La Voce - anno II - n. 52 - 8 dicembre 1910

454 LA VOCE Germania mer,dionale, Voglio anzi (dimen· ticando per un momento l'articolo sottocitato del Ferraiis e le recenti beghe tra Bari e Venezia per le convenzioni marittime), imma– ginare un'Italia così ricca, cosl saggia e cosi forte da poter mantener.e il porto di Trieste ali' altezza tecnica necessaria e da dare anche a Trieste la sua parte nella zona di traffici contesa fra l'Adriatico occidentale e il Medi– terraneo, cioè, oggi, tra Venezia e Genova. Naturalmente, essendo uno solo lo stato, I;; protezione dovrebbe valere per tre, anzichè per due. Ma sarebbero sempre briciole. Il grosso delld torta dipende da dazi, da noli, da tariffe, da strumenti tutori di traffico in ge· neralt:', che devono agire in Boemia, in Mo· rav1a, nt:i paesi alpini austriaci ecc. Come po– trebbe l'Italia imporli a qllella qualsiasi orga-. nizzazionc statale imperante colà? (1) L' inte· resse vitale di quello stato sarebbe di favorire il suo od i suoi porti adriatici a danno di Tiie;1e. E poichè l' « hinterland > triestino non ha una sfera d,,azione nettamente distinta dal « hinterland ,. della costa orientale adria– tica in generale, basterebbe, anche a dispetto della chilometria ferroviaria, un semplice con· gegno daziario o tariffario per incanalare verso un'altra rada di quella costa (Fiume od un porto dalmato ad esempio) il nerbo dei traffici lrle· stini (2). Basterebbe anche soltanto, che Jo Stato padrone del • l11nterland » facesse una politica economica • Auviale » d1s1nteressan · dosi dell'Adriatico, per vedere sviarsi dal– l'c afnarissimo », una parte almeno, e forse fra le più redditizie, dei traffici attuali. Quest'ultimo guaiv non s1 eviterebbe nem· meno se l'Italia, passando <lall' irredentismo ali' imperialismo (e il passo è bteve) conqui– stasse tutta la costa orieutale aJnatica da Mon· falcone a Vallona! Ci vorrebbe anche la con– quista di Vienna, di Praga, di Zagabria, Jt Lubiana, di Budapest, di Leopoli e possibil– mente anche di Monaco, di Colonia e di Dresda ! Fin là credo, non è giunta per ora nem· meno la strategia militare e politica della e Grande Italia » I Il cosideno « fattore economico " contrasta dunque irreduttibilmente - e oggi più di ieri - coli' irredentismo adriatico. Dal che non voglio trarre alcuna conclusione esorbi– tante dal tema ristretto che mi sono proposto. Un vecchio e sincero irredentista amico mio, uno dei pochi irredentisti logici che • abbia conosciuto, non misconoscendo la « fa. talità austriaca » di Trieste (la chiamava cosi) finiva tulle le discussioni dicendo: « Ebbene, sia nido di pescatori, ma sia dell'Italia>, E ad un simile stato d'animo, quando è sincero, nulla vi è da obbiettare. Ci sarebbe soltanto da dubitare che possa, umanamente, essere o (1) Dico cosi, perchè oggi quell'organizza– zione è dominata dai centralismi di Vienna e di Budapest i domani potrebbe anche trasfor. marsi in una libern confederazione; il vincolo economico sussisterebbe egualmente: esso 11011 eg,1 Trieste ali' Austria come dinastia, mn ai popoli dell'Austria. Tutto ciò sempre, nella cornice dell'economia capitalistica e finchè i « confini scellerati» non sien cancellati del tutto dagli emisferi! i\la questa ultima prospettiva, ahimè, non entra nell'orizzonte delle nostre os– servazioni economiche. ~2) Un esempio solo chiarisce l'efficacia for– midabile di questi artifizì statali: L'unico traffico che, oltre a rappresentare una forte corrente di transito, rappresenta ancora u1l fortissimo com– mercio nel senso classico della parola è il traf– fico del caflè, proveniente quasi tutto dal Brasile e diretto ali' interno. Ebbene questo traffico, forse il più cospicuo degli attuali traffici triestini, si fonda tutto sur un giuoco di dazi ; i cosidetti dazi differenziali : il caflè, via Trieste e Fiume, paga minor dazio del caffè giungente per altre vie (per terra o per fiume dai porti del nord). Basterebbe che, annessa Trieste all'Italia, questo dazio di favore rimanga a Fiume o sia dato ad a!• tro porto austriaco per vedere intisichire di colpo l'unico ramo rifiorito del commercio triestino. E 11 Italia, anche con la migliore org:mizzazione portuale, nulla potrebbe fare per trattenere il traffico fuggente. Anche le più perfene e ideali comunicazioni, soccombono di fronte ai dazi, ai noli 1 allt: tariffe ecc. Si esagera perciò il valore commerciale del fattore chilometrico nelle com– petizioni ferroviarie tra porto e porto. divenire stato d'animo collettivo. E altri dubbi ancora rampollano: Constatata l'incapacità in· trinseca del!' Italia a far fiorire la costa orien• tale adriatica, la depressione economica di Trieste, conseguenza immancabile dell' annes– sione, non sarebbe insieme depressione del· l'unico cospicuo centro di italianità dell'A· driatico orientale? E, se ciò fosse, quale fun– zione eserciterebbe sui reali interessi italiani nell'Adriatico, e, in generale, sulla vita ila· liana, questa specie di « pregiudiziale annes· sionista » che, aperta o sottintesa o taciuta, per domani o posdomani, con la guerra o con la pace, è sembrata fin'ora ai più come l'unica soluzione possibile o almeno deside– rabile? Perchè, se l'irredentismo, anche ideale o potenziale, non servisse ad altro che a cir– confonder di poesia l'aumento delle spese militari e gli affari di qualche gruppo di ponticanti, non \'arrebbe i quattrini che costa. E dicendo questo, dimentico un mio partico· lare stato d'animo e mi colloco in una vi– suale prertamente e rigorosamente nazionale. E ricordo idee che in altri tempi furono so· stenute da uomini non certamente sospetti di tiepido patriottismo. Quella per esempio - che è quaranlotlesca ma forse oggi men im • matura di allora - di un accc,rdo del I' ita– lianirà col mondo slavo della costa orientale adriatica, a~cordo escludente però (e lo riconob· bero e proclamarono quei patriolli del t 848) qualsiasi anche remota riserva di annessioni italiane sulla costa orientale, necessariamente repugnanti allo slavismo perchè equivalenti a contisca d.i troppa parte di sua gente. - Ma tulio questo, che qui accenno soltanto ed altro ancora che neppure accenno, ha an– ch'esso la sua brava pregiudiziale: ed è che il problema orientale adriatico sia, in ogoi sua parte, studiato nella realtà, senza dissi~ mulazioni che non hanno corso sul mercato della storia. Ora, niente è più alieno d;lla realtà di quel tale irredentismo parolaio cui accennavo prima e che è poi l'irredentismo dominante. Altri, spero, in questo torneo ban· diro dalla Voce sulle questioni irredentistiche, cim611terà anche il fattore nazionale alla prova della realtà. Ebbene costoro, siano irre~ntisti o no, dovranno dirne delle verità dure a q1 tale irredentismo del « viva Trieste-Trento >. (La lineetta equivale nel pensiero di chi grida, al ponte fra le due città!). Dovranno mettere in chiaro sopra tutto questo : Che nella Giulia vivon da secoli due popoli; che l'uno (I' ita– liano) si è nutrito fin'ora dell'altro (lo slavo) perchè questo dormiva, ma ora lo slavo si è svegliato e non si riaddormenterà, mentre l'irredentismo parolaio, regnicolo e giuliano, pare pagato apposta per strappare il ridesto dal letto e sospingerlo nel suo cammino. Occorre che chi parla e scrive di irreden– tismo, anche professandosi tale, anzi appunto per questo, rinunzi a tutto il corredo delle frasi fatte; la < civiltà due volte millenaria>, « l'eredità di Roma •• i e barbari invasori>, ecc.; occorre che rinunti ancora a ctrte au– daci contrafT.tzioni di storia antica e... mo– derna, troppo frequenti al di là e al di qua del- 1' ludrio. (1) Dopodichè potrebbe anche darsi (1) Un solo esempio car~lteristico di ingenua impudenza : si riferisce alla Dalmazia che, nel regno, è troppo spesso scambiata o identificata con I' lstria e, nella Giulia, è tenuta sospesa nel limbo della retorica che or la comprende or la esclude dagli ideali nazionalisti. Durante le trat• tative per regolare I' uso delle lingue negli uf– fici pubblici dalmati, si discusse a lungo intorno alla bilinguità degli atti per le cinque città 1 mag. giori della provincia aventi tutte un numero di italiani superiore al cinque per cento. Ora ac– cadde che uno di questi due 5 comparve, pro– babilmente per errore, in un telegramma del Piero/o della Sera cambiato in 50. Si parlava in quel telegramma di cinque città col 50 per cento di italiani (N. 0 del 21 A1>rile 1909). -Bisogna sa• pere che, tenuto pur conto cl~i falsi statistici coi quali in Austria tutte le maggioranze si illudono di sopprimere le minoranze, non vi è città nè luogo di Dalmazia, esclusa Zara, dove gli ita– liani formino nonchè il 50 neppure il 20 per cento della popolazione. Ciò è pacifico e incon– testabile. Eppure il Piccolo non soltanto non ret• tificò Jlerrore ma vi ricamò addirittura un arti• colo (N . 0 del 23 Aprile 1909\ glorificante I' ita– lianità dalmata che dava ino1>inatamen1e tali in– dici di forza ! ! 'aturalmente, la modesta curio• Bibloteca Gino Bianco che di questo irredentismo, ritemprato in un bagno di realtà, rimanga ancora qualche cosa, almen di sincero! E sarebbe tanto di guada· gnalo per i fautori suoi come per gli avver· sari. « A11sspreche11 wns ist », Non dissimu· !arsi ciò che è: insegnava Ferdinando Lassalle che pure fu il gentil cavaliere di tante altis· sime idealità umane! Angelo Vivante. L' irredentismo e gli siavi dell' Istria. Prima di discutere sull'irredentismo istriano, e sulle sue rngioni di esistenza di fronte agli slavi bisogna rispondere a urrn domanda. C'è vera– mente un irredentismo nell'Istria, e sP. c'è, quali s0110 gl' irredentisti e quali gli anlirredentisti, cioè i partigiani del governo austriaco? Irredentisti sono quasi tulli gl' intellettuali della provincia, antirredentisti i partigiani del partito clericale, che è forte frn il popolo della costa nord-occidentale ed è figlio legittimo di quel vecchio partito conservatore-dinastico, che ha spinto il suo austriacantismo sino a classificarci 11011 italiani, ma austriaci pul:mli italiano. Ma gli abitanti della campagn<'\, la maggioranza in generale degl' italiani dell' lstri" è ben lungi dall'esser austriacante o internazionalista, ma no!1 è nemmeno irrtdentista. Trascurali gli inter– nazionalisti, chè la propaganda socialista in un pa~se dove quasi tutti son possidenti non può attecchire seriamente, austriacanti nei nostri p~esi zono, oltre ai dipendenti diretti e indiretti del governo, tutti gl' incoscienti e gl'ignoranti della politica: cioè quelli i quali credono che lo stato in cui si vive sia una autorità inviolabile, che IIAustri"' abbia una grandezza e una potenza in– sup~rabile, che la condizione più necessaria al nostro benessere sia l'essere austriaci. che l'Italia infine, sia il paese della fame e del delitto. Di siflaui cìttadini ve ne possono es'iere parecchi fra i proletari di una grande città, viventi alla ~ior– nata, esclusi dal contatto con le autorità pub· bliche, se si eccettuino i caporali dell'esercito e le guardie di p. s. onnipotenti. 1 contadini istriani invece, quasi tutti come già ho detto piccoli pos– sidenti, quindi in continuo contatto con i tribu– nali civili, gli uffici delle imposte, i consorzi eco– nomici, i comuni I le amministrazioni ferro\•iarie e stradali, hanno una idea più o meno chiara del come sia org1mizzato questo benedetto stato e quali siano le sue forze, t: sono poi irritati dall'uso nei suoi offici cli lingue che non conoscono, dan– neggiati d.111' incuria del governo verso i lJlsogni economici tiella provincia, colpiti direttRmente dalle angherie che loro si fanno perchè italhmi. D'ahro canto è viva ancora la tradizione della grandezza veneta .. (nè l'immigrazione di operai regn1coli ha testimoniato contro il benessere del– l'Italia] ed esiste, mantenuta dagli attriti continui, un'altissima coscienza nazionale; ci sono insom– ma tutti gli clementi per l'irredentismo, ma l'ir– redentismo non c'è, semplicemente perchè il par– tito liberAle dominante nella provincia, e compo– sto di borght'Si in gran p:ute irredentisti. non solo non h3 mat Jatto propaganda recisamente antiau– striaca, ma si è sempre proclamato nazionale, non irredentista, ed ha respinto energicamente e ani,;,iosamente ogni accusa di irredentismo mos– sagli dagli avversari, e ciò per il timore che il governo per difendersi dagl' italiani antidinastici, 11011 appoggiasse gli slavi, indiscutibilmente sud .. diti fedeli. Ma, e qui veniamo al problema prin .. cipale, si dirà. Gli slavi sono adunqne tanto forti che gt' irredentisti per paura di loro rinnegano i loro ideali e nello stesso tempo, tanto deboli na– sionalmen~ che si può pensare di annetterli al– i' I talii\ senza timore di una qualsiasi resistenza violentà o pacifica che sia? Questo paradosso politico sino a qualche tem• pu f.t 1 esisttva veramente: buon numero degli slavi, che sono numericf\mente J,1 maggioranza della popolf\zione, non avevano, e dd resto in parte non h,111110eme-ora, una precisa coscienza della loro 1rnzionalità. Cioè, sono slavi e nella vita priv;tH\ parlano sloveno o croato, ma devono invece trattare i loro affari in itali.tno 1 avere in italiano le rdazioui necessarie coi possidenti in gran parte italiani, e con le autorità locali, che hanno sui contadini un .-tscendente grandissimo, in italiano ancora parlare, quando per una ragione o per l'altra ~i recano nei centri maggiori della pro– vincitt; slavi in:1omma, che devono usare la lingua italiau.1 in tulle le manifestazioni della vita civile e sociale. Ora questa coazione linguistica non e cht l'eftetto della tradizionale superiorità degli italiani, che esercita o almeno esercitava finora un tt1le prestigio su parte degli Slavi da escludere in loro del tutto la coscienzà nazionale e la vo– lontà di atlermarsi stranieri e :wversari ai domi– natori, e far da loro considerare intrusi gli agi– tatori panslavisti, contro cui si fa valere il diritto dell' lstna agi' istriani. Le medesime condizioni si riscontrano del resto in alcuni gruppi d' italhrni, non molti però, es– sendo la nostra tradizione nazionale più vecchia t: più salda. Di questo anfibismo nazionale ci sono esempi in tutti i paesi dcli' !stria: ne cito uno che ebbi a constatare in persona. A Portole, uno dei castelli veneti più contesta ti, i contadini della parte me– ridionale del comune, volta verso la valle del Quie– to e soggetla alle influenze di Pinguentc e di Pisino, centri di agitazione panslavista perchè am– ministrati dai crorlti, sono di stirpe italiana, hanno nomi italiani, parlano italiano c... parteg• giano per i croati; quelli della parte settentrio– nale che subiscono l'influenza dei maggiorenti di Portole, sono ùi stirpe slava e parteggiano in gran parte per gl' italiani ; e qui appunto udii per la prima volta in una domenica tempestosa. di battaglia 11.:1zionalela frase istriana in bocca di persone che rivelavano in ogni tratto, con ogni parola, l'origine slava: Q11à semo in Istria, i cro– ati che i vadi i11 Croazia 1 sità di « un assiduo » che chiedeva quali fos. sero queste ci11que città in maggioranza o per metà italiane 1 rimase insoddisfatta. Con simili trucchi si crede di rnfTorzare la causa nazion~le ! Gli anfibi sono naturalmente un elemento poli– tico molto instabile, soggetto a<l influenze d'ogni genere: per spost.tre il carattere nazionale d'un villaggio non occorrono immigrazioni o emigra• zioni di masse; basta la fondazione di qualche banca, di qualche cooperativa, la venuta o la partenza di qualche medico, di qualche prete, di qualche maestro che s.1ppia cattivare a l'uno o l'altro p:utito i contadini, con l'autorità della sua persona, facendo balenar loro, a seconda che sia italiano o slavo, o la lettura dell'antica tradizione civile e i vant<lggi della concordia con le città che son italiane, o il dovere di affermare Pesi stenza e i diritti della propria na,:ionalità. Approfittando adunque degli anfibi, gli irreden• tisti italiani quantunque minacciati sempre dalla preponderanz?.. numerica degli Slavi e per questa timorosi, (1), hanno potuto dominare nella pro– vincia e sperare che annessa questa 1 in un tempo naturnlmente lontano, ali' Italia, sloveni e croati sarebbero facilmente assimilati ; ora però gli slavi, favoriti dal Governo che 110ncrede più al lea• lismo austriaco degli italiani, si scuotono, si or• ganizzauo e muovono con successo alla conquista delle istituzioni provinciali. È stato aflermato da molti che gl' italiani po• trebbero e dovrebbero promuovere Ja pace, col rinunciare ali' irredentismo che minaccia e oflende oltre al governo anche gli slavi, e col permettere che questi, uniti a sè tutti i fig!i della loro stirpe, prendano parte al governo della cosa pubblica come si addice al loro numero e ;tifa loro po– tenzialità economica e intellettu.l.le . lnv~ro nel campo elettorale la conciliazione è stata comin– ciata col compromesso dietale [già violato però dai croati e più tardi naturalmente anche dagli italiani] e si potrebbe continuarla con pilt suc– cesso e più utilità con la divisioue dei comuni (2). Questi son composli ora di un centro italiano, delle sue immediate vicinanze (di solito abitate da anfibi), e di varie frazioni più lontane nelle quali prevalgono gli slavi, anzi panslavisti. Ora, staccando dai ca.stelli con i loro territori pros– simi le frazioni slave, si potrebbero formar& co– nmni nei quali ogni lotta e ogni sopraftazione nazionale sarebbe esclusa. Però, e questo a dispetto di ogni huona volontà, rende almeno per ora impossibile la conciliazione: il partito slavo non è battagliero solo nelle ele• zioni e nel propugnare i l~gittiu1i suoi postulati, chè :;.nzi gli slavi, di continuo, in ispecie in luoghi indiscutibilmente italiani, fanno unrl propaganda panslavista attivissima, per mezzo di scuole e asili infantili, ma più che tutto di islituti <li ere• dito, cooperative di consumo, aziende industriali e commerciali di ogni specie con le quali, cor• rentissimi come sono negli affari, riescono facil– mente a farsi una clientela di italiani che poi per amore o per forza diventano loro partigiani. 11 p:ntito slavo tende apertamente ad assorbire gl' italiani e far dell'Istria una provincia esclusi– ~a~ente ~lava_; esso, clericale e austriacante, ha 1sp1rato a1 suoi aderenti che sia un dovere non pur politico ma religioso di cacciare in mare i ne– mici più accaniti della nazione e dello stato, e questi! orart_1aifanatizzati rinnegherebbero i capi, se essi per 11bene ciel paese accettassero la pace con gl' italiani. Di fronte a tale intransigente com– battività, agi' italiani non rimane che accettare la lotta, opponendo scuola a scuola, b,rnca a banca clientela a clientela, contestando alla propag·and~ • avversaria con tutti i mezzi ogni italiauo, un palmo di terra italiarrn.. Se mutate sono le condizioni della lott11 nazio• nate, non meno mutata è la posizione dell' irre– dentismo di fronte agli slavi. 11 paradosso a cui ho accennato, si è semplice– mente capovolto. Se oggi qu11lrhe irredentista istriano volesse o potesse delimitare i confini dellrl grande Italia non vi inchiuderebLe certo tanti slavi con la disinvoltura di un tempo; ma d'altro canto si sa che il governo, irredt!ntisti o no, tratta gli italiani da nemici, e si sa che gli slavi aiutati dallo stato e da milioni di connazionali, tosto o tardi finiranno coll'assorbirli 5C 11011mutano le condizioni politiche della provinc;:ia, e perciò quegli che oggi sono irn:d~ntisti 11011lo sono soltanto per simpatie etniche o• per ide~lità vaghe, con• traslanti con le necess•tà dd momt!nto, ma perchè nei fratelli dell'altr,1 sponda vedono l' unico soc– corso possibile contro la iuiuaccia che incombe sull'italianità de.li ' Istria. Trieste nell'ottobre del 1910. RUGGERO TIM>:us. (1) - Secondo le statistiche ufficiali, nell'Istria i te~eschi S~l10 3 per cento, gli itHliani 40. gli slavi _(slov_em f: cro~t1) .57- Te111!10 conto che, gli anfibi 1rnz1onah s1 chcluaranu 11e1censi men ti della nazionali1à per la quale partt-ggiano non di quella a cui veramente appartengono, e che sono in i{ran parte slavi di panito italiano, si può calcolare che gli slavi sieno effettivamente due terzi della po• poi azione. 0d notare però che fanno parte dell' lstri;1 am– ministrativa i distretti slavi cli Ct1steln11ovo t! Ca– stua che per essere a settentrione dt'.i Vena e de; Caldiera, non hanuo 11ulla a che f.tre con l'Istria regioue naturale, e dei quali, fu i,eià chitsto dM gl'ilali:rni il distacco dalla provincia, ma invano. (2) • N~I com!'rornesso dietale ckl 1908, accet• t::-rn la nyart1z101!e _della pop_olaz.1~11e 111 corpi, cioè classi, per ehn11nare ng111 11ttr1to nazionale n~ll.'elezione d_ei~l~i?utnti de~ singoli corpi, s'era d1v1sa la provmc1a 111 collegi di nazion;t)llà omo– gen':a o qua~i. Cosic~hè su_ 44. ~t!putati da eleg• gers!, oltre a1 vescovi (voli v1rala), dovevano es– serci: 5 deputati del grande pos~esso, italiani. 2 delle Cf\mere di commercio, it;11iani. 14 dt:lle città e borgate maggiori, italiani. 15 <lei comnni rurali, shwi. . 8_dc_llecurit: gent~ali e suffragio universale, metà italiani e metà slavi. Complessivamente '25 deputati italiani 19 slavi e .3 ve~covi (che avr~~l~ero parteggialo 'certo per gli slavi). Però la d1v1s1one delle nazionalità nei (..ollegi non tra 11~1~1ralmentenetta, e cosl avvenne che, contro_lo sp1rat,, dt;:I compromesso, gli slavi ponessero, rnvano, candidature nei collegi italiani e che gli italiani conquistassero addirittura uri colle~~o ~el _suburbio di Pola, assegnato :,gli slavi. Gli 1talrn111adunque nella dieta presente sono 29, fr~ cui uno s~cialista, gli altri libernli 113• z1onal~; però la minoranza slava può impedire sen:iphceme1_11ec~>nla sua ;tStensione ogni delibe– razione a lei ostile, ess~ndo necessaria per le più i"!lportanti deli_berazioni. della dieta, 1;, presenza d1 JZ. deputali nella giunta e quella di un as– sessore slavo dei comuni rurali. Questo compro– messo dietale non dovrebbe essere che la base della pacificazio~1e generale della provincia, però passali due amll dalla sua stipu !azione non s'è concluso_ a1_1cora_ nulla, e proprio iu questi giorni la con11111~s1on~ ltalo-sl:wa :li <::0trtpromesso nazio– nale ha n11unc1ato al suo compito avendo incon– tr:110 ditticollà insuperabili.

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