La Voce - anno II - n. 52 - 8 dicembre 1910

452 LA VOCE lenza: la signoria sul Mediterraneo: la nuova Cartagine è da distruggere. Fra l'una e l'al– tra guerra punica Roma, però, faceva star zitti i popoli balcanici. Ora bisogna sce– gliere fra l'Adriatico e il Mediterraneo. Poichè la forza delle cose trascina l'Austria verso Salonicco e spinge la Francia a stendersi lungo la sponda Gettentrionale del\' Africa; poi– chè non è in potere cieli' ftalia di opporsi in– sieme all'uno e all'altro movimento ; quale dei due importa per essa il più piccolo danno?... Basta gettare gli occhi su una carta del bacino del Mediterraneo per comprendere che il nostro grande pericolo è che la Francia s' installi di faccia e a debole. distanza dalla Sicilia, la no– stra sentinella avanzata e che in caso di guerra diverrebbe una sentinella perJuta. 11 mare Egeo è lontano; ma le .1c-:iuerinserrate fra l\·Tars.1la e il capo Bon costituiscon un vero stretto sici– liano. I pericoli che derivano dalla sua occupa– zione da parte d'una potenza come la Francia sono ben altrimenti gravi che quelli che potreb– bero sorgere quando a Salonicco si stabilisse una potenza marittima di secondo ordine. (N. JIIARSELLl). L' Italia per andare in Africa s'assicurò le spalle lasciandone padrona !"Austria. Bismarck per continuare la sua politica dell'Austria– zampino contro la Russia, doveva assicurarla dal l'occidente. Cosi fu fatta la Triplice, e l'Austria s' inorientò per volere della Ger– mania e per consenso del l'Italia. L'Italia per il Mediterraneo rinunziò all'Adriatico. E fu iniziato cosi l'antirredentismo. L'orgoglio esuberante della prima giovi– nezza d'Italia, impersonato e inasprito dalle speranze dinastiche d'Umberto - casa Sa– voia e Italia tutt'e due si meravigliarono e si gonfiarono della raggiunta unità - ci condusse in Africa. Il primo atto dell'ado– lescente è di spandere le forze che ancora non ha. L'Italia stava male: e l'Africa fu anche la solita diversione guerresca delle dinastie impaurite dei problemi interni. La disfatta esacerbò il malcontento. Il so- gno coloniale fini nei tumulti per il pane (1894· 1898). 11 popolo era entrato col so– cialismo nella vita della nazione e ne rap– presentò il bisogno antiguerresco. Già nel 90 il congresso democratico di Roma aveva soppresso i nomi di Trieste e Trento; e quattro mesi prima dello scioglimento del Pro Patria (6 luglio 1890) Bonghi aveva tenuto il discorso inaugurale del I congres– so della Dante Alighieri (24 marzo). An– che in Itali:i l'irredentismo diventava azione legale di difesa. Senonchè l'Austria comin– ciava a impensierire. E il nuovo stato d'a– nimo d'Italia si rivelò nel 1903-4 quando gli ,studenti italiani dell'Austria furono ba– stonati dai tedeschi di lnnsbruck. La rivista, imperialista-irredentista, Il Regno era nata proprio in quei giorni ; e dopo tre anni nascerà L'Italia ali' F.stero con programma apertamente antitriplicista, francofilo e sla– volilo. Sono i primi fogli nazionalisti; e la ten– denza nazionalista tenterà e.li formarsi a par– tito quando l'Italia, rimessasi compiut~mente, sarà scossa dal nuovo 78 : la Il annessione della Bosnia. Trent'anni son passati: e I' Ita– lia si trova, tatticamente e diplomaticamente, nelle stesse condizioni d'allora. Urli, prote– ste; dimostrazioni, polemiche: e Luigi Luz– zatti vorrebbe rifare il Marselli con il suo articolo Raccoglierci i11dignitoso silenzio (Cor– riere della Sera, 24 gennaio 1909). Si vuole la guerra, ma, come allora - perfin Bovio -, dopo una forte preparazione. Si inveisce con– tro Tittoni come allora contro Depretis e. Cairoli ; e la stessa accusa, la più seria : che il governo doveva avvertire il paese della situazione e non lusingarlo, si ripete. E an– che il contegno ambiguo del governo, allora specialmente per i funerali dell'Avezzana; ora con l'entusiasmo anche della maggioranza per il Jiscorso Fortis. Il 2 maJzo t 909 esce a Roma il C~rrqci;io. Scipio Slataper. Il fattoreeconomico e l' irredentismotriestino. Che Trieste, per ragion di interessi, sia legata a paesi slavi e tedeschi assai più che ad_ italia11i, è risaputo dai pochissimi ch'e cos0 sanno alcunc})è delle « terre irredente». Alludo a quell'esigua ,minoranza di italiani colti che non credono Trieste e Trento separate da un fiume o congiunte da un ponte e non mettono Zara in Istria o Pola in Dalmazia. Gli altri, la maggioranza dei «colti», avvicinandosi sul Benaco a Riva vi confidano il timore di non farsi capire 1 oltre il confi~e, fra i « tedeschi;» ovvero, apprendendo che siete triestino, vi cbJeggono dove abbiate iml'arato a parlare s~n,za into1>pi I' italianq. Costoro sono poi moJte volte qu~gli stessi (buffa conlrapizione dell' irredenti~mo parolaio) che ali' occasione « patateggiano > i consolati a. u. o si sgo– lano a gridare • abhasso l'Austria ». D' al· !ronde, oggi, anche gli irredentisti professio– nali, nonchè quanti trattan costi e fra noi delle cose nostre con animo o almen col sot– tinteso separatista (e son quasi tutti), non ne– gano questo destino economico straniero di Trieste epperò di tutta la Giulia che le è inseparabilmente congiunta. l-Janno bensi, a c_orrettivo, un ragionamento per conciliare le idealità con gli affari; lo ritroveremo ; ma vi ricorrono di rado; preferiscon, si capisce, scr– volare sul tasto scabroso. Ciò riesce abba– stanza facile quando si è in tesi artistico-lette– raria o in volata retorico-sentimentale ; più difficile e imbarazzante se si focchi di storia. Infatti, per citare un esempio, Giuseppe Ca– prin ci diede del trecento a Trieste un quadro riccamente pennelleggiato ma esteriore, e passò cauto e silente accanto· al massimo avveni– mento cittadino del secolo, la definitiva de– dizione ai duchi d'Austria; fatto e fattore economico per eccellenza .. Ho per mano la guida gentilissima di Trieste, uscita di questi giorni dalla penna di Silvio Benco; anche-lui ferma i suoi cenni storici alla dedizione, fra– stagliando quello che vien QOpo. Forse per questo Trieste non ha avuto ancora il suo storico. L'unico libriccino sintetico di storie triestine, quello di don Jacopo Cavalli, prete nazionale e forse anche nazionalista (per quanto possa essere un prete italiano) non vela, anzi • spesso dischiude la realtà scottante (1) : ep– pu(e Jl libro, editq dal municipio di Trieste, ven.ne anche premiato dal COl)siglio della ciÌtà. nel 1877, epoca già irredenti,steggiante; giu– dizio quindi non sospetto. • Egli è che il passato appare di una conti- nuità logica implacabile. Da quando - e fu lungo il 1200 - Trieste riesce a districarsi dalla baronia vescovile e si foggia a co– mune oligarchico, il suo destino è segnato: lotiare per conservarsi gli scambi fra i porti adriatici mediterranei e il suo piccolo « hinler– land > del nord, hinterland già allora com- \ pattamente straniero. Uno solo e strapotente l'avversario: Venezia. Uno solo e debolissimo l'alleato, ma fortificatosi poi via via nel tempo: Casa d'Absburgo, già giunta ad affer– rare la corona imperiale, prossima a saldar– sela sul capo. Le dedizioni anteriori ai pa– triarchi d'Aquileia, ai Carraresi, allo stesso Absburgo erano state spedienti "del momerito nell'ansia di sfuggire la stretta veneziana. Non senza fato, la seconda e definitiva dedizione ai duchi d'Austria avviene nel t 38,, l'anno dopo che la pace di Torino, auspice un prin– cipe sabaudo, aveva riconosciuto a Trieste l'indipendenza, pericolosissima per lei, fruito ormai maturo alla voracità veneziana: pochi decenni prima c~e Venezia succedesse, in di– ritfo oltrechè in fatto, nel dominio d~lla co– sta istriana al patriarcato aquileiese e compiesse con l'acquisto di Muggia i" imbottigliameofo de)la rada triestina; pochi decenni dopo I' in– sediarsi delìnitivo degli Absburgo nella Ca– rinzia1 nella Carniola, nella Stiria, cioè nel « hinte,land » specifico del commercio me– dioevale triestino. E neppure a caso fra le ~lausole della dedizione vi è' I' inalien~bilità . ) chè, tredici anni prima, il duca, abbagliato dal luccichi e di 75,000 zecchini, aveva venduto alla repubblica il suo pro~ettorato sulla città. (1) li fattore economico è messo in rilievo specialn~ente a pag. 79, 105, 11.2, 137 1 r55; in questa, chiama Trieste 11 <( approvvigiona- trice dello Stato ». · s·ib~oteca Gino Bianco Protettorato, e non altro, fu per circa quat– tro secoli la signoria absburghese sul Comune, semisovrano nel suo reggimento politico. Ma il protettorato, finchè rimane tale, rende poco; è un'ipoteca accesa sull'avvenire; salva Trie– ste, tranne qualche passeggiero episodio di guerra e di conquista, dal livellamento ve• neto; le permette di tentare di vivere; ma non sempre ci rie~ce. Trieste vuol vivere sul mare e lo proclama - precorrendo Grozio - di tutti; Venezia risponde che il mare è la sua... terra, sua quindi la massima ricchezza marina, il sale; in sua balla tutti i na'"igli veleggianti per l'Adriatico, agli agguati per– petui, nella rada di Muggia, la galera vene– ziana occludente le vie respiratorie dei traffici. Ma anche in terra, cioè ai fianchi e alle spalle di Trieste, Venezia vigila e comprime. Trieste, instancabile, domanda ai suoi protei· tori che coi sistemi proibitivi dell'economia 1 medioevale (lo sbarramento delle vie; lo StrasSC11{wa11g), impongano ai mercanti car– niolici o stiriani di scendere a Trieste per l'approvvigionamento e gli scambi: è I' e hin– terland• immediato, incontestabilmentesuo che la città vuole almeno garantirsi. Gli Absburgo comandano, ma non sempre riescono a farsi obbedire; mancano ancora di quegli ingra– naggi che fanno piegare i singoli innanzi alla coazione statale. I mercanti carnioiici sono attratti dal grande emporio veneto ovvero dalle sue filiali della costa orientale, le città istriane che Venezia tiene in regime econo– mico severissimo di divieti e di monopoli, at– tenta a soffocarne ogni anelito di traffico au– tonomo ma interessata ad erigerle a proprie agenzie o sottobotteghe ; donde creato e acuito nei secoli il dissidio tra I' Istria e il suo ca– poluogo geogralico Trieste ( 1). Suppliche e proteste inviate dai triestini, per quattro secoli, ai duchi ed agli imperatori si imperniano tutte sullo stesso pensiero di unione con l'Austria. La missione economica straniera spicca bizzarramente persino in un documento che afferma l'appartenenza alla stirpe. Nell'istruzione data agli oratori trie– stini perchè persuadano Massimiliano impe– ratore a compiere le fortificazioni della città ( 15 1 8) Trieste è chiamata • 111111111 de pri11ci– palib11sforlalifiis Itali~•, ma subito dopo si aggiunge: Civitas lergestina potesi dici an/e– mural• ad provinciam Camiolae ...• empori11m Carsiae, Camiolae, Stiriae et Austriae >. Notate que)l'ad che qui significa il con– trario di adversus. l'istruzione si chiuqe con queste parole in cui è sinte\izzato il pensiero del vecchio co– mune oligarchico: e Juraver1111t,mmes ler– gesti11i se velie potius 011111es c11111 filiis mori quam 1111quam ampiius ad manus Ve11etorum pervenire •· Piuttosto la morte che la conquista veneta. Tautologia I Cadere nel le mani di Venezia equivaleva a morire. Se Trieste nc;,n mori, se pur durando la tirannia adriatica veneziana, pntè sviluppare qualche sua energia, assai più che benemerenza particolare degli Absburgo, fu effetto automatico del distacco politico da Venezia e dell'unione allo stato padrone del « hinterland -, triestino (2). Nè la decadenza (1) Sulla disputa interessantissima per la li– bertà dell'Adriatico, disputa che si rinnova più volte, vedi il giornale di KANDLER t 'Istria anni 1847 n. 53-57 e 1850 n. 24-26. Sulla pre– t~il di Venezia cli essere padrona del mare come si è padroni della terra vedi anche 1"1ATTl-~\ZZI Del diritto de' vini=iani e delld loro giuri.stÙ– ::iouç sui mare adriatico, operetta del secolo XVl pubblicata nel r858 (Venezia, coi tipi clélla Ga=::elta 1,j/icialc) pag. 26. La guerra più di– sas'trosadi Triei:.te con Venezia quella del 1463 ha per causa essenziale la necessità di mantenere gli scambi col proprio hinterland contro i quali Venezia intrigava. Sul regìme di monopolio ve– neto, cfr. BRODl1ANN, hlemorie potiidco-economi~ che detta ci/là e territorio di Trieste, ecc. Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1821, pag. 134 e sg. Sulla lotta per il :;aie e l'insufficiente protezione absburghese \'ecli, fra altri, Scuhnz: Triest u seine jledeu/unx fiir den de11tsclie11Handet, Lipsia, Ed. Otto \Vigand, 1881, pag. 18. CAVALLI. Op. cit. pag. 105. (2) Infatti, nonostante la debolezza statale austriaca, l1immaturità economica del « hinter– land >> e la strapotenza veneziana, Trieste, pur con molti alti e bassi, riesce a farsi un suo traffico che già nel 1400 è abbastanza largo e di Venezia, per lo spostarsi dell'asse dei traffici dal Mediterraneo agli Oceani, sarebbe bastata da sola a far nascere l'emporio trie– stino; ci volle pure che dall'anarchia medio– evale sorgesse faticosamente lo stato unitario austriaco ·e che questo stato venisse via via trasformando iI protettorato inefficace, nel- 1' incorporazione effettiva all'impero e la ac– compagnasse con una serie di provvedimenti che si compendiano nel nome del porto– franco. Il portofranco rappresenta bensl, come concezione teorica, il trionfo di una forma d'internazionalismo commerciale sor– gente col secolo X\'lll quale reazione contro l'economia del medioevo, ma, in pratica, presuppone un organismo di Stato abbastanza saldo e largo, capace di volerlo e di attuarlo. Tale organismo, per Trieste, non poteva essere che l'Austria e il porlo franco doveva se– gnare la fine della « quasi-repubblica > ter– gestina. La quale, me ne dispiace per i retori e per gli esteti, muore senza Iacri me di chicchessia; gli stessi oligarchi che l'avevan personificata per 4 secoli, le compongon lie· tamente la fossa. L'accortissimo regime tere– siano (t 740-1780) (il vero iniziatore della Hcridezza triestina), indulgendo con piccoli favori agli orgogliuzzi senili d~I patriziato, può sopprimere le ultime autonomie della dedizione che non risorgono vitali mai più, ed averne lode non pur dai contemporanei, abbagliati dallo splendore dei rapidi successi ma anche dalla pacata osservazione dei po– steri. Pietro Kandler, che il Caprin chiama a ragione il massimo ingegno paesano del secolo XIX e che in altri tempi lotta vitto– rioso per altre forme di autonomia, proclama necessaria al buon successo del porto franco « l'abdicazione del comune e l'assunzione del diretto reggimento per parte dell'Austria >. Dal portofranco teresiano (1749) Trieste prende la rincorsa e non si ferma sino alla breve stasi napoleonica. Son 3865 gli abi– tanti del primo censimento del 1735 (cifra tra le più basse della storia statistica triestina) e provano la sterilità dei provvedimenti di Carlo VI, a torto ritenuto l'iniziatore del portofranco: ma nel 1 7 54, cinque anni dopo l'intervento statale teresiano, gli abi– tanti sono già 5800 e salgono a 10.000 nel 1775, a oltre 30.000 nei primi anni del se– colo XIX. I traffici (indice anche più conclu– dente) che nel 1766 segnavano per circa 3 milioni di fiorini il valore delle esporta– zioni marittime, nel 177 3 potevan raddop– piare la cifra; il valore complessivo dell' im– portazione per mare si valuta nel I 804 ad oltre 30 milioni di fiorini e dell'esportazione a 24 milioni. Il che significa che nel primo decenoio napoleonico, finchè Trieste (salvo due brevissime occupazioni militari) rimane fuori delle annessioni francesi, si giova del blocco incombente su altri porti e della scomparsa dell'antica avversaria: Venezia, annessa all'Austria. Ma quando (1809-181 3) anche Trieste viene assorbita nell'ingranaggio dell'impero napoleonico europeo, non è una decadenza che la coglie, ma una catastrofe: in tre anni la cillà scema di 10.000 abitanti; in 19 mesi 64 azlende commerciali emigrano o falliscono. Col ritorno dell'Austria e del portofranco, l'ascesa riprende immediatamente; gli abitanti risalgono a 42.000 già nel 1820; sO'no 82.000 nel 1850; i traffici, che già 'nel 1814, un anno dopo la restaurazione, si eran sospinti di un balzo a oltre 60 mi– lioni di fiorini, nel 1854 superano i 200 milioni. A questo punto l'ascesa commer– ciale si ferma ( 1). nutrito. Sul commercio triestino nel 1400 ha pubblicato in questi giorni documenti interes– santissimi il CAVALLI (Commercio e vita priva/a a Trieste •net J400, ed. Ettore Vram). Per i traffici triestini p(eteresiani cfr. anc,he CAVALLI, Ston·a di 1rieste, pag. 113, Scun1Tz., Op. cit., pag. 19, l<ANDLER, Emporio e Porlofranco, ed. Lloyd austriaco, 1864, pag. 76. È essen– zialmente transito come l'attuale, non mercato, come sarà durante il fiorire dél portofranco. (1) Non occorre avvertire l'influenza che que– ste vicende economiche hanno sul sensorio so– 'ciale triestino. L'àntiitalianismo trionfante sin dopo il 184·8 si spiega da sè. E si noti che, col 1>ortofranco, anche il fattore etnico si corrompe ; il vecchio comune, f~cile a_ssorbitore di scarsi elementi stranieri, si annega nel cosmopoliti;;no

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