si piange per il morto e dopo si fa festa. Il problema è quando si nasce, non quando si muore. Vieni per soffrire e quando muori ti togli un peso. Forse la società benestante ha sempre avuto più paura della morte. Questo vale anche per l'Africa, naturalmente. L'occidente ignora che c'erano società con re, notabili, con gerarchie ben precise, dove c'era lo schiavo. L'uomo bianco è arrivato e facilmente ha fatto schiavi, perché la schiavitù c'era già. In queste società quando moriva il capo tribù veniva seppellito con due persone vive che dovevano accompagnare il re nel viaggio. Queste cose erano tabù, segreti, di cui oggi gli anziani mi parlano perché sono un uomo. Ma non le sapevo neppure io, da giovane. La paura quindi c'è, ma viene accettata diversamente. InAfrica morire per malattia non esiste: è stato ammazzato per stregoneria, è stato venduto agli spiriti. Mia nonna, morta che aveva più di novanta anni, era stata venduta ad uno stregone, è un modo per riuscire ad accettare la morte. Naturalmente per i giovani le cose sono già cambiate. La cosa che fa paura a me non è morire, ma come morirò. So che devo morire e per la mia cultura, la mia anima, il mio spirito, dovrà essere preservato, mantenuto sempre in vita dalla mia discendenza. · Dovrà essere coltivato con sacrifici. Oggi i giovani africani stanno condannando questa forma della tradizione africana. C'è un modo di pensare totalmente diverso fra me e i miei fratelli che hanno 15 anni di meno. Loro ci credono, ma rifiutano di crederci. Ma esiste, fa parte di me e i miei nipoti non sapranno neanche che cosa è. Un segno nella tua esistenza lo lasciano, viene fuori quando sei nei momenti critici della tua esistenza, nei momenti di forte difficoltà. Ma anche qui uno magari non va mai in chiesa, ma quando ha un problema corre ad accendere la candela. Mi ricordo due anni fa, c'era il problema della siccità e ho visto qualcosa che in tanti anni in Europa non avevo mai visto: le processioni per la pioggia! Poi però si ride del primitivo che fa la danza della pioggia. Abbiamo un punto comune di partenza, ma qualcuno per strada ha perso qualcosa. ■ UNA CITTA' 9

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