L'Unità - anno VIII - n.30-31 - 24-31 luglio 1919

162 Il regime Si'amo lieli di dart a1 11oslri le/lori il lesto della relazioneprtstnlala da Ugo Ruffolo, segre– lari'o della Camera di Commercio di Cosenza, al Congresso degli agn'coltori calabresi, lttmlosi re– cmltmenlt a Cala11zaro. I. L' inganno della protezione· agraria. La politica che regge da 32 anni gli scam– bi commerciali dcli' Italia con l'estero ha ca– rattere recisamente protettivo. L'alta tariffa generale approvata con legge del 14 luglio 1887 fu solo in lieve misura mitigata dalle convenzioni commerciali che si ,·ennero sti– pulando in seguito, specialmente dal 1892 al 1906. Un primo quesito che ( i tocca risolvere è il seguente : la protezione instaurata con la tariffa del 1887 è soltanto industriale o è an– che agra ria ? Nelle acri dispute che si fanno in questa materia, e nelle quali spesso lo spirito del!' in– teresse mal si cela dietro la parvenu delle indagini severe e delle Oisaminc spassionate, avrete sentito addurre dai fautori della prote– zione questo argomento, che cioè la difesa dei dazi alti, se pur tali debbano stimarsi, non fu apprestata cd attuata solo a beneficio delle fabbriche nazionali, ma anche dcli' agricol– tura. Ora, se con ciò si volesse intendere che per alcuni prodotti del suolo come per parec– chi delle manifatture furono segnati nella ta– riffa forti dazi d'entrata, la cosa starebbe. Ma se si vuol dire o lasciar credere che i dazi agrari fossero preordinati alla difesa dell'agri– coltura e che di tale difesa questa si sia gio– vata, la cosa è del tutto diversa e non ha fon– damento di vero. Presupposto logico di un dazio protettivo e condizione indispensabile della sua azione economica è la concorrenza effettiva, rilevante che le merci forestiere sulle quali è imposto facciano nel mercato nazionale alle stesse merci del paese che lo impone. È un fatto in– contestabile che i vini, gli olii, gli agrumi, le frutta, i legumi e gli ortaggi italiani non era– no minacciati dalla concorrenza estera sul mercato italiano prima del 1887, nè furono doro nè sono oggi. Essi furono e sono bensi minacciati, anzi effettivamente ed efficacemente osteggiati dalla concorrenza estera, ma s•,j mercati esteri. Vedremo appresso come que– sta seconda effettiva concorrenza si debba combattere e si possa vincere, ma intanto met– tiamo bene in sodo questo punto: che di nes– suna difesa artlhciale avevano bisogno sul mercato interno le produzioni agrarie italiane, specie quelle caratteristiche del Mezzogiorno; e ciò per la semplice ragione che trovavano come trovano tuttora la loro naturale di1es;i verso i produttori forestieri nel fatto della loro naturale sovrabbondanza al bisogno del con– sumo italiano. L'esame delle statistiche del commercio d'entrata e di uscita di tali pro– dotti per il :1ungo periodo dal 188o al 19,3 ci mostra chiaro la quasi costante esilità del primo di riscontro alla robusta mole del se– condo. Se tuttavia le importazioni, per quanto trascurabili rispetto alle analoghe esportazioni, seguitano il loro corso, con i dazi o senza, ciò non si deve alla concorrenza estera, ma anzi al bisogno che ha il nostro paese di importare tali derrate sia per sopperire alla scarsezza dei prodotti nar.ionali negli anni di scarso raccolto - e l'andamento delle serie statistiche denota appunto la costante coinci• denza delle più C"f)Ì· se importazioni coi mfn– cati o delll ..1cnt1raccolti - sia perchè i Pro-. duttori e fabbricanti possano farle servire da correttivi o da miscela nella manipolazione o fabbricazione dei prodotti indigeni 1 come av– viene per gli olii e per i vini. Ed ecco che possiamo trarre la prima con– clusione : i dazi agrari di importazione non hanno nulla gio,ato e nulla giovano all'agri– coltura italiana che è naturalmente esporta– trice. Essi al contrario arrecano un danno al consumo na· ·onale ed alle industrie agrarie nazionali, danno che può essere rilev3llte e L'UNITA doganale e le esportazioni nel Mezzogiorno agrarie che si genera nel tempo e nella misura in cui le q•rnntità importate debbono colmare le de– ficienze del prodotto indigeno o ag,,.volame la commerciabilit;\. Ma allora - viene facile la domanda - perchè furono stabiliti tali dazi? E non è difficile la risposta : essi rappresen– tano l'illusorio comi enso dato ai ceti agricoli dalla loro acquiescenza al ferreo regime di protezione industriale che si volle adottare. È storia antichissima che vediamo ri;-etersi an– che oggi, ma oggi - è da sperare - con tut– t'altro esito da quello passato. Quando si è in procinto di riformare l'ordinamento doga– nale e di rinnovare i patti di commercio, e gli agrari si muovono per la tutela dei loro inte– ressi al fine di infrangere o almeno alleggerire la 6rave armatura dei dazi protettivi che pesa suWeconomia rurale, o almeno almeno depre– care la minaccia di nuovi aggravi vedete sem– pre gli emissari delle industrie protette cor– rere ai ripari per deprecare a loro volta il pericolo di un'efficace azione antiprotezioni– stica dei ceti rurali. Allora essi, che frattanto fucinano :-apientcmente i nuovi pesanti conge– gni daziari nell'ombra delle commissioni uffi– ciali e nella penombra dei comitati ufficiosi, dove gl' interessi dell'agricoltura non hanno rappresentanza adeguata o non ne hanno ve– runa, vengon fuori a promuovere intese conci– liative predkando la concordia di tutti i pro– duttori, la comunanza di interessi fra industria e agricoltura, tra Scltentrione e Mez7,0giomo. Quando le intese non vanno a male, e cioè quando gli agricoltori abboccano al11esca, il ri– sultato è che si elevano tutti i dazi industriali, ed agrari, ma l'effetto della inasprita prote– zione è che aumentano i redditi delle industrie favorite dai più forti dazi a spese dei consu• matori, e si contraggono i redditi della pro• duzione agricola che non può trovare alcun compenso nelle gabelle agrarie destituite cli ogni cfficicnr.a economica. Molti buoni segni lasciano sper~re che que– sta volta il gioco non voglia riuscire. Taluna di siffatte intese .è già miseramente fallita per la consapevole vigorosa resistenza che vi han– no manifestata i rappresentanti degli inte– ressi agrari. I tempi sono mutati e non ulti– mo segno dei nuovi tempi è questo che in un congresso di agricoltori calabresi possa trat– tarsi, sia pure per bocca del meno idoneo fra i relatori, la questione doganale, il che vuol dire che in essi si \'iene affinando il senso (X>– litico e si è già fomlato il convincimento che la rinascit.t calabrese non è legata soltanto a soluzioni tecniche, ma anche ed in primo luogo a quelle grandi e generali direttive di politica economica che delle prime costituiscono il ne• cessario fondamento. Le cose dette circa la niuna forza protet– tiva dei dar.i agrari italiani in generale, ron valgono per il dazio sul grano, poichè riguar– do a questo noi riscontriamo che sussisteva, quando esso fu introdotto nella tariffa italia– na, la condizione che ne determina l'efficacia economica e che abbiamo visto manc.are per gli al·ri: e cioè concorrenza estera provocata dall'insufficienza Jel prodotto indigeno al bi– sogno del consumo interno. ~fa riconosciuto ciò, dobbiamo subito combattere un'altra tesi .dei partigiani della protezione industriale. Af– fermano CO;,tOro, senza dar~i cura di dimo– strarlo, che i sacrifir.i chiesti o imposti alla agricoltura col sistem.a protettivo industriale furono con larghezza compensati, prevalente– mente in favore del ].lezzogiorno, dal dazio sul grano. Or.i basta soltanto notare che il rendi– mento unitario della coltura a frumento è po– verissimo nel Mezzogiorno e nelle Isole (quin– tali 8 1 5 a ettaro nel quinquennio 1909·t913), disastroso nella Calabria (dove nelle provincie cli Cosenza e Reggio Calabria discende a 6 quintali), rispetto all'alto rendimento che si ha nelle regioni più grani ere nel Nord (me<Jiadi r4,6 quintali a ettaro), dove in alcune provin– cie come Ferrara e RO\•igotocca i massimi ài 19 e 20; basta notare che l'.ue terzi dell' in– tera produzione granaria sono dati dJ. soli 4 compartimenti nordici, Pi ·monte, Lombardia, Veneto, Emilia, nei quali Li super :cie colti– vata a grano rappresenta poco più di un terzo della totale; laddove il Mezzogiorno e le Isole da una superficie coltivata che è esattamente la metà della totale ritraggono meno di due terzi dcli' intera pMduzione, per riconoscere l'erroneità di quella tesi. t chiaro difatti che il dazio crea un soprareddito solo in quelle zone dove per effetto degli altri rendimenti unitari, il costo di produ1.ione viene a ridursi. e non in quelle altre. come le meridionali e specialmente la Calabria, dove si ha una con• dizione di cose perfettamente in\'er~ e do,·e per conseguenza il dazio ha avuto il solo ef– fetto di mantenere la coltura granaria in terre che l'avrebbero ricu&ita. Se ciò :-.iastato con pregiudizio o con vantaggio del Mezzogiorno e in genere dell'economia nazionale, non t! qui il luogo di es.'.\ruinare nè importerebbe ai fini delle conclusioni che a mio modesto parere i I Congresso clo,•rebbc prendere. Qui importa in– vece fermare che se il da1.io sul grano aveva fra gli altri lo scopo cli r.ontrappesare a bene– zio degli agricoltori meridionali. i danni della i rotczione industriale, tali• scopo è totalmente fal 1 ito. 11. danni della protezione industriale. E passiamo ad un secondo quesito: l'agri– coltura ha risentito danni dalla protezione largita a molte industrie? Perchè e quali? E un fatto, analiz1.ato fra gli altri con pili am– pia cd acuta disamina dal Valenti, che l'agri– coltura italiana ha progre<lito assai lentamente negli ultimi decenni; per lunghi anni e sino al HJOO si ha anzi a lamentare un vero e pro– prio ristagno. Non siamo così semplici da met– tere a canto della sola politica doganale que– sto mancato o tardo avanzamento che fa un non lieve riscontrQ al mirabile progres.w della industria manifatturiera. Ma non sapremmo es– sere cosi disinvolti, alla maniera di molti pro– tezionisti nostrani, da escludere dal novero delle molteplici cause deprcssi\'e e ritardatrici il fattore doganale, che anzi ci palesa 111. sua grande efficacia, positiva o negativa, attraverso i dati del commercio estero, dati che costitui– scono uno degl' indici più sicuri del movi– mento e onomico. Premesso che in un paese come il nostro, la cui struttura economica è tuttavia preva• lentemente agraria, non s'intende e non si dà un progresso agricolo e quindi un pro-. gresso economico generale senza una forte corrente cli traffici con l'estero nella quale le esportazioni dei pfoclotti del suolo e delle in– dustrie agrarie rappresentino buona parte della mole degli scambi e si svolgono con costante crescenza. diamo una rapidissima occhiata al commercio dei prodotti agrari. Ebbene n 1 i tro• viamo che nel ventennio dal 1892 al r912 le esportazioni agrarie italiane non, hanno fatto alcun cammino relathamente a tutto il traf– fico di uscita. Nel 1892 essi rapprcscnta\'ano il 4 L41 per cento del totale commercio di usci– ta, nel 1912 essi ràpprescnta\·ano ancora il 41. 13 per cento. Con questo di pill grave che l'ali– quota percentuale del 4 1 è ricomparsa appena nel 1912 dopo un periodo di anni durante i quali essa è clisccs.-ial 36. al 35 1 al 34. Se si considera inoltre che nello ste~so periodo il totale delle nostre vendite a.Ilestero è cre– sciuto, quasi triplicandosi, da milioni 958 a milioni 2396 1 con un aumento di circa un mi– liardo e mezzo, laddo\'e l'incremento delle esportazioni di origine agraria supera di poco il mezzo miliardo; <I i contro ad una produzione media anuua \'aiutata in sette miliardi, non si può negare che scarsissima. parte abbi.t avuto Pagricoltura in questo più notevole ascendere del nostro commercio di tm:ita. Qucst; dati 1.on solo ci chiariscono che la politic<t di pro– tezione non ha punto favorito l'espan-.ione <lei prodotti agrari sui merc,iti cs1i.;ri,con conse– guente deprezzamento nel mercato interno, ma ci spianano la \'ia alla conclusione cui \'erre– mo appresso, e cioè che e~sa politica abbia agito come uno dei più validi coefficienti ad anemizz,trc l'organbmo agric.-ulo del paese, se– snatamente nel Mcz.i:og·orno, il quale, pove– rissimo di indti-;trit' manifatturiere, è stato in ultimo termine il \'Cro soffridolori del regime protettivo indu::Jtriale. Notiamo intanto che da un confronto sta• tistico tra esportazioni a •rarie settentrionali ed esportaz1 ni <tgranc meridionali, resulta come le seconde -.i siano svolte con assa1 più lento ritmo delle prime. Una distinzione nella fra que;,te du · com nti del traffico di uscita non può farsi ma abbiamo messo insieme da uaa parte un gruppo ('.i merci (riso, animali bu\'ini, ca:ni e pollame, UO\'a di pollame, burro e formag;.;io), la cui produ:r.:ione è in grandissima pre\',denza del Nl'•rd; dall'altra un gruppo <li prodotti (vino, olio, agrumi, frutta sccc&),precipuamente caratteristici del– l'economia agraria meridionale. Esaminando il loro andamento commerciale nel ventennio 1892-1912 - periodo dunque cli protezione, scarsamente, come diremo pilÌ avanti, tempe• rata dai trattati di commercio, e fatto per en– trambi i gruppi eguale a I oo il valore della esportazione nel quinquennio 18<)2-1g96,osser– viamo che mentre il primo (prodotti settentrio– nali) ~i porta con una progressione di anno in anno costante. da 100 a 239 1 5, il secondo (prodotti meridionali), passa attraverso conti– nui alti e ba~s: 1 da 100 a 154,6. Tanto basta per convincersi che il tardo progresso del commercio dei prodotti agrari italiani è stato con sacrifizio di ;,rran lunga magg-iore per il ~fez7,0giorno. Un malinteso senoo di amor pa– trio, sotto il cui velame si na'icOndono ... pesso e non sempre con guardingo rii,erbo viluppi d' interes"i e gagli;-irdie di appetiti, vorrebbe occultati tali e consimili raffronti come nocivi allo spirito della concordia nazionale; quasi chP il male del i\lezr.ogiorno non sia il male e la vergogna d'Italia, non sia l'impaccio più grav~ d1 ogni progresso della vita nazio– nale e non sia consiglio di retto amor di patria il voler rimuo\'erc tale impaccio e dis– sipare t·ilc ver;;ogna. Abbiamo chiarito che il -.bt, :na di protc• zione industriale nnn haesc,rcitato alcuna azione positiva <l' irupu 1 ,_,, sull' es• and rsi dei nC'lstri prodotti agrari. Ycdiamo ora se la sua azione poteva cssc1e e ~ia s1ata negativa. È e,·idcnti:: d1e un primo e g-ra,•e danno la agricoltura lo ha ri!>Cntitoe lo risente di– rettamente dal rincaro delle materie necessarie o utili al lavoro ( 1 t:i campi e sulle quali gra• vano i dazi dì importazion~. Poiché tali dazi sono impO'ili su le macchine agricole, sui con– cimi, sulle materie di cui si compongono an– che i più semplici e rozzi attrezzi rurali, sui materiali da adoperarsi nella costruzione deile case coloniche e degli altri fabbricati campestri, ne segue che 1 prezzi di coteste merci si ele– ,·ano del totale importo del dazio, rincarando il capitale cli miglioria e d'esercizio dell'a– zìend,l agrari;1 e rialzando p.. :r conseguenza il costo di produzione. li che, oltre tutti i guai che è superfluQ menzionare, interdice l'ado– zione di quei metodi culturali pedezionati che trasformano I' agricoltura di estensiva in inten– siva e dai 'luali ragionevolmente si attende la prosperità delle no~tre terre ed un riflusso di bent!'-'ierc in umo il tenore di vita delle nostre genti. ~[a un se on :o danno, indiretto, l'agricol– tura lo rihente per la minorazione dei redditi che gii agricoltori !subiscono come tutti i con– sumatori di manuf,ttti, li prezzo <lei quali. ri• mossa la concorrenza estera per effetto del dazio, t! artificialmente rialzato. Tale contra– zione di reddito non occorre dire quanto con– ferisca allo svilimento della terra ed alla de– plorata tarriit,\ della tecnica agr.iria nel Mez– zogiorno. Il quale infine 'iOpporta i maggiori sacrifizi per l' inLeppame11to che I dazi industriali met– tono all'esport-1zione delle derrate. E' questo il danno cli gran lunga magf;'iOre, sul quale giova ~offcrmar--i un roco. E' noto ·hc la tariffa italiana statuita nel 1887, net'clevare i dazi delle voci industriali andò molto ,\tre il limite della moderata di Bi neo

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