Tito Mammoli - Novembre

-16Al despota, e• un pret esto il nome inane Di libedade, e istupidito armento Farti per gli odii e per le stolte gare. Fa che non suonin più discordi gl'inni Dei virili cantori ; i tuoi poeti Sian profeti di Giuda, e il Verbo eterno Dell'intelletto uman suoni ne' canti Torna all'intégra libertà del core Ncll'àgape comune, e torna forte Ai remeati oceani del tempo Veleggiando fidente gl'infiniti ! - Popol di Roma, sor·gi, ti ridesta, E t ante gioie e tante glorie, indarno Ti fìen contese. Io t e saluto, e attendo ! Già l'aurora incorona l'or·iente; E le reliquie tue tu rivedendo lniziator sarai della pi ù eletta Fra tutte civiltà ; la terza il t empo Diralla, il mondo ne godrà qual prima. 1\'Ia già s'ode montar dall'ahe vene Sotterrane del globo, un indistinto Rauco mugliare, un rombo sordo, come D'acque lontan cadenti ch' abbian rotta La diga, come d'aure sprigionate Da le caverne per forza di mine Sulforose : quel rombo, e quel confuso Cupo ululo rassembra una ferale Formidabil minaccia. E fr·emon l'aure, E trema il suoi di Roma, e un ratto nembo Yodicoso di polve dalle interne Chiosh e sale, e si addensa, e i templi avvolge, E le magioni eccelse : e lo spavento Vien dai bronzi oscillanti entro a le torri

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