La Voce - anno II - n. 44 - 13 ottobre 1910

in e,sa noi avevamo il nostro fine ben definito e assolutamente immediato ; in essa consisteva per noi e per i conservatori la posizione domi– nante della battaglia : il dirillo di libera orga- 11iz=azio11e politica ed eronomica ùJ/eso come io str11111c11foi11dispe11sabi/c a qualunque ulleriore conquista, come la più imporla11/e fra /111/ele rivendicazioni e tutte le riforme. Non mancò in quegli anni di lotte fervide e pertinaci, da parte dei partiti conservatori il ten– tativo di condurci fuori della nostra strada me– diante il vecchio diversivo dell'anticlericalismo massonico: l'on. Pelloux e l'on. Finocchiaro– Aprile, che allora era ministro con l'on. Pelloux e no1l era diventato ancora uno dei Santi Padri della democrazia, promettevano ... la precedenza del matrimonio civile. I\·la noi andamm? per Ja nostra via. Sapevamo quel che volevamo : vole• vamo sopratutto che fossero riconosciute alla classe lavoratrice le libertà politiche. Non era– vamo giunti ancora al tempo, in cui il sociali– smo doveva minacciare di diventar sinonimo di massoneria. Non mancò neanche la largizione di qualche legge sociale destinala a dimostrare l'inutilità della organizzazione e della lotta cli classe. Ma il nostro partilo, pur non creando ostacoli si– stematici all'approvazione dei provvedimenti so– ciali, non ismise per essi il suo alteg-giamento continuo e risoluto di battaglia. Anche se il Governo avesse profusi centinaia di milioni annui in pensioni, sussidi di disoccu• pazione, casse di maternità, uffici di colloca• mento, aiuti alle cooperative, noi saremmo stati sempre suoi avversari risoluti e intrattabili, finchè avesse continuato a tenere chiusi i nostri circoli, sciolte le nostre leghe, imbavagliata la nostra stampa. Perchè noi eravamo incrollabilmente convinti che la classe lavoratrice deve crearsi da sé, con le sue forze, i suoi diritti ; deve essere essa, stretta nelle proprie organizzazioni, attraverso le proprie esperienze, i propri errori, i propri do– lori, l'artefice libera ciel proprio destino : e qu~– sta padronanza di sé stessa non le era normal• mente possibile, finchè non avesse posseduto l'uso incondizionato delle libertà politiche fon• <lamentali. E data questa nostra fede, avremmo considerato come atto di viltà ogni r111uncia, fosse pure r:,arziale, fosse pure transitoria, fosse pure compensata dalle più mirabolanti larghezze materiaJi, di quello che era il nostro fine pre– valente e immediato. Questo fine noi sapemmo metterlo al disopra dei nostri migliori affetti. Fra il 1898 e il 1900, quando il nostro parlito chiedeva l'amnistia per i condannati politici, e il governo, per bocca dello stesso re, dichiarava che non avrebbe con– cessa l'amnistia, se la Camera non avesse prima approvati i provvedimenti politici reazionari e data la « sicurezza accertata • che i sovversivi non sarebbecp stati più pericolosi, i nostri de• putati, seguiti dal consenso caloroso di tulto il Partito ed incoraggiati da coloro stessi che erano in carcere, iniziarono la lotta violenta contro i provvedimenti politici e continuorono ad esigere l'amnistia. .. Quanti di noi speravano, durante il 1899, nel periodo più nero della reazione, che la vittoria fosse tanto vicina ? Quanti di noi non sentivano e forse non esageravano anche a sé stessi la difficoltà della battaglia? Eppure nes– suno si sognava di rinunziare alla lotta, perché la lotta era difficile. Volevamo vivere, e ci era necessario lottare per vivere. Sentivamo la ne• cessità dell'azione nostra e ne accettavamo le difficoltà. Non eravamo giunti ancora alla saggezza. Non avevamo preso ancora l'abitudine di rifuggire dalle imprese difficili. Non ci chiedevamo, tiel• l'atto di rivendicare i diritti po1itici della classe lavoratrice, se i nostri avversari erano disposti ad essere compiacenti con noi. Sapevamo quel che volevamo e sapevamo volerlo. Vinta questa battaglia, il nostro Partito si è trovato e si trova tuttora incerto sull'indirizzo da dare al1a sua azione. In questo nostro paese, così eterogeneo ed a~traversato da cosl profondi dislivel1i economici, sociali, intellettuali, fra re· gione e regione, fra zona e zona della meclesi~a regione, i singoli individui, le singole categorie professionali, i singoli gruppi locali o regionali, si sono trovati in posizioni iniziali diverse, con tradizioni temperamenti, abitudini di pensiero, b . . 'reg·iudizi opportunità locali svariatis- 1sogm, p , sime tutt'altro che facili a conciliare. Finché la politica reazionaria dei partiti cons_ervatori aveva costrette queste diverse forze a nrnanere strette insiem~ in un unico sforzo disperato ed elementare di vita, gl' inconvenie~1t_i. della eterogeneità non erano stati molt~ sens1b1l1. Ma, assicurata la libertà d'azione a ciascun gruppo~ venuta meno la forza esterna che li teneva tutti allo stesso livello e li associava in uno sforzo , rZ unico, le difficoltà di coordinare le singole esi- genze speciali e locali in un programma d'azio• -., 11 I ne comune, dovevano rilevarsi scmpreJ pif! '}U· merose e più gravi. Ogni gruppo, dopo avere conquistato con l'aiuto di tutti il diritto di muo\·ersi liberamente, si è dato a muoversi per conto proprio, dimen• ticando i gruppi lontani e magari gli stessi vi– cini, considerando il Partito e la rappresentanza parlamentare del Partito co1ne strumenti delle sole rivendicationi e preoccupazioni proprie, sfor• zandosi di far passare le esigenze proprie in– nanzi a quelle degli altri, graduando le riforme non secondo il criterio della utilità generale, ma secondo quello della utilità del gruppo. Ne sono conseguiti progressi notevolissimi, qua e là, nel– l'azione economica e nell'azione amministrativa locale. E occorre tener conto di questi progressi per apprezzare con equità nel suo insieme tutta l'opera del Partito 1 ed evitare un pessimismo universale che sarebbe ingiustificato. ~la nella a::io11e politica generale si è rotta ogni unità di indirizzo. Ognuno pensa solo per sè, ed è in• differente alla necessità degli altri. Non abbiamo più una volontà generale. Abbiamo tentativi fatti ora eia questo ora da quel gruppo per seque– strare a proprio vantaggio gli organi centrali del Partito. E questi seguono ora questo ora quel- 1' impulso, volgendosi di qua e di là, sperduti nel buio, senza bussola, senza sentir fortemente nulla, senza sapere quello che devono volere. Perciò ogni quindici giorni noi vogliamo qual– cosa di nuovo: l'abolizione delle spese militari, Ja riforma tributaria, il divorzio, la lotta contro le congregazioni, la fine del duello, la resurre– zione di Ferrer, la municipalizzazione dei ser· vizi pubblici, l'avocazione della scuola allo Stato, l'abolizione dell'insegnamento religioso, le uni• versità popolari, i sanatori per i tubercolosi, le pensioni per la vecchiaia, il suffragio universale - già anche il suffragio universale ! - tutto noi desideriamo per turno, ogni quindici giorni : e mentre l'agitazione nuova spunta sul tronco della nostra attività incoordinata e inconcludente, l'agitazione precedente marcisce e cade dimen• ticata. Molte cose chiediamo, senza neanche do– mandarci prima se meritano davvero di esser chieste : i nostri desideri sono cosi volubili e superficiali che non è il caso di ragionarli trop– po. Di molte nostre agitazioni la spinta non parte da noi, ma viene dalle Logge massoniche, le quali, via via che si attenua in noi la luce delle idee nostre, della fede nostra, si assumono esse la cura di pensare per noi, e di darci belli e fatti i nostri desideri, e prendono sotto tutela le sezioni del nostro Partito. * È moda fra i riformisti attribuire alle difficoltà create ad essi dal convulsionarismo dei rivolu– zionari la sterilità della propria opera negli anni passati. « Potevamo essere i padroni della si• tuazione - esclama spesso e volentieri l'on. Tu– rati - e non abbiamo saputo » : e vuol dire che Fon. Giolitti non ha mai desiderato di me· glio che procedere d'accordo con noi, ma i ri• voluzionari hanno sempre disturbato I' idillio, e finalmente, con lo sciopero generale Jel 1904'. hanno costretto l'on. Giolitti a navigare verso 1 clericali. E certo le turbolenze incoordinate e sconclusionate della frazione rivoluzionaria hanno avuto la loro parte nel determinare l' insuccesso del connubio socialista-giolittiano. Ma era ben prevedibile che i rivoluzionari avrebbero cercato di guastare le nostre faccende dal momento che non le approvavano: nè avevano alcun dover~ di starsene con le mani in mano ad aspettare 1 frutti della nostra sapienza. Certi attriti sono inevitabili, e la lotta politica non è Et duel del sur Pauera. Fino a quando l'azione politica dei riformisti culminante nell'appoggio dato dal Gruppo par– lamentare al Ministero Zan:trdelli•Giolitti, fu giu– stificata dalla necessità di fare argine contro gli assalti non ancora definitivamente vinti dei rea– zionari, le turbolenze rivoluzionarie restarono senza efficacia : il Congresso cr I mola (settembre 1902), nonostante fosse venuto dop~ ~a ~tra~e di J3erra, non dette forse ai riform1st1 vittoria magnifica? Se dopo il Congresso d'Imola, la frazione rivoluzionaria crebbe rap1da111ent~d1 au– torità e cli energia, fino a rendere quasi tota~• mente impossibile ogni azione riformista e ri– durre a nulla il peso parlamentare del Gruppo socialista, la causa del mutamento i riformisti devono cercarla in sè stessi, cioè nella loro in– capacità ad essere riformisti. Via via che si attenuava il pericolo di un ri• torno reazionario, occorreva creare una nuova base al ministerialis1110 socialista, aflinchè fosse giustificato. E questa base non poteva essere data che da una seria opera di grandi riforme concrete, su cui apparisse sincero e attivo e be- Bibloteca Gino Bianco nefico il coi1;nvb:o rtr/- Jio\{. Giol:itì e rioY.' Pii,: babilmen1.e~ se noi avessimo avuto idee chY;re sulle riforme ·,\:t ch{Cdcre, il co111;ubio sa~égbe f • ' ,11 ·d ' •111 1111to. 1\la s.ta il latto che 1 ~e non ne avyvamo. E l'onor. GioHtti c\ imitav~ a meratiglia,r e dal punto di vista conservatdre faceia 'benissiniO'.' f \I alleanza s~cialista-gioli~\ìa1fa' nOn fruttli.'J~J ~~ l'abbandono deÌla ri(~rmJ' t~lbt/tJ;ia H101ib1~b6}fr'/ la decorazione al brigadi~f~ d;1W~ri~(, bla' 'pa~~~ 1 • 11 ,11J;.1J ,I~ I lisa legislativa. Che meraviglia se in ques e co,1- dizioni, la maggioranza del Partito si vol~e i:i.'1~';: I certo punto verso i rivoluzionari, disdisse l'al- leanza con l'on. Giolitti, e dichiarò senza valore la firma di quei riformisti, che si impuntavano a · rimanerne garanti? J rivoluzionari divenuti dominanti nel Partito ndn seppero fare la rivoluzione, come noi non a\levamo saputo fare le riforme. E al Congresso di Firenze essi vennero come esercito disfatto prima di combattere. E noi riformisti avemmo battaglia vinta quasi senza colpo ferire. ita che cos,1 abbiamo fatto dal 19()8 ad oggi I Quali ri– forme abbiamo veramente e fortemente voll!,te? Che cosa siamo? Dove andiamo ? * Che cosa vuole, per esempio il Gruppo par• lamentare? Mancia competente a chi sa dircelo. Fa una casa del diavolo nel 1908 contro I' inse– gnamento della dottrina nelle scuole ; ma vota nel 1910 la fiducia nel Ministero Luzzatti, che lascia le cose come sono : perché, allora, fare tanto chiasso due anni prima? Chiede le pen• sioni per la vecchiaia, che importano milioni e milioni di spesa annua: ma ne11e trattative che han preceduto la formazione del Ministero Luz• zatti, non ha posto come condizione del suo voto favore\ 1 ole l'impegno da parte del Governo di non consumare con aumenti di spese militari le risorse finanziarie necessarie alle pensioni. È vero che a questi aumenti il Gruppo si è poi opposto, provocando un appello nominale ; ma che serietà c'è a votare contro il Go, 1 erno negli appelli nominali, che non hanno importanza po• litica, per votare a favore nelle votazioni impor• tanti, dopo essersi astenuti dal toccare certi ta• sti in quelle trattative, che precedono le forma• zioni ministeriali e che ere.mo l'obbligo di vo– tare proprio nelle votazioni importanti? - li Gruppo parlamentare proclama, d'accordo con la Direzione del Parlito, nel febbraio 1910 1 che combatterà ogni Ministero, che non prenda l' i– niziativa di una riforma dettorale a base di suf• fragio universale, e per amore del suffragio uni– versale un deputato arriva finanche a parlare di azione insurrezionale e di barricate : e un mese dopo, caduto il Ministero Sonnino, ad una adu– nanza di deputati repubblicani e socialisti, che avviene durante la crisi e che pub avere una grande importanza nel determinare l'indirizzo della crisi medesima, manca pit) della metà dei deputati socialisti ; e fra gli intervenuti ce n'è dieci che ritengono opportuno cli non deliberare nulla e di « attendere gli eventi » come persone che non hanno nulla da dire (Ava11,li I, 23 mar• zo 1910); e la proposta di affermare la necessità di una « profonda riforma elettorale• passa con soli tre voti di maggioranza ; e nella seduta della Camera del 30 aprile, il Gruppo vota la fidncia nel Ministero Luzzatti, dichiarando però che non ha fiducia, e che il si equivale al 110, e giustifica il voto con la considerazione che l'o– norevole Luzzatti ha bensì rifiutato il suffragio universale, ma ha anche promesso di presentare a novembre, ma non di far approvare, una ri• forma elettorale, di cui l'on. Luzzatti non dice nul1a, l'Avanti! dice che raddoppierà il numero degli elettori, e l'onorevole Turati dice {Avanti I 3 ma~gio 1910) che non si sa quel che è e non si sa come andrà a finire. E un continuo ten• tennamento, un dire e disdire, ridire e contrad• dire ett:rµo, in cui si rivela a meraviglia il di• sorientamento generale e il disordine delle idee, 0 meglio la mancanza di idee centrali nell'azione del Partito. I nostri deputati, come il nostro Partito, non sanno quel che debbono volere. All'infuori di pochi volenterosi, che si sforzano di trnttare problemi di interesse generale, ma non sono d'accordo fra loro, e chi tira verso l'an– ticfericalismo, chi vuole la riforma elettorale, chi sogna leggi sociali (senza quattrini), e tutti sono paralizzati dallo scetticismo e dnlla indifferenza dei più i - e questi più oramai o non badano che ad occuparsi ciascuno del proprio collegio o della organizzazione professionale o di quel grup– po di organizzazioni economiche, con cui è più continuamente a contatto; o non si occupano di nulla affatto e non vanno pii.', nemmeno alla Camera. Venuta meno nel Partito e nel Gruppo par• lamentare ogni unità di sentims:nti e d'azione, è sparita ogni nostra forza di fronte ai partiti nostri affini ed avversari. JI blocchismo è diven• l-iio 1 Ìa tallita eletforal! indisp~nsabilé'.' 11bloclfd l)On s~1 un J)rogra1lhrla éti W<orme d~térrMi1~Vé', ,\\'à Wbfotto lìrib 'a '!é 'slé'ssif'·'"il6 1 ri {iJ'r' 1 eoM{M~ sl'ar:e.unar 1 )>osizione ,rf1ù6v{, ma· PeV 'c8H$·~i-vaVè le ~o~faio'ili.'àtl;tikti, in cui si 1 tÌll 1 iscb'if6 11 1loAiholid. ,orze demo~'r:1l(~blì ph d 1 arM un'',lÙ6vo 'faà"/,cid 1 illfU vha pullbìica';m:I o\le\Whdl.!H'é'demoddi'ic1\e'ref i/~pec1\Yè' 1 iÌ'prlH;alete"di' 1 ai!;è'delloleif~ ~lìnsg~va! ifi~f:•r~\1, quèk1e tondiziont! in°c11i'ìloi~s·tnllh18 opra:tutto 1 Jla p\adcù'pazion'é lll''e~Ìt~f'é' ad oglil coY!o la sè«\ii~t/11 ..!..'." coÌli'è 16\,1a'1\o \i telil/,o, 11/ è/il re 'sé6'nfitte' le prll ·odi.:1110 ~ ff !'6\Ì1lva,i1d tdine 'titoll\ d'o\16\le, 1 'per 1 chè"'àttr~t 1 ~V~!;'faisè6f,: fitta df 'O}fgi! }lfk1f'..-U!tvrlit\0° \g"tillbft"Wlfi;nsni~Nti . · . , r-11,n<\:J·"<lrv ,o ')rl"Jlr.11r, o - 111 queste coaliz1<;m1 1 111 1 qua1unq!1e p1cc:olo gruppo di faccendiéri rè 111 Ìl'''ben ,P.fr ,Lto; 1 r~JH!l{è' tutto è buono a rafforzare 1 M 1 PSftz\(l~i ~,J~ffl'Ji,W non sostenute dall'ardire vigoroso cle1 11d gr1ml:!e massa lavoratrice, è naturale che i nostrY a'.n~JiW facciano la voce grossa, e noi facciamo )a voci!' piccina. I blocchi sono quasi sempre qualcosa di simile all'alleanza fra l'uomo e il cavallo i nostri alleati sono l'uomo e noi siamo il cava1lo 1 quando non siamo addirittura l'asino! Questo senso, che abbiamo della nostra debo– lezza, fa si che le riforme difficili, quelle che porterebbero un utile alla intera classe lavora• trice, e per portare Quell'utile devono colpire i partiti conservatori nei nodi vitali dei loro inte• ressi e perciò richiedono un grande slancio cl'in• sieme e un penoso e lungo sforzo di battaglia le grandi riforme difficili ci spaventano. E ab• bandoniamo esse per correre dietro ai piccoli provvedimenti omeopatici, che si possono otte– nere dai piccoli compromtssi elettorali e parla• mentari. Qualche milione di lavori pubblici, lar• giti a un gruppo di cooperative più o meno di• soccupate ; qualche centinaio di migliaia di lire messe a disposizione di una cassa di disoccu• pazione, di cui ci si avvedrà dopo un mese che ... difficilmente potrà funzionare ; qualche leggina monca o inapplicabile ; una Banca del lavoro de• stinata ad incatenare al banco di tutti i Governi i nuclei proletari più autorevoli e più influenti, diventano nientemeno « la legislazione sociale». I nostri deputati, quando si decidono a portare alla Camera una proposta di riforma, non si sen• tono il coraggio di presentare il problema in tutta la sua ampiezza e di chiederne la soluzione integrale, fondamentale, lasciando ai partiti di governo escogitare, caso mai, sotto la pressione del1e organizzazioni economiche e politiche della classe lavoratrice, quei provvedimenti frammen• tari, che sono come la zavorra che la barca con· servatrice butta via di tanto in tanto per salvare il carico. Questa sarebbe tattica da chiacchieroni. I nostri deputali badano al sodo. Anzitutto non si sognano nemmeno prima di portare la que– stione alla Camera di mettersi a contatto con le forze extraparlamentari della organizzazione po~ litica ed economica, per e~citarle alla nuova con• quista e parlare nella Camera forti del loro con– senso: occorrerebbe allora presentare il problema in tutta la sua integrità per aver la maggior quan– tità possibile di forze concordi nella battaglia. Ohibò! Dalla moltitudine i deputati non spe• rano più nulla : è materia amorfa e inerte. Fa• ranno tutto essi con le loro abilissime e sapien• tissime combinazioni di corridoio. E cominciano col ridurre al minimo possibile le loro domande; facilitano, facilitano, facilitano tutti i problemi per avere il consenso di tutti; si metto· no dal punto di vista dei loro avversari, o meglio ex-avv~rsari, e fanno la proposta che farebbero i loro avversari. Cosi non sono più i partiti con• servatori che si sforzano di disorganizzare la classe lavoratrice con provvedimenti frammen– tari, che dividano qualche gruppo d'avanguar• dia dal resto dell'esercito e diminuiscanò cosl la forza di pressione di tutto l'esercito; ma sono i deputati socialisti, che si assumono fin da prin– cipio questa funzione eminentemente conserva• trice. E la legge, che deriva da questo genere di manovre, che si chiamano tattica riformista ma che son la più goffa caricatura del riformi• smo, la legge che ne deriva non é più la risul• tante fra la massima possibile pressione eserci• tata dalla massa lavoratrice per mezzo del Gruppo parlamentare socialista e le resistenze conserva– trici · é la risultante di una amichevole conver• sazi~ne fra i deputati socialisti, che si mettono fino da principio nei panni dei ministri e dei de• putati della maggioranza e rubano il mestiere ai capi-divisione dei ministeri, - e i ministri e i deputati della maggioranza, che oramai non hanno più nulla da perdere nel fare sfoggio di « alte idealità», e che possono benissimo dire ai deputati socialisti: <( Ma noi siamo socialisti quanto voi e pili di voi». · Ed ecco spiegato perchè il quietismo sia ora– mai lo stato d'animo permanente del Gruppo parlamentare. Perduta ogni ,ec!e nella capacità del Partito a compiere grandi sforzi d' insieme, abbandonato come vano ogni tentativo di susci-

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