Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

r ,, ~ . ~ »- ,t, ~ ,..V _,y:,'@./~;1-~P<-./; ,; /,zA,#~·M1fo.<-.- ~;, ~pf't( , ~ ..:❖:~A'~ J ; ~0 ),?, " aprile------------- 1NTERv1sTA.La mela di Adamo clte era il limite. Identità e radici, manipolazione genetica, aborto, sono i temi di cui ci parla Giannozzo Pucci. A pag. 3. "Genitori a scuola" è l'intervento di Andrea Brigliadori. "Professori in piazza" quello di Rifa Agnello. A pag. 2. DIBAfflTO. Citi siete? Citi siamo? Prendendo spunto da una leffera clte ci invitava a schierarci per le elezioni, riportiamo un dibaffifo fra di noi. "Il golpe della gente comune" è l'intervento di Rocco Ronclti. A pag. 4 e 5. AIDS. Ungiovane sieropositivo e sua moglie raccontano la loro esperienza e i problemi della lor:o vita affuale. Poi il doH. Aristide Missiroli spiega perclté per un sieropositivo è importante sfare bene. E la doH. Maria Grazia Parisi, psicologa del SERr, ci parla dei problemi del rapporto con il tossicodipendente. A pag. 6 e 7. VIAGGI. "Incontri buddisti" sono le impressioni di viaggio di Libero Casamurafa. "Gai jing", cioé estraneo, in Giappone, è l'intervento-di Stefano Guidi. Poi la "leHera" da raipei di Piero Rinaldi e "Cuba" di Roberto Poni. A pap. 8 é 9. ALPAMELA.Parlando con anziani clte vanno a ballare il liscio.-"Dei taffetà, dei velluti, dei tulle" è I' interviste a due signore clte amano ancora il ballo. A pag. I O. VECCHIE STORIE. "Estate 44" è il racconto di una delle baHaglie della Banda Corbari e del tradimento clte portò alla tragedia. Di Silvano GaleoHi. A pag. I I DI ALTRIANIMALI. Perclté continuare a cibarsi di carne? Perclté continuare a sopraffare, . torturare e uccidere? Intervista a Serena Sarfini, animalista di Rimini. A pag. I 2. INTERVISTA.A Enrico fabbri, erborista, esperto di alimentazione naturale, insegnante di yoga. A pag. I 3 ·· RELIGIONE.Nell'intervista "la tua crisi è la mia" don Pietro fabbri, ci parla della sua esperienza a rogliattigrad, dei problemi della evangelizzazione, di doffrina sociale della Cltiesa e di una società civile mortificata. A pag I 4. "Un Dio di poca fede" è l'intervento di don Sergio Sala. Epoi un intervento di Vittorio Belli sullo "zèro" da cui ricominciare. Ed Enrico Lombardi sul problema della responsabilità e libertà. A pag. I 5. STORIEDI DONNE.Nell'intervista a Elena Baredi, comunista ingraiana, caffolica, i temi ,I; I a d. I renza sessuale, della libertà d'aborto, del sogno comunista. In ultima.

QUESTONUMERO Ne abbiamo discusso di elezioni, e di come parlarne. Alla fine ne parliamo poco, eper di più, essendo un mensile, il giornale uscirà quando discuteremo già i risultati. Pazienza. Altra cosa è stata la richiesta venutaci da amici, forse in nome di un comune, e ormai lontano, passato di militanze a sinistra, di schierarci. Ora, per scelta e quindi per statuto della cooperativa, lo diciamo una volta per tutte, noi non possiamo schierarci come giornale, né, per esempio, potremo costituire liste locali o cose simili. E questo ammesso che qualcuno di noi rimanesse fulminato su un viottolo così lontano da Damasco, cosa per ora improbabile. scutere tanto anche con chi da anni, fra una partita di carte e l'altra, sputa veleno sui meridionali. E non stiamo parlando di leghe, che ancora, e per fortuna, non hanno case del popolo faraoniche. speriamo renda qualche conto, molto confusionario appunto, di queste scelte. Altre interviste, da Giannozzo Pucci, a don Pietro Fabbri, all'animalista Serena Sartini, alla ex-scout consigliere comunale ingraiana, involontariamente, ''girano attorno" a questi problemi. Altra cosa ancora èschierarsi su questioni come il razzismo, per esempio, e un po' lo stiamo facendo. Ma anche qui pensiamo che non sia prioritario aprire striscioni, ma trovare il modo di discutere. Certo che poi ci preoccupa che altri, desiderosi di affronti più che di confronti, ritornino ad aprire striscioni sotto balconi. Vedremo. Ma va detto anche che su una questione così inquietante per il nostro futuro, dovremmo diUna· scelta l'abbiamo fatta da/l'inizio. Quella a favore del dubbio a fronte di certezze, della domanda a fronte dell'affermazione, dell'autocoscienza a fronte della denuncia, della confusione mentale a fronte della chiarezza. Una scelta a favore della battaglia delle idee come della vita quotidiana, a fronte di una politica sempre più piccola. Se queste cose possono essere produttive di qualcosa, o improduttive per definizione, è la scommessa. E che poi i risultati concreti siano tanto lontani dalle intenzioni da renderle anche irriconoscibili è altra questione. Un'ultima cosa. Anche se la smemoratezza sembra uno dei rischi, il più grave forse, che corre l'uomo d'oggi, tutti abbiamo una soffitta che amiamo, perché lì raccogliamo i ricordi e le cose della nostra vita, perché lì, nello spazio di un baule, forse si raccoglie l'unica "heimat" che ci resta. Ed è bello ritrovarcisi ogni tanto, non solo a provare nostalgie, che non è affatto cosa da disprezzare, ma anche per ragionarci sopra. Ma tutt'altra cosa sarebbe scenderne all'improvviso, come fa un'indimenticabile Bette Davies sessantenne in un bel film, con gli occhioni sgranati e addobbata con il vestito del primo ballo. La discussione in 4° es>, a partire dalla lettera di un amico che, appunto, ci invita a schierarci, GENITORIA SCUOLA giunta esecutiva, con presidi, insegnanti, eccetera. Un diritto, una posizione di tutto rispetto, di cui nessuno, finite le brevi scaramucce elettorali, sa più nulla per almeno tre anni, fino al prossimo turno elettorale. Quella dei genitori, come anche di studenti e insegnanti, è una delega, non una rappresentanza. Delegati da tutti, in realtà rappresentano solo se stessi. Teoricamente aperti, i consigli, al pubblico degli "utenti", nessuno vi assiste mai. Le comunicazioni ufficiali delle loro riunioni sono "veline" burocratiche che nessuno legge; nelle classi arrivano in forma di "circolare" di cui si fa un rapidissimo riassunto. Amen. Così svuotati gli "organi collegiali" di contenuti e utilità reali (in conformità e obbedienza a un processo generai-nazionale di vanificazione delle istituzioni democratiche), chiediamoci: dove sono, realmente, i genitori? Ed ecco le voci di cui dicevo in principio. I genitori sono in corteo alla porta delle presidenze prima e dopo gli scrutini parziali e finali, convocati d'autorità oricevuti su richiesta. A fare che cosa? A giustificare, a protestare, a consigliare o ad essere consigliati, a discutere, qualche volta a riferire, denunciare, provocare, interferire. Un filo rosso e diretto il cui uso improprio scavalca udienze, consigli, insegnanti. Di cui gli insegnanti spesso portano il carico, per richiami delle presidenze su mandato dei genitori. La voce dei quali corre poi, diurna e notturna, lungo i cavi telefonici della sip, verso presidi e insegnanti, e ancora a protestare, discutere, sindacare, talvolta persino minacciare. E i genitori sono anche altrove, in consorterie e circoli privati, a fare le bucce alla scuola magari usando lo sbucciapatate di qualche insegnante "libero" e "alternativo". La professionalità, la discrezionalità, la insindacabilità del giudizio di un insegnante, vadano a farsi friggere. Nella forma e nel merito. In nome di genitori invadenti e prepotenti, di studenti massificati e approssimativi, di un governo della scuola pianificato al peggio. Nel segno sovrano di quel "particulare" il quale, anche spogliato di discrezione ed onore, resta più che mai l'anima profonda di tutti. Voci da una scuola all'altra. Episodi. Racconti. Magari soltanto chiacchiere. Ma corrono, passano, si depositano. Lasciano qualche segno di perplessità, di interrogativi, anche di polemiche. Riguardano i genitori (parlo naturalmente di scuole superiori), le forme della loro presenza nella scuola, il loro modo di intervenirvi. Diciamo subito che il loro interessamento è eticamente doveroso e formalmente obbligato in relazione al comportamento e. al profitto dei figli di cui portano la responsabilità. Lo spazio ad essi riservato per l'assunzione di questo ruolo è quello delle udienze (e qui noteremo che troppi genitori evitano le udienze individuali del mattino -un'ora settimanale messa a disposizione da ciascun insegnante- e si limitano alla udienza pomeridiana, semicollettiva e frettolosa, prevista per non più di una o due volte al quadrimestre). Ma le udienze sono poco più che una formalità: i voti, la condotta, consigli per corsi di recupero o lezioni private. Una questione, appunto, privata. Altro senso ha, o dovrebbe avere, la elezione dei genitori chiamati a far parte, con insegnanti e studenti, dei consigli di classe. Ma i consigli di classe, concepiti un tempo come organismi istituzionali ed elettivi, non hanno peso e significato alcuno. La loro convocazione formale avviene un paio di volte l'anno e il loro svolgimento si riduce a qualche informazione didattica e disciplinare fornita dagli insegnanti ai pochissimi genitori e studenti che vi partecipano: il punto dei programmi, i libri di testo, le norme per l'esame di maturità. Generalmente genitori e studenti ascoltano e basta, impazienti di passare alla seconda fase, quella appunto delle udienze. Mi è accaduto di partecipare a consigli di classe che prevedevano la elezione dei rappresentanti e a cui erano presenti solo due genitori formalmente indispensabili per la costituzione del "seggio" elettorale. Persino i candidati, concordati prima, erano assenti. E quasi nessuno ha voglia di farsi eleggere. Perché si convochi un consiglio "straordinario" deve Via MF. errati Bandini But1i,5 Te/. (0543) 7007•67 FAX 7m5 47100 FORL/ 1 upportaolla e dellaVs.attività Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc". Oggettisticapromozionale:penne, agende, articolida ufficio,calendari, portachiavi,pelletteriavaria,magliette, camicie tute da lavoro,valigette,ecc. Campagne pubblicitarie, oggettistica promozionalepersonalizzata, sponsorizzazionimanifestazioni sportive,realizzaziongi rafichedi marchie stampatipubblicitarvi ari,ecc. mpliceperesserericordati? .';daèilè il nostronumerotelefonico! succedere qualcosa di veramente problematico. E spesso neppure questo basta. So solo di qualche insegnante che si sta impegnando, anche a costo di polemiche, per il "rilancio" dei consigli e della loro ricoAosciuta ma ipotetica funzione. Intendiamoci: la "disaffezione" dei genitori è concausa e co-effetto del generale e progressivo fallimento di quegli organi di partecipazione "democratica" che l'onda lunga del sessantotto aveva fatto approdare alle rive malferme della scuola. Illusione "politica" un tempo, sono ora poco meno che zavorre del calendario scolastico. La scuola, quella di sempre, si è riappropriata dei suoi rituali interni quasi automatici. Semmai con forme ammodernate ma non meno avvertibili di autoritarismo centralistico. Al più alto livello i genitori sono presenti, come membri eletti, nei consigli di istituto: divisi in liste parapolitiche e paraideologiche, vengono eletti in numero proporzionale. Spetta ad uno di loro la presidenza del consiglio, e poi la nomina nella Andrea Brigliadori PROFISSORIIN PIAZZA A Roma, un gruppo di insegnanti, scesi in piazza per una manifestazione contrattuale, ha dato fuoco ai registri di classe. In tempi come questi, pieni di morti ammazzati, qualche foglio bruciato è poca cosa, carica, però, di valenze educative e simboliche fortemente negative. Ho sempre pensato al registro come a un diario di bordo che testimonia il percorso, le difficoltà, i successi della "navigazione" che, allievi e insegnanti intraprendono insieme ogni anno. Questa esperienza inizia lo studente alla comprensione della responsabilità personale e richiede al docente disponibilità ad una relazione educativa intensa e coinvolgente, che non deve essere utilizzata per coltivare un'immagine di potere/seduzione o perrisarcirefrustrazioni vissute in altri contesti (sindacali ad esempio). L'allievo cerca, nel rapporto con l'adulto, unarisposta positiva al senso di incompletezza e di inadeguatezza che, spesso, gli rende angosciose le relazioni interpersonali. Desidera conoscere i gesti e le parole per esprimere, non solo, avvenimenti, opinioni, che diano un senso al suo essere-nel-mondo. Cerca qualcuno che non gli ponga solo domande, perché sa che esse sono il grande strumento di chi vuole tacere: si interrogano gli altri per difendersi, per non dover dire nulla di sé. Per tutto questo, l'allievo sceABBONAFEVI glie come interlocutore privilegiato del suo percorso esistenziale il proprio insegnante. Della scuola, poi, dimenticherà facilmente quello che ha studiato, ma non la percezione del tempo e dello spazio, le sensazioni e le emozioni legate ali' essere-in-quella-situazione, la disciplina, l'atteggiamento degli adulti, il rapporto con i coetanei. Di certo, quei ragazzi di Roma hanno vissuto (e ricorderanno) il rogo dei registri di classe come un atto di disprezzo. Dal canto loro, i professori hanno creduto di esercitare un giusto diritto di lavoratori: non li ha sfiorati il dubbio che, assieme alla carta, andasse in fumo la loro credibilità di persone. Rita Agnello Come avrete notato Una Città ha compiuto un anno di vita senza aver mai pubblicato appelli al sostegno e alla sottoscrizione straordinaria. Questo perché, malgrado siamo passati nei mesi da 8 a 16 pagine, il nostro bilancio è sostanzialmente in pareggio: gli investimenti sono stati coperti dalle quote dei soci della cooperativa, i singoli numeri vengono coperti dalle vendite, dalla pubblicità e, soprattutto, dagli abbonamenti, che hanno raggiunto il numero piccolo, ma significativo, di 350. E tra questi non pochi quelli sostenitori. Dal loro rinnovo e, più in generale, dalla campagna abbonamenti dipende la possibilità di continuare. Tutto sommato, con i tanti difetti che vediamo e ci dicono, pensiamo che il nostro impegno, su base volontaria, non sia speso male. Continuare ad essere un piccolo centro di discussione e di riflessione a tutto campo, nel dialogo e nella franchezza, di cui il giornale sia il principale, ma non unico, strumento, al di sopra, o al di sotto se si vuole, di ogni "appartenenza". Questa resta la nostra unica ambizione. Così ci sentiamo autorizzati a sollecitarvi: abbonatevi, rinnovate l'abbonamento, regalatelo ad un amico. E' l'unico modo per far vivere questo giornale. Dal mese di aprile il costo di una copia di Una Ciffàpassa a 1. 2.500. Di conseguenza l'alJIJonamento costa ora 25.000 lire. CO NTIRVISTA Giannozzo Pucci, quarantanovenne di Fiesole, è stato una figura di spicco del movimento verde, di cui ha rappresentato l'ala "fondamentalista" e comunitaria, ed un ascoltato esponente del movimento nonviolento. Da qualche tempo appartatosi da ambedue, nella sua riflessione si distingue per la radicalità delle idee, tanto su questioni già da tempo all'ordine del giorno nei dibattiti ecologisti, quali l'ingegneria genetica, quanto su problemi che, come l'aborto, la libertà di scelta, l'identità delle singole persone, sono certamente centrali nella concezione che gli individui dei paesi moderni hanno di se stessi. E' principalmente su queste tematiche che, approfittando della sua venuta a Forlì per una conferenza, lo abbiamo intervistato. E' possibile, secondo te, un incontro fra le esigenze di rispetto dell'uomo e della natura e tecnologia e conoscenza scientifica? Dando per scontata l'ipotesi, che scontata non è, dell'evoluzione della specie, gli scienziati stessi dicono che una pianta originaria avesse una memoria genetica molto più ricca delle piante che poi si sono realizzate da lei. Una sorta di maggiore vicinanza ali' infinito della pianta originaria rispetto alla pianta specializzata. Questa è una cosa che è diventata ancora più evidente da quando è stato l'uomo a scegliere, selezionare. Però l'uomo semplice di una volta cosa faceva? Coltivava i campi, se prendiamo come esempio il contadino. Il contadino guardava, stagione dopo stagione, le piante che nascevano, come venivano, il gusto, il sapore, l'odore e legava tutto questo alla sua cultura. Sceglieva e selezionava i semi. Un tempo l'uomo aveva una centralità, un dominio dello spazio, degli elementi naturali. Ma in una certa epoca questa esperienza di vita è stata sostituita dal sospetto perché è nata una scienza che ha cominciato a dire: "no, quello che vedi non è vero". E allora qual è la vera realtà: quella che viviamo, che tocchiamo, oppure dietro c'è· un'altra realtà invisibile? Ma da questa realtà invisibile è venuta fuori la bomba atomica ed essa ha scosso profondamente l'inconscio collettivo. Che non è altro che quella sorta di ambiente mentale che abbiamo dentro sin da bambini, che ci portiamo dietro tutta la vita e che ci dà sicurezze, punti di riferimento, che ci fa pensare al futuro della nostra vita. Ecco, questo è stato incrinato dalla bomba, dal frutto dei sospetti con cui si è guardato alla realtà circostante. il paese dei IJalocclti, di cioccolato e pan di zuccltero L'uomo semplice non c'è più, è stato sostituito dallo scienziato il quale, dalla scoperta dell'America in poi, ha cominciato a "scoprire". Si fanno studi per scoprire che il latte della madre per il neonato è il · migliore, oppure che il formaggio è la migliore esca per i topi... Oppure per reinventare il mondo e trasformarlo nel paese dei balocchi, dove tutto è di cioccolato e pan di zucchero. Questa è l'ideologia che sta al fondo del benessere della nostra civiltà: abolire ogni limite, ogni legge, e avere le case di pan di zucchero, esaudire ogni desiderio. Solo che cosa succede ora? Abbiamo costruito un mondo materialista e non siamo più capaci nemmeno di assaporare le cose fondamentali. La manipolazione genetica permetterà di combinare le varie piante per trovare il cibo perfetto, ma secondo quale concetto di perfezione? Io sento che in realtà c'è un profondo non rispetto degli esseri umani e dell'ambiente in cui viviamo. Con la manipolazione genetica si è cominciato a poter tagliare il codice genetico e ricombinarlo a piacere. Questa è l'ultima fase della cosiddetta evoluzione, del passaggio dall'ambiente naturale- in cui l'uomo semplice viveva ad un ambiente inteso come un tubo nero attraverso cui si guarda la realtà e la si ricostruisce secondo una specie di teoria inventata, con una sorta di moralismo che impone di fare ciò che è "più bello", ciò che è "più utile". In questo percorso la manipolazione genetica sta portando a qualcosa che mi sembra sia la riedizione della schiavitù che era stata definitivamente condannata dal congresso di Vienna. Ci sono alcune idee, come quella della schiavitù, che una volta espulse dal consesso umano ritornano sotto l'aspetto del progresso e della tecnologia. Da un po' di tempo a questa parte non c'è quasi più spazio per nessuno, solo per i giovani, i ricchi, i belli, per la moda, ecc.. E la nostra identità, le nostre radici, dove sono? Io sento che è necessario porre dei limiti tassativi, che i limiti naturali vanno rispettati, che i figli si fanno solo come si sono sempre fatti, che qualunque progresso in questo campo è un'aberrazione. Ma, per esempio nei confrontidellasalute, nonsi pone un limite variabile? Sintetizzare l'insulina serve a tanti diabetici. Rispetto a questo, cosa ne pensi di un uso ''terapeutico" dell'ingegneria genetica? La nostra società è organizzata per combattere le guerre più che per la pace, quando ha un nemico mette in campo armi pazzesche per sconfiggerlo e dà l'impressione di riuscirci, perché è molto abile nel non far calcolare i costi. Ci si impegna nello sconfiggere il diabete senza porsi il problema delle cause del diabete perché costerebbe molto di più combattere quelle cause, bisognerebbe concentrarsi sull' ambiente urbano, sull'alimentazione, su tutto un tipo dì vita che comporterebbe la trasformazione della società. Se si procede cosl allora è facile dire che con l'ingegneria genetica si facilita la cura del diabete; si fa un discorso statistico, dì numeri. Di fronte ad argomenti di questo genere è molto difficile dire che se non avessimo queste facilitazioni tecnologiche saremmo costretti a impegnarci molto di più sulle cause. Se il nostro scopo fosse impegnarci nelle cause forse non avremmo bisogno di questi strumenti tecnologici e forse il modo in cui si otteneva I' insulina prima ci basterebbe. E' una questione di civiltà; si tratta di decidere se vogliamo porre fine ad una civiltà della guerra, che tende a sconfiggere i casi limite e sposta sempre più avanti il limite, e se vogliamo invece una civiltà di valori che si impegni a ridare forza a quelle attività primarie, a quei modi di vita comunitari, che non potranno mai eliminare la malattia, il dolore, la morte, ma che danno un senso alla vita. Un senso che oggi non esiste. Io non trovo alcun senso nel passare decine di anni di vita a mettere da parte soldi per andare in ferie, comprare la casa, comprare la macchina. Non trovo senso in tutto questo. Forse la maggioranza della gente lo trova. In una società che non è capace di autorestrizioni, perché non ha altri valori se non il benessere materiale, se non il denaro, il successo, è impossibile capire il valore e la felicità che può nascere dal porsi dei limiti, soprattutto quando questi limiti sono radicali. Ma questi limiti hanno a loro volta un limite o sono indiscutibili? E a chi compete decidere come "spogliarsi"? Io non credo che a livello per-

Identità e radici. Manipolazione genetica. Necessità di porsi dei limiti, anche radicali. Aborto, libertà di scelta, procreazione responsabile. Questi i problemi, centrali nella vita degli individui dei paesi moderni e specchio della foro concezione d, sé, affrontati da Giannozzo Pucci. sonale, senza una fede particolare, si possa arrivare a spogliarsi più di tanto. Esiste un livello sociale che deve fare queste scelte; la scelta di non usare la macchina la domenica può essere falla solo a livello istituzionale, non può essere fatta dai singoli, non sarebbe giusto. Le persone possono trarre felicità da una scelta pubblica di questo genere, ma solo se viene fatta a livello istituzionale. La persona che si autolimita non può trarne uguale soddisfazione; può succedere se ha una fede particolare, ma in questo caso non lo fa per autolimitarsi ma per la felicità che gli deriva da quel rapporto di fede. Dicevi che non c'è senso ad accumulare beni, ma se si parla di biotecnologie non si parla di un problema di tipo accumulatorio ma della vita in sé; della potenzialità e dei bisogni della vita in quanto tale. Come si può dire no al rimedio a malattie tremende in nome di una presunta naturalità? Il no è dovuto a due ragioni. Innanzitutto per i costi. Dicendo sì non puoi evitare che le nuove tecnologie portino ad una moltiplicazione pazzesca delle disparità e questo significa che non puoi più controllare l'uso di questo mezzo. più di tanfo male in un ambiente naturale non si può fare La tecnologia è ambiente; ha preso il posto che nel rinascimento aveva l'arte, quindi é ambiente. E una volta introdotta una determinata tecnologia nell'ambiente l'hai introdotta per iI bene e per iI male, perché l'ambiente è bene ed è male.C'è un ambiente che funziona per controllare il cattivo uso, il male, le cattive scelte dell'uomo: più di tanto male in un ambiente naturale non si può fare. Le biotecnologie incidono sul vivente e quindi si cambia l'ambiente e lo si cambia in un modo in cui l'uso buono è l'eccezione e l'uso cattivo diventa la regola. Questa è la conferma che il buono che questa tecnologia potrebbe portare è incommensurabilmente meno del male che porterà. Poi c'è una ragione etica per il no, una ragione che riguarda l'identità. Nel caso di un bambino affetto dalla sindrome di Down non so se intaccando quella sindrome con un cambiamento genetico non si vada anche ad intaccare qualcosa della sua identità. Mentre se io trovassi un modo naturale di curare la sindrome di Down la sua identità rimarrebbe intatta. E questo solo perché il rimedio è naturale? No, perché non supera la soglia della manipolazione dei geni. Allora l'identità è solo una questione di tipo genetico, biologico? sono importanti solo biologicamente, l'uomo è come un albero rovesciato che respira dalla chioma. l'uomo è un albero rovescialo, con le radici nella chioma E' come se avesse le sue radici nel pensiero. Ma ognuno di noi non ha qualcosa che trascende il nostro essere biologico? L'avere le radici nella chioma: non è questo che ci dà l'identità? No, l'identità è qualcosa di molto più profondo. La tesi secondo cui l'embrione diventa persona nel momento in cui comincia a sentire dolore, a capire il mondo, a provare sentimenti e desideri, postula il primato della conoscenza scientifica e questo è incompatibile con il rispetto dell'essere umano e di tulle le forme viventi. Le tecniche di fecon9azione in vitro, l'impiego degli embrioni a scopo di ricerca, negandone l'oggettivo carattere umano e sottoponendoli ad obbiettivi ed ambienti arbitrari, contrasta col principio che un essere umano non debba essere a completa disposizione di altri. L'unica tutela reale in questo campo è riconoscere il diritto-dovere alla formazione e allo sviluppo degli embrioni nel grembo materno e alla più ampia e illimitata tutela della donna da ogni forma di soggezione alla tecnica. Ogni cellula capace di riprodurre un essere umano intero è inscindibilmente legata all'io, cioè ali' essenza della personalità dell'individuo cui appartiene. La possibilità di rendere le decisioni scienti fiche così potenti sulla sostanza vivente deriva da tecniche capaci di ·esercitare una profonda violenza sulle cellule germinali, applicando nel loro mondo microscopico quei principi schiavistici da tempo banditi dal mondo visibile. Ogni interferenza inquesto campo lede il diritto al libero sviluppo della personalità e della coscienza perché introduce elementi immateriali di distorsione irreversibile dell'identità. Non c'è solo l'identità della persona, questa si può deprimere, può essere bastonata con atti che in un certo senso la negano. Tu puoi volontariamente farti schiavizzare e in tal modo deprimi la tua identità e la tua coscienza. Donare gli spermatozoi non è un allo di un livello molto alto da un punto di vista umano e culturale, non è un atto che potenzia l'identità dell'io. Gli spermatozoi devono fare la fine che fanno, seguire il loro corso naturale. Non devono essere utilizzati per altri scopi, questo lede l'identità, lede il tuo io, l'intimità più profonda. Allora ritorno al discorso delle nascite: naturali fino a che punto? Fino all.'aumento scellerato degli esseri umani sulla terra? Siccome noi siamo incapaci di autorestrizioni abbiamo totalmente eliminato dal nostro panorama l'idea, il significato, il valore e la ricchezza della parola castità, che è quasi un tabù nel nostro mondo. per i bisogni si dà un'unica risposta: soddisfare i bis~gni L'identità è qualcosa che io non so definire, ma che ruota attorno alla trasmissione della vita. Quindi io non posso superare la soglia della trasmissione della vita con interventi scientifici. Non posso sottoporre alla conoscenza del bene e del male, tipica del mondo scientifico, le cellule umane, quelle delle piante e degli animai i. lo posso selezionare piante e animali, scegliere il seme di questo o di quello, ma della pianta intera. Non devo andare a scavare nel DNA per scegliere questo o quel pezzo. Noi abbiamo radici che non Soprattutto nel campo del sesB I 110eca G1 o B1a so la tendenza, la civiltà, è tale per cui il sesso è quasi un obbligo. Il desiderio fisico è come separato dai rapporti fra le persone: è come dire ho bisogno di bere ed è una cosa separata, ho bisogno di mangiare ed è una cosa separata, ho bisogno di andare al gabinetto ed è una cosa separata, ho bisogno di sesso ed è una cosa separata. E ad ognuno di questi bisogni è obbligatorio rispondere in un'unica maniera che è quella di soddisfare il bisogno. Questa cosa, fra l'altro, intacca i rapporti di vera; profonda, sostanziale uguaglianza fra i sessi, non in senso materiale, ma in senso di dignità e di dialogo profondo. Perché si è portati a considerare l'altro sesso come una miniera per soddisfare un bisogno sessuale che non può mai essere negato. E' la civiltà dei consumi e del benessere. nella nostra fisicità, nel nostro corpo, c'è tuffo l'universo Quindi è difficile una risposta, è chiaro che io sono contro ogni forma di aborto, in qualunque circostanza, ma se dico questo postulo immediatamente il problema dell'autorestrizione. Ma non per evitare di avere i figli, che sarebbe di nuovo una cosa meccanicistica, ma perché esiste un valore in quella realtà. L'attrazione genitale fra le persone è solo una delle tante attrazioni e il dare troppo spazio a questa toglie spazio ad altre forme di dialogo profondo che ci possono essere anche fra marito e moglie. Livella idue ad un tipo di amore che, fral'ahro,èmolto recente. Direi che questo tipo di sessualità non è mai riuscito a riscattarsi dal moralismo vittoriano; in un certo senso è quasi il suo opposto, è l'altra faccia della medaglia. Non per dare dei modelli, ma il problema del controllo delle nasci te fra i popoli indigeni non è mai esistito. Certi popoli usano delle forme di autorestrizione pernoi inconcepibili: per esempio, fra gli Hunza quando la donna si accorgeva di essere incinta lasciava il letto del marito e ci tornava solo dopo aver svezzato il figlio, e non sono morti di malinconia. Non li voglio santificare, altre popolazioni avevano altre risposte, ma erano risposte culturali, legate ad un valore e non una cosa funzionale e basta. Tornando alla questione dell'identità, la valenza che dai all'embrione non dà per scontato che si sappia cosa sia nella sua essenza quell'embrione; non postula che l'essere umano sia essenzialmente un animale incapace di pensiero critico? Tocchi un punto chiave, perché nella nostra fisicità, nel nostro corpo,c'ètuttol'universo. Una delle contraddizioni principali in cui mi sembra che la Chiesa sia caduta è proprio quella di ammettere nei confronti della natura e degli animali quello che non si ammette nei confronti dell'uomo, per esempio nel campo della manipolazione genetica. Cosl facendo si apre una porta, che poi non si può più chiudere, per la manipolazione dell'uomo. Perché l'uomo ha le stesse leggi, sul piano biologico, delle piante, degli animali. Quindi quando guardo un'embrione al primo stadio, ed è la cellula uomo, io contemporaneamente ci vedo entrambe le realtà: c'è tutto l'uomo dentro. Certo non c'è l'uomo che ha fatto le scelte, CO ancora non le ha fatte. Ma non è questa capacità di fare scelte che ci definisce come uomini? Ci definisce nei confronti delle responsabilità della nostra vita. Noi non siamo responsabili di quello che ci avviene, non abbiamo fatto scelte. Non abbiamo esercitato la libertà, ma potenzialmente l'abbiamo tutla, intatta. Siamo nelle mani del Padre come un indigeno nel corpo della terra, perché siamo liberi: è il momento di massima libertà e felicità come esseri. la scelta vale con la bilancia pari, quando costa veramente Quando il bambino nuota nel liquido amniotico sperimenta una libertà, una felicità materiale che poi ricercherà sempre, che cercherà di riattualizzare nel corso della vita e nel contallo con la terra, con le stagioni, col profumo dell'erba, con gli alberi, gli uccelli,(' aria, sentirà ritornare queste pulsazioni, queste ondate provate in quel momento. Forse difficilmente le riproverà come in quel momento, perché nel resto della vita, nel momento della coscienza e della scelta, avrà sempre il pensiero della morte che lì non ha. E' come la pianta ali' origine, vicino alla creazione; è il momento in cui è più vicino al dito di Dio, è come se fosse nel paradiso terrestre, prima della caduta. Ma questa idea di una libertà originaria, fetale, che sempre ricerchiamo non è simile a quella che sta alla base del pensiero tecnologico, che ricerca il paradiso in terra? Non può darsi che gli esseri umani non siano di per sé liberi e che, proprio perché coscienti della morte, siano da questa consapevolezza obbligati a fare scelte, ed è qui che si gioca la nostra umanità e la nostra possibile libertà? No, perché allora Adamo non sarebbe stato uomo, non sapeva cosa significasse dover morire, ma era libero e ha scelto di mangiare il frutto proprio perché era Iibero. E perché c'era iI frullo? Il frullo, diciamo, era il limite. Ma se non sappiamo di dover morire è ovvio che mangiamo il frutto e lo mangiamo senza neanche sapere il perché; non è solo sapendo di dover morire che posso decidere come vivere, quindi anche di limitarmi? Nel momento in cui è nell'utero il bambino non si trova nella condizione di poter scegliere, ma nemmeno a sei, dieci anni. L'educazione dei genitori avviene tutta nel primo anno; in questa società, poi, le scelte vengono spostate sempre più in avanti. Ma questo non vuol dire che non sia uomo anche prima. La vita si gioca quarrdo la bilancia è pari, quando sei proprio tu che scegli. Son convinto che sia così. Quella vecchia morale che prendeva per buono il pentimento di chi, libertino per tutta la vita, dopo averne fatte di colle e di crude ali' ultimo chiamava il prete e si pentiva, non mi convince proprio. Non credo che abbia ancora la possibilità di giocarsi le· sue carte: la scelta vale quando la bilancia è pari, quando costa veramente, quando sei proprio tu, e non hai giustificazioni. Se hai giustificazioni è quasi una non scelta. La scelta giusta è un po' più annebbiata di quella non giusta che, invece, è sfavillante, che ti attrae o ti impaurisce. Allora la bilancia è veramente pari, perché pende più da una parte. La scelta è l'atto sovrano della vita, quello su cui ci si gioca la vita e non si vorrebbe perché costa e perché le conseguenze lì per lì non sembrano nemmeno tanto grandi, mentre dopo sono enormi. Ecco perché non mi convincono le concezioni dell'India sulla reincarnazione. Se ti reincarni quella non è scelta, perché qualunque cosa fai poi ti reincarni, e allora? Per me è la scelta che fa l'uomo. Ma come posso sapere se uno ha scelto e quindi se è veramente uomo? Non posso dire uomonon uomo, perché non posso giudicare. Non posso giudicare se uno ha fatto la scelta buona o cattiva, se l'ha fatta o non l'ha fatta. Come faccio a saperlo? Posso giudicare a partire da me, dal mio rapporto con la vita e con la morte ... Questo è molto giusto. Significa che guardi al problema come guardare a te stesso. Ma se fai così, vai a chiedere a uno rimasto a letto per tutta la vita, per non so quale malattia e morto a trent'anni; vagli a domandare se valeva la pena di vivere. A chi dice, per giustificare l'aborto terapeutico, che nel tal caso non valeva la pena di vivere, io chiedo: come lo sai? Una delle conseguenze più gravi dell'aborto legalizzato sta, nella generalità dei casi, anche da parte di medici che si dicono cattolici, nel tipo di considerazione che c'è negli ospedali per i malati, per certi tipi di malati, per la morte e per la vita. Qualunque cosa farai, non toglierai mai i disastri, le sofferenze, quelle ci saranno sempre. Ma quello che hai intaccato ammettendo l'aborto legalizzato è irrimediabile. Vi faccio l'esempio di una cosa capitata a me. Una mia zia molto anziana era in ospedale, soffriva di cuore. Anch'io di fronte ai douori ero in soggezione, non mi sono accorto di quello che succedeva. Lei dava noia, si voleva alzare. Siccome dava noia le hanno dato un calmante. Io ho dello "ma ...", invece dovevo dire "No". Lei è morta e le hanno rub~o la morte. Perché le hanno dato il calmante e perché non é tornata a morire a casa: questo era quello che voleva lei. Ma queste cose si fanno così, con noncuranza e disinteresse verso il malato. Questo è conseguenza dell'aborto, perché al piano di sollo si fa l'aborto. Diventa una cultura. Ma stai dando un giudizio di fatto o di valore? • E' una sensazione che io ho. Una volta ammessa quella cosa, passato quel limite, quel1' altra cosa diventa quasi comune. Intendiamoci, poteva esserci lo stesso, ma io ho la sensazione che sia più diffusa. E l'aborto clandestino allora, non era forse peggio? Molto meglio i clandestini. Nell'aborto clandestino una donna rischia di persona. Ed è clandestino, c'è il senso del pudore della clandestinità. Però io non posso chiudere questo discorso se non dico anche ché sono a favore del ritorno alla ruota in cui abbandonare i bambini. quello clte ltai intaccato ammeHendo l'aborto è irrimediabile Sono per riaprire le ruote, perché trovo di un'inciviltà pazzesca, per un popolo, chiudere la ruota e permettere l'aborto. Quando poi si tr◊vano bambini nel bidone della spazzatura ogni settimana e ospedali che fanno attività culturale. Guadagnano soldi affiliando i loro locali bellissimi per convegni e poi li spendono in ricercatori che vanno a studiarsi libri antichi scritti al tempo in cui invece i bambini nella ruota venivano messi. Non è detto che l'aborto legalizzato tolga la consapevolezza di ciò a cui si va incon- ' tro. Come,d'altra parte,non è detto che l'aborto clandestino garantisse tutto questo pudore ... Anche questo non può compensare la violazione della morale di tutti che l'aborto pubblico ha comportato. Tu non puoi, come Stato, come società, ammettere l'aborto istituzionalizzato: mentre ammetti l'aborto ammetti una liceità sociale. Anche se poi le singole persone lo vivono.con grosse contraddizioni, c'è H fatto sociale complessivo, i giovani che crescono con questa cultura. E i quindici figli fatti senza pensarci sono meglio dell'aborto? Sì. Io sono contrario alla maternità ed alla paternità responsabile, perché nell'uomo e nella donna la paternità e la maternità devono essere irresponsabili, come lo sono per un moscerino, per un filo d' erba. Perché c'è qualcosa che è più grande di noi, a cui noi dobbiamo essere al servizio. Qui si introduce un concetto scientifico, che è quello della responsabilità, mentre questa viene dopo, al momento che il bambino nasce. Non si può programmare il figlio: o un figlio o le vacanze. Ma non è questa la procreazione responsabile, queste sono banalità. Sì, ma è un banale mollo diffuso. Quello di cui dobbiamo preoccuparci sono le idee forza. Oggi idee forza non ne esistono, anzi non esistono idee. - UNA CITTA' 3

DIBATTITO leffera Spazziamoli via! Sì, spazziamoli via, in maniera forte, chiara, inequivocabile; non meritano nulla! Neanche il rispetto che si concede al nemico, loro sono peggio. E al peggio non c'è mai fine. Hanno il potere, e lo usano per umiliarci ed angosciarci. Ma noi perché ci facciamo trattare così? Solo perché non abbiamo un progetto politico credibile che ci unisca e ci dia la forza per cambiare. O ci sono altre motivazioni? In campagna elettorale potrei cavarmela dicendo vota PDS, cosa che io faccio (preferenza Masini), ma non basta e non può bastare. Tutti capiamo che queste elezioni sono importantissime, e bisogna schierarsi e io mi schiero, è sbagliato nascondersi, far lo gnorri. Attenzione, la democrazia, il voto, la costituzione, la resistenza, secondo me sono valori insostituibili. No, non è retorica, io parto da qui! Fermatevi un attimo, non voglio e non posso farvi l'elenco delle cose di questi 20 anni. Sì, vedetevi un pessimo film, il primo tempo era cominciato bene, poi lo sapete come si è sviluppato, ora per me siamo al gran finale. Considerando che "i nostri" non arriveranno, che fare? No, non fate i furbi, non serve staccare la corrente, il film si ha da fare!! Ecco io voglio cambiare il regista, gli attori, la sceneggiatura, ma non sarà solo il voto che ci aiuterà. No, dobbiamo tornare ad essere protagonisti, rioccuparci in prima persona della nostra vita. Fermatevi una seconda volta, rispondete a voi stessi di quello che fate. Non si tratta di far rivivere un discutibilissimo passato o no! Noi che riteniamo di avere qualche cosa da dire, diciamolo! Abbiamo dei doveri con noi stessi. Smettiamola di nasconderci dietro i figli, la famiglia, le certezze che poi crollano al primo vento. Questo paese per me va alla deriva, dobbiamo inventarci il futuro e vederlo! Sì, vederlo. Io da tempo non amo più le vittime, basta, non le si può più sopportare. Dobbiamo usare gli strumenti che ci siamo dati, portarli giù dalle soffitte, ungerli ed usarli. Arriverà il tempo dove ci sarà bisogno di sentimenti forti, riscoprire valori veri, smetterla con le etichette. Sì, io sono preoccupato, non si può trasformare l'angoscia in ulcera. Bisogna ribellarsi. A Samarcanda tempo fa si parlò del "partito che non c'è". Ora Samarcanda tace (siamo in democrazia vero?), ma noi che l'ascoltiamo facciamo in modo che il 5/6 aprile nasca quel partito. Spazziamoli via! Buon lavoro. Valerio Pacchetti Da un nostro abbonalo abbiamo ricevuto una leffera clte ci invitava a schieraci nelle elezioni del 5 aprile. la riportiamo qui soHo. E' stato lo spunto per un dibaHlto fra alcuni di coloro clte fanno li giornale, per fare li punto su cosa stiamo facendo. Hanno partecipato: Fausto Fabbri, Franco Melandrl, Paolo Bertozzi, Carlo PoleHi, Gianni Saporeffi, Massimo resei Potetti. Secondo me nella lettera c'è il classico atteggiamento della forzatura elettorale, è una lettera scritta di impeto, in maniera romantica, dopo aver ascoltato i vari programmi che ti dicono: scegli questo, scegli l'altro; dopo aver respirato il clima che sta crescendo e quindi: "ritorniamo", "facciamo fronte", tutta l'attrezzatura nostalgicoideologica, "è ora di finirla", "il momento è grave" e vai. Finito il 5 aprile, un'occhiata veloce ai risultati, è andata male, è andata bene, ci vediamo alla Vecchia Stazione ... Il mio non vuole essere l'atteggiamento del radical-chic, però ho questa sensazione, anche parlando con altri: bisogna prendere partito, bisogna infervorarsi, spararle, e poi basta. ***** Melandri. lo mi chiedo se queste elezioni siano veramente quel momento cruciale che tutti, anche Valerio, sembrano credere. Mi chiedo se questo insistere sul pericolo delle Leghe o sulla crisi della sinistra sia dovuto al fatto che tutto questo si è rivelato nella sua drammaticità solo con le elezioni o se, invece, queste vengano in qualche modo drammatizzate per trovare, magari inconsciamente, una ragione per partecipare ad un rito. Un rito che, in fondo, non ha più tanto significato, ma che alla gente piace perché così si sente protagonista. A me sembra che la situazione di oggi non sia meno grave di un anno fa: è già da un pezzo che le Leghe sono ali' attacco, che il razzismo è sempre più diffuso e sfacciato, che la maggioranza della gente, soprattutto quella di sinistra, blatera spesso senza sapere quel che dice o vuole, che la sinistra è confusa. cosa fai domenica? Non so, torna mio figlio, sto con lui La drammatizzazione elettoralistica, invece di farmi saltare sulla sedia, ali' opposto mi fa sentire molto distaccato. Chi ci chiede di schierarci, soprattutto adesso perché ci sono le elezioni, in fondo si adegua al clima imperante; mi sembra che voglia la "linea" invece di cercare di capire. Noi, di fatto, ci siamo schierati più di una volta: del razzismo, dell'importanza della memoria, di quanto sia importante chiedersi che rapporto avere col diverso e chi sia il "diverso", parliamo da sempre; è su queste tematiche che è nato il giornale. Quello che ci viene chiesto da varie parti è, in fondo, di schierarci per la squadra. Ma se a me della squadra in quanto tale non interessa nulla? ***** Fabbri. L'altro giorno incontro un vecchio amico che mi fa "cosa fai domenica?". Un po' perplesso, perché qualsiasi proposta mi sarebbe parsa oltremodo strana, gli dico che tornava mio figlio dalla gita scolastica e stavo con lui.L'altro mi fa, "no, cosa fai alle elezioni". Ma a quel punto non c'era più bisogno di rispondere. Il più era stato detto. C'è stato un periodo per noi, e lo è per molti anche adesso, in cui il risultato elettorale aveva un'influenza diretta sulla nostra vita, in questo senso: uno è impegnato in un partito e buon parte della sua vita è spesa a lavorare in quel partito; come va il voto lo influenza in maniera diretta, il giorno dopo avrà difficoltà con i colleghi o gli avversari; sarà più felice, più contento; tutta una serie di rapporti personali vengono influenzati dal voto, e così è stato per noi quando eravamo impegnati in politica, quando ci interessava il voto o la riuscita di una manifestazione. Questo per dire che a noi interessano ancora le elezioni, ma quasi per forza di inerzia, però non c'è quasi più attinenza con la nostra vita sociale: che la sinistra vada bene o vada peggio non ha influenza diretta sulla nostra giornata quotidiana, ciò nonostante, è una scadenza politica che ci troviamo a seguire con interesse e con tifo. La questione del tifo secondo me andrebbe esaminata, perché a me capita, per esempio, di guardare casualmente un avvenimento sportivo e di fare il tifo non fregandomene assolutamente niente dei concorrenti. Mi piacerebbe capire quanta parte c'è di questo tifo oggi, quanta inerzia dal passato e quanto bisogno, invece, di fare di nuovo i conti con la politica, quanto è razionale un atteggiamento nei confronti di una scadenza che comunque ha delle conseguenze sul piano politico. Rispetto a questo, uno ha detto che l'ha sentito dire tutte le volte che le elezioni erano le più importanti, ad ogni elezione. Ed è vero. Un altro però ha ribattuto: attenzione, perché "attenti al lupo, attenti al lupo", ma poi il lupo arriva davvero. E anche questo è vero. Sono due cose vere, però non chiariscono il problema. Questo mi piacerebbe capire: quand'è che arriva il momento in cui a uno, se si considera cittadino della comunità in cui vive, non è consentito estraniarsi, anche se non gliene frega molto dei meccanismi della politica. Se c'è un momento, com'è successo nella storia, in cui CO succede qualcosa di grosso e ci si sente di dover intervenire. ***** Bertozzi. lo mi chiedo invece quando le elezioni non sono state importanti. Credo che, in società come le nostre, il problema delle votazioni sia importante perché mette in moto il problema della legittimazione. Sono d'accordo che iI problema delle Leghe non si pone esclusivamente adesso, ma la questione è se la Lega, pel momento in cui viene legittimata, cambi o non cambi la situazione. Affrontare le elezioni come un problema personale, porsi il problema se il 5 aprile cambierà qualcosa nella nostra vita quotidiana, è uno degli aspetti che le elezioni si portano dietro. spostano la vita? se si il problema di schierarsi c 'é Sembra che queste elezioni siano più importanti delle altre perché si paventa un cambiamento, il problema è che non ne è ben chiara la direzione. Allora mi chiedo se dar forza ad alcuni schieramenti anziché ad altri non ti cambi la vita, non solo a livello individuale, ma anche collettivo. Penso, per esempio, al problema della democrazia. Nelle società ci sono ambiti dove questa sbandierata democrazia non esiste, e sto pensando alla tanto dimenticata fabbrica, dove non esistono possibilità di utilizzare strumenti di questo tipo. Probabilmente una grande cosa come lo statuto dei lavoratori, che è diventato legge, che ha avuto la legittimazione e ha aiutato a percorrere un piccolo cammino, c'è stata perché ci sono state determinate elezioni, determinati spostamenti in un senso o nell'altro. Io trovo che sia sempre necessario porsi il problema se l'ambito politico che viene fuori dalle elezioni sposti la vita della gente o meno. Se la sposta, è giusto anche porsi il problema se schierarsi o no. ***** Melandri. E' indubbiamente vero che l' ambito politico sposta la vita di tutti, se così non fosse, non saremmo neanche qui a parlarne. Ed è indubbiamente vero che una lettura schematica di tale ambito magari ti permette di avere una bella posizione etica, ma sicuramente non contribuisce ad un tuo coerente modo di essere quotidiano. Io, per esempio, non sono più l'astensionista duro e puro di una volta, non me la sentirei più di farlo, però questo non mi porta neanche a dire che allora questa democrazia va bene. Quello che mi è chiaro è che non riesco a sentirmi partecipe dell'andazzo. Questo non vuol dire che non sia mai necessario prendere posizione, e magari anche schierarsi. Quando il nazismo comincia a distruggere le botteghe degli ebrei, uno che dica che della politica non gli interessa niente è schierato di fatto. Come dice Hans Jonas riferendosi ad Heidegger: uno che di fronte alla persecuzione degli ebrei non prenda posizione rimane certo un grandissimo pensatore, ma personalmente finisce per essere un miserabile; e se questo vale per Heidegger figuriamoci per gente comune come noi. Giustamente mi si dice che le elezioni sono nate anche per evitare che si arrivi fino a quel punto e non è che, razionalmente, non mi renda conto di certe cose, me ne rendo conto benissimo; ciò nonostante non mi sento spinto a partecipare attivamente. La qual cosa non vuol dire che non sia curioso, ma è un po' come.guardare il festival di Sanremo. li fatto è che le questioni che cerco di chiarirmi, e che mi sembra assurdo non porsi, non rientrano nella diatriba fra i partiti, nella rincorsa a tutti i costi ali 'elettore; mi sembra che siano questioni in gran parte situate su un altro piano, anche se dei punti di contatto, di travaso, con l'ambito politico attuale possono esserci. ***** Sapore/li. Prima si è parlato di "lupo". In questa lettera si parla continuamente di "noi"; a me verrebbe innanzitutto da chiedermi chi è il lupo e chi siamo noi. Qual è lo schieramento? Non è chiaro, non è scontato. La crisi della sinistra è talmente radicale che non è affatto scontato. lo sentimentalmente sono sempre stato di sinistra e morirò di sinistra. Ma non so più bene cosa significhi. Poi l'invito a schierarsi in campagna elettorale è banale perché se la cosa fosse così grave, l'invito dovrebbe essere quello di fondare un partito o di iscriversi ad un partito che c'è già. Perché tutti sappiamo che la politica è un lavoro quotidiano, un lavoro duro, i politici fanno un lavoro massacr3:nte, sanno bene che la politica è questa, è lavorare con la gente, nel bene e nel male. ora smeffiamo di menarcela, perclté c'è da menare Qui allora ci si chiede, anche come gruppo, di fare delle scelte di fondo. L'impressione che ho è che si accetti di fare autocoscienza, di rimettere in discussione tutto, ma come se fosse una cosa da fare per un breve periodo, dopodiché: ragazzi, smettiamo di menarcela, perché c'è da andare a menare. D'accordo, avete fatto il dibattito "vergognarsi di essere stati comunisti?", però adesso basta. Rimescolate, ricercate, andate a intervistare gente strana, anche non di sinistra, sì però adesso basta. Si è stati in casa per dieci anni, a leggere libri, a cercare di ricominciare a pensare, però adesso basta, mettiamo da parte il libro e andiamo a dar via dei volantini. Questo per me è folle, è un atteggiamento fuori dal mondo, che per di più con la politica ha poco a che fare, perché non capisce la realtà in cui stiamo vivendo. Lo smarrimento della sinistra e in generale del1'uomo di oggi, è talmente radicale che non si tornerà mai come prima. Basta pensare al concetto di progresso. Che uno vada in piazza a dire: "io sono progressista, seguitemi", "benissimo, spiegami cosa vuol dire". Non lo sa più e non lo può più sapere. E fa testo lo smarrimento di uno come Bobbio, il "pontefice laico" come lo chiama sarcasticamente il Sabato, che ammette che non sa più come fondare il "non uccidere". Un bel problemino. Di cui vale forse ritornare a discutere. Un problemino che non hanno poi solo i laici se è vero che, a due passi da casa nostra, in quella Europa sinistramente esaltata dal Papa a Santiago di Compostela, dei cristiani hanno ricominciato a massacrarsi anche nel nome di Cristo Re. E tornando alla lettera: la riprova dello smarrimento, se non del vuoto, è nella proposta che la lettera fa apertamente: quella di iscriversi al "partito di Samarcanda". Ora, saremmo ridotti malissimo se in Italia il partito della sinistra o il partito del progresso o il partito dei poveretti fosse il partito di Samarcanda. Personalmente trovo Samarcanda una trasmissione brutta, ma anche un po' sospetta, perché non fa altro che di videre ancora i buoni e i cattivi, perché i buoni sono sempre la piazza, perché quel vociare della piazza contro il palazzo a me fa anche un po' paura. Per non dire dell'immagine che questo "partito" dà del meridione, solo mafia, non so se per arrivare a dire che la DC è mafia, e non è vero, o, peggio, per fare audience in un nord ormai tutto antimeridionalista. ***** Tesei.lo domani sono stato invitato ad andare in una sezione del PDS. Se vado a quel dibattito a dire certe cose e prima dico: "voterò PDS però devo dire queste cose ...", ci sarà una reazione di un certo tipo, se dico: "io non voterò per il PDS per questi motivi ...", e dirò le stesse identiche cose, la reazione sarà completamente diversa. C'è una superecci tazione, nel clima elettorale i problemi vengono falsificati, la situazione stessa sa un po' di falso, anche se non è vero che le elezioni non contano, perchè quello che si muoverà nel sociale riceverà, nel futuro, un'interpretazione dal parlamento che ci sarà. Non solo, ma queste elezioni influenzeranno anche il sociale, perché se le leghe e le destre in generale avranno successo, è scontato che, per esempio, ci sarà un accanimento maggiore sulla questione degli extracomunitari, la destra si sentirà più legittimata a fare certe cose. L'invito a schierarsi della lettera, per me è rivolto a prima e a dopo dopo le elezioni. Nella sua lettera, Valerio ci richiama a un passato comune e ci invita, in nome di questo passato, ad avere anche un futuro comune, ma non riesce ad essere convincente. Noi abbiamo cominciato a dare delle risposte sul perché non ci può essere un futuro comune, però manca un pezzo, quello della riflessione ad alta voce, sul giornale, sul nostro passato. Non abbiamo mai scritto, mai reso in modo chiaro perché quel tempo è finito. Pensiamo che si capisca perché abbiamo cominciato a fare delle cose completamente diverse, che lasciano trasparire, però ho l'impressione che la gente non capisca. Dovremmo cercare di spiegarle meglio queste cose. Perché ho l'impressione che ci sia una spaccatura, un vuoto, fra il giudizio sul passato e le motivazioni che stanno dietro al nostro agire di oggi. Infatti Valerio nella lettera dice "noi" e la rivolge a dei compagni di strada, a persone che lui sente al suo fianco, non a gente che pensa di dover conquistare. Si dice: crisi della sinistra, ma noi non ne abbiamo mai discusso, non abbiamo mai detto ufficialmente che cosa, secondo noi, si stia muovendo oggi nella società e quale sia il rapporto tra crisi della sinistra e crollo del comunismo e che cosa c'entri il nostro giornale con questa situazione. Il nostro giornale a chi piace? A molti nostri ex -avversari o tuttora avversari, perché vi colgono delle riflessioni che loro avevano già fatto al loro tempo, ma quelli della nostra area fanno fatica a capire. se era per me ora l'Italia sarebbe come l'Albania Ad alcuni diamo l'impressione di non dire tutto quello che pensiamo perché ci vergognamo del nostro passato C'è, nel terzo numero, un intervista a Valerio che per me è molto bella. Lui conclude dicendo che è andato in Russia e ha visto un bambino dell'età di suo figlio che gli ha chiesto la carità; a lui è venuto da piangere. E' tornato a casa e ha detto con quelli del PCI: "ma che cosa mi avete raccontato in tutti questi anni? Ma come? Quello non era il paese per cui abbiamo lottato? Un bambino è venuto a chiedermi la carità". Sembrava il crollo di tutto. Mai ti aspetteresti adesso una lettera così. E invece, da una parte ti dice

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