La Voce - anno II - n. 52 - 8 dicembre 1910

L'era che incomincia verso il 1860 e dura sino alla fine del secolo, ha tutte le carat– teristiche del la decadenza: è invece, in realtà, di transizione dal passato al presente dei traffici. Per il vertiginoso accelerarsi delle <:omunicazioni, il commercio, nel senso clas– sico e tecnico di intermediario fra la pro– duzione e il consumo, tende (è notorio) a dissolversi e mina gli empori. Soltanto i colossi, i grandi ocali dei grandi paesi do– minatori degli scambi mondiali, possono, con assidue cure, rimanere anche grandi mercati; la tendenza generale è la trasformazione del <:ommercio dei porti in transito: le merci sbarcate dai piroscafi vengono ingoiate dalle (erro vie o viceversa, e occorre che pi roscafì e ferrovie sien spaziosi e copiosi e scelgan le vie più brevi e costino, sopra tntto, il meno possibile; altrimenti il transito, domi– nato dalla legge ferrea del tornaconto, pren– de altre strade. Ecco la necessità di tutta una nuova serie di accorgimenti e provve– dimenti precipuamente statali : ferroviari, ma- rittimi, tariffari, portuali, organizzatori io genere. Ora accadde che, per molte ragioni che sarebbe qui ozioso enumerare, quest'opera di difesa e di tra,formazione, a Trieste si svolge lentissima e tardil'a, 8.1sti dire che la fer- 1'0via congiunge Trieste al suo « hinterland ,. appena nel 1857 e con un'unica linea irra– zionale e, per di più, dalla miopia del go– verno di Bach data in mano allo sfruttamento malaccorto di una compagnia privata e stra– niera. E ciò mentre l' " hinterland ,. trie– stino si era immensamente allargato: non son più soltanto i piccoli mercati della Carsia o della Carniola e nemmeno il solo mas– siccio alpino al di qua del Semmering; sono le due Austrie la Boemia, la Moravia, la Slesia già congiunte con la locomotiva, assai prima di Trieste, ai porti del Nord. Dovranno passare poi, dal 1857, altri 50 anni precisi prima che Trieste ottenga una seconda congiunzione ferroviaria indipendente -e statale; e sarà un tracciato, deviante dalla linea naturale dei traffici triestini, meglio atto a farli urtare con Venezia e con Genova che a vincere la più formidabile concorrenza dei ~rti del Nord ( 1). E questa mancanza o lentezza di provvedimenti positivi si accom– -pagna alla soppressione del portofranco, a luogo minacciata e finalmente attuata nel 1891. In realtà il portofr~nco non risponde ,più all'evoluzione dei traffici, ma la sua man– ,canza, in un momento in cui i ripari e i compensi sono ancora deficientissimi, costi– tuisce per Trieste una nuova causa di per– turbazione e di squilibrio economico. Vi è una fase di questa lunga crisi, in cui può sembrare che i vincoli stringenti Trieste all'Austria si vadano rallentando. È nel de– cennio 1855-65 quando manca ancora, o è appena giunta con grave ritardo la ferrovia, il massimo fattore che rinsalda l'unione della •Giulia ad organizzazioni statali non italiane. Ed è proprio a questo periodo che I' irre– -dentismo triestino neonato (nasce - in ri– tardo - fra il 1861 e il 1866} applica le sue osservazioni e, nell'ansia del desiderio, ,scambia l'angolo per una deviazione di cam– mino. Infatti i primi propagandisti del sepa– ratismo adriatico, non sfuggono, come gli attuali, il campo economico. Nell'opuscolo « Trieste, l'Istria e le loro ragioni nella ,questione italiana » (2) opuscolo, che può losco e raccogliticcio della città nuova. 11 pro– ..cesso di ricostruzione di una coscienza nazio– oa1e è lentissimo e laborioso; anzi, in qualche strato sociale, ancora manchevole. (i) li partito liberale triestino, con giusto criterio degli interessi cittadini, ma in flagrante contrasto con l'idealità politica, avrebbe prefe– rito un'altra linea congiungente meglio Trieste col suo « hinterland » statale; dunque una linea pitì austriaca! La lotta per questa linea venn_e condotta con mirabile tenacia da un nomo poli– tico Hberale, Cesare Combi. Esiste tutta una serie di suoi scritti su1l'argomento, nei quali viene rilevato il carattere più austriaco della linea da lui preferi\a. ,. ( 2 ) L'opuscolo, pubblicato in italiano e '.ran– cese, edito a Milano e a Parigi, è a_uonm~o, Ma è nolorio il nome dell'mttore: Pac,fi~o \ a: lussi, pubblicista friulano che visse molu a11m LA VOCE considerarsi come il Manifesto dell'irreden– tismo giuliano, si leggono frasi come questa: e Chiunque consideri la minima quantità di prodotti industriali importati dall'Austria e dalla Germania a Trieste, sarà forzato di ammettere che non vi è il minimo vantaggio per Trieste di essere unita all'uno o all'altro di questi Stati >. Un volume più ponderoso del prof. S. Bonfiglio (/lalia e co11jederm;io11e germ:wica, , 865} mira addirittura a dimo– strare che Trieste è porto italiano perchè « le sue relazioni commerciali più intense si svolgono con l'Italia». Ancora nel 1874, un ritardatario della statistica, il prof. A. Errera ( Trieste commercia/e ,: mari/lima) scrive tranquillamente che il commercio con l'Italia « forma la parte precipua degli scambi trie– stini >. Oggi non si oserebbe dire altrettanto nemmeno in un comizio pro Trieste Trento monarchico-repubblicano e magari anche un po' socialista-masc:onico l Egli è che, dal 1860 ad oggi, i fatti hanno dato alle speranze ed alle previsioni una duplice smentita. Non soltanto dalla lunga crfsi Trieste è uscita pi(1 che mai avvinta alla sua missione economica tradizionale, ma (nuova bizzarria di contrasti 1) è stata proprio la costituzione del regno d' !talia che ha reso Trieste un porto sempre meno italiano, nel senso commerciale della parola 1 I rapporti commerciali con l'Italia sono, per certi riguardi (e relativamente s'intende) diminuiti d'intensità; ovvero hanno cam– biato carattere. Cosi l'esportazione marittima da Trieste in Italia che nel ventennio t 866- 1886 rappresentava ancora da '15 a '17 della cifra totale, nel decennio 1899 1909 oscilla fra 1111 e 111-1 (2). Con l'industria– lizzarsi e il commercializzarsi progressivo del regno, Trieste ha quasi cessalo di essere il mercato d'approvvigionamento di molte merci che l'Italia produce da sè o ritira a mezzo dei suoi porti. Nel decennio 1850-1860, cui si richiamano il Valussi e il Bonfiglio, non soltanto il Lombardo-veneto, ma anche i ducati facevan parte del territorio doganale austriaco e Trieste ne era lo scalo e l'em• porio principale; tributari economici di Trie– ste erano pure gli stati pontifici; « purtroppo > (esclama con la sincerità del suo utilitarismo mercantile la Camera di commercio in un rapporto del 1861) « purtroppo i rivolgimenti politici hanno compromesso le nostre espor– tazioni cosi bene avviate nello stato ponti– ficio, le quali, nel triennio 1857-1859, am· montarono a 113 di tutte le merci ritirale colà d&ll'estero >. Oggi, l'Italia a Trieste ha bensi una parte abbastanza considerevole nei traffici marit– timi (nei terrestri invece, come vedremo, irrilevante) ma non diversa da quella del- 1'Egitto, della Turchia, delle Indie inglesi, del Brasile ecc.; anzi, per ragion di valore, sta molto di sotto ad alcuni di questi paesi. li valore, del resto, conta poco per questo riguardo ed è indice variabilissimo; ciò che importa è il carattere dei traffici. Ora, il traffico italiano a Trieste (come, d'altronde, il turco, l'egiziano, il greco, l'inglese ecc.) ha carattere, vorrei dire, essenzialmente « estero ». Il traffico italiano a Trieste non è cioè di natura tale da poter gu•dagnare d'intensità con l'incorporazione della Giulia ali' Italia e conseguente caduta delle barriere doganali; Italia ed Austria si toccan negli scambi a Trieste e si toccherebbero altrove se Trieste diventasse porto italiano e l'Austria se ne facesse un altro sull'Adriatico. I due articoli principali degli scambi italo-austriaci a Trieste sono i legnami e gli agrumi, i primi importati in Italia, i secondi esportati dall'Italia; ma ambedue questi traffici risenton della tendenza vittoriosa alle vie più dirette; cosi gli agrumi (l'unico mercato veramente ita· - liano superstite a Trieste) tendono a sfuggire il trasbordo dal piroscafo alla ferrovia; gli aranci e i limoni caricati in Sicilia, in luogo di venire per mare a Trieste, giungon nello stesso vagone sino al cuore della Russia e a Trieste; traduttore fu Costantino Ressmann, triestino, entrato nella diplomazia italiana e giunto sino all'ambasciata di Parigi. .. (i) Questi come tutti i dati econon11c1 son~ tratti dalle statistiche ufficiali della Camera dt Commercio di Trieste. il mercato agrumario si dibatte, per questa e per altre ragioni, in una crisi di decadenza forse inarrestabile. Questo iod ice d'alt ronde è il meno im– portante. Il diminuire dell'italianitll commer– ciale di Trieste è un nulla in confronto al ver– tiginoso accrescersi, dalla ferrovia in poi, e specialmente nell'ultimo decennio, del suo, chiamiamolo, austriacantismo economico. E qui un po' di statistica comparata appare ,·era mente rnggestiva. L'allarmante anemia dei rapporti fra Trieste e il suo e hinterland ,. slavo-tedesco, constatata dagli osser\'atori del 1861 e del 1865, sussisteva allora in realtà e poteva, sino ad un certo punto, fuorviare le previsioni specie di chi guardava i traffici con preoccupazioni di tutt'altra natura. È vero, ad esempio, che nel 1857 (l'ultimo anno senza ferrovia) il traffico complessivo terrestre ammonta a 73 milioni di fiorini contro 205 del traffico marittimo; squilibrio che denota da un lato la fiacchezza ciel transito dal « hin-. terlanù > e per I' « hinterland ,. (transito in cui si incrociano, si capisce, importazioni ma rittime ed esportazioni terrestri, o viceversa) e dall'altro la persistente importanza degli scambi sl'olgentisi fra importazione ed espor– tazione marittima cui l'Italia e i porti ita· liani partecipavano con peculiare intensità (1). In un cinquantennio la !isonomia dei traf– fici appare radicalmente mutata. I 73 milioni del traffico terrestre son diventati (cifre tonde} rnezzo miliardo, mentre i 205 del traffico marittimo hanno toccato circa la stessa c.ifra. In altre parole, il traffico terrestre si è quasi settuplicato mentre il marittimo è poco più che raddoppiato. Inoltre lo squilibrio fra le due correnti tende via, via a colmarsi. Nel 1909, dei due miliardi di corone cui am– monta in cifra tonda il \'alore dei traffici trie– stini, un miliardo e ottanta milioni spetta al· I' importazione, un miliardo e nove milioni all'esportazione. Dividendo poi il mare dalla terra, si hanno 570 milioni di importazione marittima, 500 di esportazione terrestre, 5 I 4 milioni di esportazione marittima, 508 mi• lioni di importazione terreslre. li traffico è dunque diventato precipuamente tran,ito. li flu;so e riflusso vitale del lavoro tr~stino è dato dalle materie prime che i centri industriali e consumatori del « hinter– land ,. slavo tedesco ritirano per la via di Trieste dai paesi d'Oriente e transoceanici e dalle merci che spediscono a Trieste per I' im– barco verso quei paesi; in questo traffico la parte del leone spetta ali' Austria-Ungheria, cioè al « hinterland ~ statale triestino (2). (i) Questi scambi marittimi a\·evano per sfe~a d'azione principale il bacino mediterraneo o m genere i mari europei. Ancora nel 1848 (G. Bo– NICEt,LJ: Rapporti rommerciali di Trieste co11 L'Austria, la Germania e l'estero, Trieste, Tip. \Veis) si poteva qualificare il tramco triestino come « quasi intieramente europeo». El' Adria– tico vi aveva parte prevalente; nel 1846 quasi ta metà del traffico marittimo si svolge con porti dellè due coste adriatiche, oggi austriaci od italiani; nel 1~09 1 circa un quinto. Nel 1846 su 157 milioni di tran'ico marittimo, venti milioni toccan all'America, sei o sette all'Asia e 6 q2 ali' Africa. Oggi (1909\ sur un traftico marittimo complessivo di oltre un miliardo di corone, oltrt 500 milioni si riferiscono a paesi extra-europei. Questo « mondializzarsi ,. dei traffici va a de~ trimento dell'importanza dei traffici mediterranei in cui 1' Italia, per ragion geografica, è fattore rilevante. (•l (o si deduce con particolare ev_icle_nza dagli indici delle importazioni ed esportaz10111 terrestri 1e quali, si capisce, rappresentano al1' ingrosso lo stesso blocco di merci, che poi, caricate a Trieste sui piroscafi divengono esportazioni ma– rittime e, scaricate, importazioni. Infatti, nel 1909, su 514 milioni di importazioni terrestri, tocca~10 439 (cifre tonde) all'Austria-Ungheria e alla Bosma• Erzegovina compresa già allora nel nessodo~ana– le. Ai 500 milioni di esportatione terrestre , sud– detti paesi partecipano con 44Smilioni. \"ien dopo la Germania(« hi11terhrnd » tedesco che lo stato austriaco ha interesse di attirare verso Trieste a completazione del proprio) la quale fra B 1905 e il 1909 ha aumentato la sua partec1paz1one ali' importazione terrestre da 48 a 56 milioni ed all'esportazione da 7 2 a So. L'Italia, per que– st'ultima, ha Jscillato da 5 a 13 e poi a S mi– lioni; per la prima è rimasta quasi stazionaria sugli i e milioni. Eppure è il paese confinante BiblotecaGino Bianco 453 E qui si affaccia l'obiezione degli irreden– tis1i d'oggi, 1 quali non possono più, come i loro predecessori del 1861 e del 1866 af– fermare irrilevanti i rapporti economici fra Trieste e l'Austria. Sta bene - dicono quando sono tirati per i capelli a discutere lo scabroso tema - vi concediamo che ormai Trieste non è porto italiano, anzi che è divenuto essen– zialmente, forse eccessivamente austriaco (1) 1 ma tu1to ciò non muterebbe con l'annessione: gli indus:riali e i consumatori del e hinter– land » seguiterebbero a \'enire a Trieste per i loro affari e l'Italia avrebbe il massimo in– teresse a tener loro aperta la porta. (2). Chi ragiona cosi - e molte volte per incom– petenza in buona fede - non av,·erte che, oggi piit che mai, l'arbi1ro dei destini di un porto è lo Stato padrone del « hinterland » del me· ciesimo; non è qui il luogo di discutere se sia fenomeno evolutivo oinvoluth·o.Oggi, ai poveri ed inefficaci sbarramenti di \'ie del medioevo lo stato ha sostituito un armamentario squi– sito e perfezionato che si chiama organizza– zione ferroviaria, tariffe, noli, giuoco di dazi ecc. Tries/e abbisogna più di qualsiasi altro porto di questa assidua protezione stata!~. Quando si dice che le regioni slavo-tedtscbe costituenti I' , hinterland > dell'Adriatico orientale, gravitantl, naturalmente, verso qu~– sto mare, si dice una di quelle tante cose che vanno intese col solito grano di sale. Certo le sorti dell'Adriatico sono legate precipua– mente al e hinterland» della costa orientale; ed è per questo (fra parentesi) che il vagheg– giare l'Adriatico lago italiano, è fra le molte bestialità della retorica patriottarda (3). Ma con ciò non è detto che !'e hinterland• triestino non senta, e fortemente, anche altre attrazioni e che non occorrano accorgimenti statali per paralizzarle. Accennai già al danno arrecato a Trieste dalle più sollecite comunicazioni fer– roviarie e in genere dalla più forte organizza– zione dei porti del nord (Amburgo, Brema, Stettino}; un'altra minaccia incombe più che mai, coi progressi della tecnica, sui transiti triestini: le vie Huviali, più a buon mercato delle terrestri, arricchite dall'arricchirsi con· tinuo della rete di canali; i fiumi larghi e maestosi che congiungono I' Europa centrale ai mari del nord; I' Elba ad esempio che per la Moldava attrae la Boemia ad Amburgo e fa sentire la sua influenza sino a sud di Vienna. Metto in seconda linea le minori insidie ai traffici triestini, quelle di Venezia e di Genova che si urtano con Trieste nella Svizzera e nella immediatamente con la Giulia, e la provincia di Udine viene contesa, con qualche successo, cla Trieste a Venezia per qualche articolo. (i) Proprio cosi lo qualifica (e allude all'op– portunità di farlo ph'l internazionale} un articolo nella parte economica del Piccolo della Sera (, 4 Febbraio 1910). Quella rubrica (fra parentesi! è caratteristica per l'insito contrasto fra gh ideali politici e le necessità impellenti della vita economica. ( 2 ) E qui citano di solito l'esempio di Ge– nova, e si potrebbe citare ormai anche quello di Venezia i ma non valgono; perchè e l'una e l'altra hanno 1 per base economica, un « hinter• land » italiano i il resto è appendice, inportante sì e susceuibilt! di sviluppo, ma non essenziale. (3) Prevedo un'obiezione retrospettiva: Ve– nezia. Ma Venezia, appunto perchè sulla costa occidentale, potè signoreggiare l'Adriatico inna– turalmente, ci~ soltanto a pauo di soffocare le energie economiche della costa orientale. Allora del resto, I' «hinterland» industriale della costa orientale doveva ancora nascere, mentre le re– gioni slavo-balcaniche che gravitano quasi t~tte verso quella costa erano in un caos barbanco. L'enorme inferiorità economica dell'Italia, in confronto dell'Austria, sull'Adriatico sta dunque nella natura delle cose. Non per nulla la costa orientale è, per 516 non italiana e l'occidentale, oltre :1d essere sfa,,orita dalla geografia, ha un « hinterland » assai più smilzo e conteso dal– l'attrazione mediterranea nella sua parte più ricca (Lombardia). Uno sguardo realista alla posizione adriatica dell'Italia, materiato di cifre suggestive, lo dà, al solito, ~lAGGIORINO FE~– RARIS nella Nuova Aulologia del t6 Maggio p. p. « I servizi marittimi. Per l'onore ~el!a bandiera italiana sull'Adriatico •· Ne coni1gh~ la lettura agli economisti della ~ Na"e • ed a, neo. nazionalisti, conquistatori, a chiacchiere, degli Oceani!

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