Una città - anno II - n. 12 - aprile 1992

QUESTONUMERO Ne abbiamo discusso di elezioni, e di come parlarne. Alla fine ne parliamo poco, eper di più, essendo un mensile, il giornale uscirà quando discuteremo già i risultati. Pazienza. Altra cosa è stata la richiesta venutaci da amici, forse in nome di un comune, e ormai lontano, passato di militanze a sinistra, di schierarci. Ora, per scelta e quindi per statuto della cooperativa, lo diciamo una volta per tutte, noi non possiamo schierarci come giornale, né, per esempio, potremo costituire liste locali o cose simili. E questo ammesso che qualcuno di noi rimanesse fulminato su un viottolo così lontano da Damasco, cosa per ora improbabile. scutere tanto anche con chi da anni, fra una partita di carte e l'altra, sputa veleno sui meridionali. E non stiamo parlando di leghe, che ancora, e per fortuna, non hanno case del popolo faraoniche. speriamo renda qualche conto, molto confusionario appunto, di queste scelte. Altre interviste, da Giannozzo Pucci, a don Pietro Fabbri, all'animalista Serena Sartini, alla ex-scout consigliere comunale ingraiana, involontariamente, ''girano attorno" a questi problemi. Altra cosa ancora èschierarsi su questioni come il razzismo, per esempio, e un po' lo stiamo facendo. Ma anche qui pensiamo che non sia prioritario aprire striscioni, ma trovare il modo di discutere. Certo che poi ci preoccupa che altri, desiderosi di affronti più che di confronti, ritornino ad aprire striscioni sotto balconi. Vedremo. Ma va detto anche che su una questione così inquietante per il nostro futuro, dovremmo diUna· scelta l'abbiamo fatta da/l'inizio. Quella a favore del dubbio a fronte di certezze, della domanda a fronte dell'affermazione, dell'autocoscienza a fronte della denuncia, della confusione mentale a fronte della chiarezza. Una scelta a favore della battaglia delle idee come della vita quotidiana, a fronte di una politica sempre più piccola. Se queste cose possono essere produttive di qualcosa, o improduttive per definizione, è la scommessa. E che poi i risultati concreti siano tanto lontani dalle intenzioni da renderle anche irriconoscibili è altra questione. Un'ultima cosa. Anche se la smemoratezza sembra uno dei rischi, il più grave forse, che corre l'uomo d'oggi, tutti abbiamo una soffitta che amiamo, perché lì raccogliamo i ricordi e le cose della nostra vita, perché lì, nello spazio di un baule, forse si raccoglie l'unica "heimat" che ci resta. Ed è bello ritrovarcisi ogni tanto, non solo a provare nostalgie, che non è affatto cosa da disprezzare, ma anche per ragionarci sopra. Ma tutt'altra cosa sarebbe scenderne all'improvviso, come fa un'indimenticabile Bette Davies sessantenne in un bel film, con gli occhioni sgranati e addobbata con il vestito del primo ballo. La discussione in 4° es>, a partire dalla lettera di un amico che, appunto, ci invita a schierarci, GENITORIA SCUOLA giunta esecutiva, con presidi, insegnanti, eccetera. Un diritto, una posizione di tutto rispetto, di cui nessuno, finite le brevi scaramucce elettorali, sa più nulla per almeno tre anni, fino al prossimo turno elettorale. Quella dei genitori, come anche di studenti e insegnanti, è una delega, non una rappresentanza. Delegati da tutti, in realtà rappresentano solo se stessi. Teoricamente aperti, i consigli, al pubblico degli "utenti", nessuno vi assiste mai. Le comunicazioni ufficiali delle loro riunioni sono "veline" burocratiche che nessuno legge; nelle classi arrivano in forma di "circolare" di cui si fa un rapidissimo riassunto. Amen. Così svuotati gli "organi collegiali" di contenuti e utilità reali (in conformità e obbedienza a un processo generai-nazionale di vanificazione delle istituzioni democratiche), chiediamoci: dove sono, realmente, i genitori? Ed ecco le voci di cui dicevo in principio. I genitori sono in corteo alla porta delle presidenze prima e dopo gli scrutini parziali e finali, convocati d'autorità oricevuti su richiesta. A fare che cosa? A giustificare, a protestare, a consigliare o ad essere consigliati, a discutere, qualche volta a riferire, denunciare, provocare, interferire. Un filo rosso e diretto il cui uso improprio scavalca udienze, consigli, insegnanti. Di cui gli insegnanti spesso portano il carico, per richiami delle presidenze su mandato dei genitori. La voce dei quali corre poi, diurna e notturna, lungo i cavi telefonici della sip, verso presidi e insegnanti, e ancora a protestare, discutere, sindacare, talvolta persino minacciare. E i genitori sono anche altrove, in consorterie e circoli privati, a fare le bucce alla scuola magari usando lo sbucciapatate di qualche insegnante "libero" e "alternativo". La professionalità, la discrezionalità, la insindacabilità del giudizio di un insegnante, vadano a farsi friggere. Nella forma e nel merito. In nome di genitori invadenti e prepotenti, di studenti massificati e approssimativi, di un governo della scuola pianificato al peggio. Nel segno sovrano di quel "particulare" il quale, anche spogliato di discrezione ed onore, resta più che mai l'anima profonda di tutti. Voci da una scuola all'altra. Episodi. Racconti. Magari soltanto chiacchiere. Ma corrono, passano, si depositano. Lasciano qualche segno di perplessità, di interrogativi, anche di polemiche. Riguardano i genitori (parlo naturalmente di scuole superiori), le forme della loro presenza nella scuola, il loro modo di intervenirvi. Diciamo subito che il loro interessamento è eticamente doveroso e formalmente obbligato in relazione al comportamento e. al profitto dei figli di cui portano la responsabilità. Lo spazio ad essi riservato per l'assunzione di questo ruolo è quello delle udienze (e qui noteremo che troppi genitori evitano le udienze individuali del mattino -un'ora settimanale messa a disposizione da ciascun insegnante- e si limitano alla udienza pomeridiana, semicollettiva e frettolosa, prevista per non più di una o due volte al quadrimestre). Ma le udienze sono poco più che una formalità: i voti, la condotta, consigli per corsi di recupero o lezioni private. Una questione, appunto, privata. Altro senso ha, o dovrebbe avere, la elezione dei genitori chiamati a far parte, con insegnanti e studenti, dei consigli di classe. Ma i consigli di classe, concepiti un tempo come organismi istituzionali ed elettivi, non hanno peso e significato alcuno. La loro convocazione formale avviene un paio di volte l'anno e il loro svolgimento si riduce a qualche informazione didattica e disciplinare fornita dagli insegnanti ai pochissimi genitori e studenti che vi partecipano: il punto dei programmi, i libri di testo, le norme per l'esame di maturità. Generalmente genitori e studenti ascoltano e basta, impazienti di passare alla seconda fase, quella appunto delle udienze. Mi è accaduto di partecipare a consigli di classe che prevedevano la elezione dei rappresentanti e a cui erano presenti solo due genitori formalmente indispensabili per la costituzione del "seggio" elettorale. Persino i candidati, concordati prima, erano assenti. E quasi nessuno ha voglia di farsi eleggere. Perché si convochi un consiglio "straordinario" deve Via MF. errati Bandini But1i,5 Te/. (0543) 7007•67 FAX 7m5 47100 FORL/ 1 upportaolla e dellaVs.attività Orologi da parete e da tavolo, oggettistica da scrivania, articoli promozionali "ad hoc". Oggettisticapromozionale:penne, agende, articolida ufficio,calendari, portachiavi,pelletteriavaria,magliette, camicie tute da lavoro,valigette,ecc. Campagne pubblicitarie, oggettistica promozionalepersonalizzata, sponsorizzazionimanifestazioni sportive,realizzaziongi rafichedi marchie stampatipubblicitarvi ari,ecc. mpliceperesserericordati? .';daèilè il nostronumerotelefonico! succedere qualcosa di veramente problematico. E spesso neppure questo basta. So solo di qualche insegnante che si sta impegnando, anche a costo di polemiche, per il "rilancio" dei consigli e della loro ricoAosciuta ma ipotetica funzione. Intendiamoci: la "disaffezione" dei genitori è concausa e co-effetto del generale e progressivo fallimento di quegli organi di partecipazione "democratica" che l'onda lunga del sessantotto aveva fatto approdare alle rive malferme della scuola. Illusione "politica" un tempo, sono ora poco meno che zavorre del calendario scolastico. La scuola, quella di sempre, si è riappropriata dei suoi rituali interni quasi automatici. Semmai con forme ammodernate ma non meno avvertibili di autoritarismo centralistico. Al più alto livello i genitori sono presenti, come membri eletti, nei consigli di istituto: divisi in liste parapolitiche e paraideologiche, vengono eletti in numero proporzionale. Spetta ad uno di loro la presidenza del consiglio, e poi la nomina nella Andrea Brigliadori PROFISSORIIN PIAZZA A Roma, un gruppo di insegnanti, scesi in piazza per una manifestazione contrattuale, ha dato fuoco ai registri di classe. In tempi come questi, pieni di morti ammazzati, qualche foglio bruciato è poca cosa, carica, però, di valenze educative e simboliche fortemente negative. Ho sempre pensato al registro come a un diario di bordo che testimonia il percorso, le difficoltà, i successi della "navigazione" che, allievi e insegnanti intraprendono insieme ogni anno. Questa esperienza inizia lo studente alla comprensione della responsabilità personale e richiede al docente disponibilità ad una relazione educativa intensa e coinvolgente, che non deve essere utilizzata per coltivare un'immagine di potere/seduzione o perrisarcirefrustrazioni vissute in altri contesti (sindacali ad esempio). L'allievo cerca, nel rapporto con l'adulto, unarisposta positiva al senso di incompletezza e di inadeguatezza che, spesso, gli rende angosciose le relazioni interpersonali. Desidera conoscere i gesti e le parole per esprimere, non solo, avvenimenti, opinioni, che diano un senso al suo essere-nel-mondo. Cerca qualcuno che non gli ponga solo domande, perché sa che esse sono il grande strumento di chi vuole tacere: si interrogano gli altri per difendersi, per non dover dire nulla di sé. Per tutto questo, l'allievo sceABBONAFEVI glie come interlocutore privilegiato del suo percorso esistenziale il proprio insegnante. Della scuola, poi, dimenticherà facilmente quello che ha studiato, ma non la percezione del tempo e dello spazio, le sensazioni e le emozioni legate ali' essere-in-quella-situazione, la disciplina, l'atteggiamento degli adulti, il rapporto con i coetanei. Di certo, quei ragazzi di Roma hanno vissuto (e ricorderanno) il rogo dei registri di classe come un atto di disprezzo. Dal canto loro, i professori hanno creduto di esercitare un giusto diritto di lavoratori: non li ha sfiorati il dubbio che, assieme alla carta, andasse in fumo la loro credibilità di persone. Rita Agnello Come avrete notato Una Città ha compiuto un anno di vita senza aver mai pubblicato appelli al sostegno e alla sottoscrizione straordinaria. Questo perché, malgrado siamo passati nei mesi da 8 a 16 pagine, il nostro bilancio è sostanzialmente in pareggio: gli investimenti sono stati coperti dalle quote dei soci della cooperativa, i singoli numeri vengono coperti dalle vendite, dalla pubblicità e, soprattutto, dagli abbonamenti, che hanno raggiunto il numero piccolo, ma significativo, di 350. E tra questi non pochi quelli sostenitori. Dal loro rinnovo e, più in generale, dalla campagna abbonamenti dipende la possibilità di continuare. Tutto sommato, con i tanti difetti che vediamo e ci dicono, pensiamo che il nostro impegno, su base volontaria, non sia speso male. Continuare ad essere un piccolo centro di discussione e di riflessione a tutto campo, nel dialogo e nella franchezza, di cui il giornale sia il principale, ma non unico, strumento, al di sopra, o al di sotto se si vuole, di ogni "appartenenza". Questa resta la nostra unica ambizione. Così ci sentiamo autorizzati a sollecitarvi: abbonatevi, rinnovate l'abbonamento, regalatelo ad un amico. E' l'unico modo per far vivere questo giornale. Dal mese di aprile il costo di una copia di Una Ciffàpassa a 1. 2.500. Di conseguenza l'alJIJonamento costa ora 25.000 lire. CO NTIRVISTA Giannozzo Pucci, quarantanovenne di Fiesole, è stato una figura di spicco del movimento verde, di cui ha rappresentato l'ala "fondamentalista" e comunitaria, ed un ascoltato esponente del movimento nonviolento. Da qualche tempo appartatosi da ambedue, nella sua riflessione si distingue per la radicalità delle idee, tanto su questioni già da tempo all'ordine del giorno nei dibattiti ecologisti, quali l'ingegneria genetica, quanto su problemi che, come l'aborto, la libertà di scelta, l'identità delle singole persone, sono certamente centrali nella concezione che gli individui dei paesi moderni hanno di se stessi. E' principalmente su queste tematiche che, approfittando della sua venuta a Forlì per una conferenza, lo abbiamo intervistato. E' possibile, secondo te, un incontro fra le esigenze di rispetto dell'uomo e della natura e tecnologia e conoscenza scientifica? Dando per scontata l'ipotesi, che scontata non è, dell'evoluzione della specie, gli scienziati stessi dicono che una pianta originaria avesse una memoria genetica molto più ricca delle piante che poi si sono realizzate da lei. Una sorta di maggiore vicinanza ali' infinito della pianta originaria rispetto alla pianta specializzata. Questa è una cosa che è diventata ancora più evidente da quando è stato l'uomo a scegliere, selezionare. Però l'uomo semplice di una volta cosa faceva? Coltivava i campi, se prendiamo come esempio il contadino. Il contadino guardava, stagione dopo stagione, le piante che nascevano, come venivano, il gusto, il sapore, l'odore e legava tutto questo alla sua cultura. Sceglieva e selezionava i semi. Un tempo l'uomo aveva una centralità, un dominio dello spazio, degli elementi naturali. Ma in una certa epoca questa esperienza di vita è stata sostituita dal sospetto perché è nata una scienza che ha cominciato a dire: "no, quello che vedi non è vero". E allora qual è la vera realtà: quella che viviamo, che tocchiamo, oppure dietro c'è· un'altra realtà invisibile? Ma da questa realtà invisibile è venuta fuori la bomba atomica ed essa ha scosso profondamente l'inconscio collettivo. Che non è altro che quella sorta di ambiente mentale che abbiamo dentro sin da bambini, che ci portiamo dietro tutta la vita e che ci dà sicurezze, punti di riferimento, che ci fa pensare al futuro della nostra vita. Ecco, questo è stato incrinato dalla bomba, dal frutto dei sospetti con cui si è guardato alla realtà circostante. il paese dei IJalocclti, di cioccolato e pan di zuccltero L'uomo semplice non c'è più, è stato sostituito dallo scienziato il quale, dalla scoperta dell'America in poi, ha cominciato a "scoprire". Si fanno studi per scoprire che il latte della madre per il neonato è il · migliore, oppure che il formaggio è la migliore esca per i topi... Oppure per reinventare il mondo e trasformarlo nel paese dei balocchi, dove tutto è di cioccolato e pan di zucchero. Questa è l'ideologia che sta al fondo del benessere della nostra civiltà: abolire ogni limite, ogni legge, e avere le case di pan di zucchero, esaudire ogni desiderio. Solo che cosa succede ora? Abbiamo costruito un mondo materialista e non siamo più capaci nemmeno di assaporare le cose fondamentali. La manipolazione genetica permetterà di combinare le varie piante per trovare il cibo perfetto, ma secondo quale concetto di perfezione? Io sento che in realtà c'è un profondo non rispetto degli esseri umani e dell'ambiente in cui viviamo. Con la manipolazione genetica si è cominciato a poter tagliare il codice genetico e ricombinarlo a piacere. Questa è l'ultima fase della cosiddetta evoluzione, del passaggio dall'ambiente naturale- in cui l'uomo semplice viveva ad un ambiente inteso come un tubo nero attraverso cui si guarda la realtà e la si ricostruisce secondo una specie di teoria inventata, con una sorta di moralismo che impone di fare ciò che è "più bello", ciò che è "più utile". In questo percorso la manipolazione genetica sta portando a qualcosa che mi sembra sia la riedizione della schiavitù che era stata definitivamente condannata dal congresso di Vienna. Ci sono alcune idee, come quella della schiavitù, che una volta espulse dal consesso umano ritornano sotto l'aspetto del progresso e della tecnologia. Da un po' di tempo a questa parte non c'è quasi più spazio per nessuno, solo per i giovani, i ricchi, i belli, per la moda, ecc.. E la nostra identità, le nostre radici, dove sono? Io sento che è necessario porre dei limiti tassativi, che i limiti naturali vanno rispettati, che i figli si fanno solo come si sono sempre fatti, che qualunque progresso in questo campo è un'aberrazione. Ma, per esempio nei confrontidellasalute, nonsi pone un limite variabile? Sintetizzare l'insulina serve a tanti diabetici. Rispetto a questo, cosa ne pensi di un uso ''terapeutico" dell'ingegneria genetica? La nostra società è organizzata per combattere le guerre più che per la pace, quando ha un nemico mette in campo armi pazzesche per sconfiggerlo e dà l'impressione di riuscirci, perché è molto abile nel non far calcolare i costi. Ci si impegna nello sconfiggere il diabete senza porsi il problema delle cause del diabete perché costerebbe molto di più combattere quelle cause, bisognerebbe concentrarsi sull' ambiente urbano, sull'alimentazione, su tutto un tipo dì vita che comporterebbe la trasformazione della società. Se si procede cosl allora è facile dire che con l'ingegneria genetica si facilita la cura del diabete; si fa un discorso statistico, dì numeri. Di fronte ad argomenti di questo genere è molto difficile dire che se non avessimo queste facilitazioni tecnologiche saremmo costretti a impegnarci molto di più sulle cause. Se il nostro scopo fosse impegnarci nelle cause forse non avremmo bisogno di questi strumenti tecnologici e forse il modo in cui si otteneva I' insulina prima ci basterebbe. E' una questione di civiltà; si tratta di decidere se vogliamo porre fine ad una civiltà della guerra, che tende a sconfiggere i casi limite e sposta sempre più avanti il limite, e se vogliamo invece una civiltà di valori che si impegni a ridare forza a quelle attività primarie, a quei modi di vita comunitari, che non potranno mai eliminare la malattia, il dolore, la morte, ma che danno un senso alla vita. Un senso che oggi non esiste. Io non trovo alcun senso nel passare decine di anni di vita a mettere da parte soldi per andare in ferie, comprare la casa, comprare la macchina. Non trovo senso in tutto questo. Forse la maggioranza della gente lo trova. In una società che non è capace di autorestrizioni, perché non ha altri valori se non il benessere materiale, se non il denaro, il successo, è impossibile capire il valore e la felicità che può nascere dal porsi dei limiti, soprattutto quando questi limiti sono radicali. Ma questi limiti hanno a loro volta un limite o sono indiscutibili? E a chi compete decidere come "spogliarsi"? Io non credo che a livello per-

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