L'Unità - anno VIII - n.9 - 1 marzo 1919

che lo si ,possa e lo si debba risolvere a1 mo– nicamente e radicalmente, · senza bisogno e necessità di tirarci in casa non graditi irre– dentismi; ed abbia1no fede grande nella crea– zione e nel funzionamento della Società delle Nazioni, per garantire la pace durevole. Gli altri non si preoccupano dell 1 irreden· tismo e del pericolo che esso maturi nuove guerre in ayvenire, come le ha maturate in passato, perchè non hanno fede che le guerre siano per cessare nel mondo, e nulla fanno perchè cessino, nè credono che la Lega delle Nazioni possa ~arentire la pace durevole. e nulla fanno perchè la Lega trionfi! Da questo punto di vista pii1generico, sen1.3 entrare in particolari, è age\'ole comprendere perchè noi, di parte democratica, abbiamo com– battuto lo spirito stesso. che informa tutto il Trattato di Lòndra. JI 'Trattato non prevede e non vuole lo smembramento dell'Austria nei suoi elementi nazionali; - non pre\'ede e non vuole la uni• ficazione nazionale del!a Jugoslavia: - prevede e vuole, im·ece, una Serbia ingrandita e un'Au• stria diminuita; - smembra la Dalmazia, che è una unità etnica; - smembra un'altra unità etnica. l'Albania: - abbandona Fiume alla Croazia, che non deve unirsi alla Serbia: - ini:orpora Sebenico all'Italia col retroterra, fino alle Alpi Dinariche, che è abitato soltanto da croati; - abbandona indifesi ai croati tutti i nuclei italiani della costa dalmata a sud di Se.° benico; - non dà alcuna assicurazione di auto• nomia ai nuclei slavi che incorpora all'·ltalia, e non reclama assicurazioni di autonomia a favore dei gruppi italiani, che non :i.Iannette: - non risolve la questione commerciale del porto di Trieste, la cui occupazione per parte dell'Italia crea il contrasto tra la sovranità pPlitica del porto e la sovranit:\ politica del retroterra. A coronamento dell'edificio, il Trat– tato escludeva dal negoziati la Serbia, e vin• colava i contraenti al segreto diplomatico, per fare ignorare alle po1>9lazloni Interessate il mercato che di esse si faceva! Il Trattato di Londra è la Citar/a del principio di antinazio– oalità; è la negazione diretta dei principii, che la Grande Guerra ha trionfalmente affermati. Ecco perchè elSO, più che atto di imperia• lismo, è diventato un anacronismo storico nella guerra mondiale, e non potrà uscir vivo dalla Conferenza di Parigi. E bene che il pubblico sia preparato a ciò. Oggi noi vediamo quale grave errore sia alato• di non a\·er legato la Serbia all' ac• cordo preliminare pel nostro intervento. Oggi la Serbia è libera: e i suoi uomini poli– tici ·se ne a"valgono per tenere un linguaggio ben diverso da quello che tene\'ano nel 1915, 1916, 1917 e 1918, quando sollecitarnno di accordarsi con l'Italia, e le loro proposte erano sistematicamente rifiutate! Non è questa una critica postuma. Ecco quanto io affermavo a\. l'Ass«ùrz,O,,e Radicale Roma11a il 20 febbraio 1915, col consenso unanime dell'Assemblea: « La soluzione del problema adriatico con• « siste nello escludere opi forma di dominio « politico - austriaco, germanico e slavo - « dalle coste adriatiche abitate da popolazioni « italiane. Questa soluzione solleva una que– « stione grave: quella del mare, Il cammino « dei popoli verso il mare è insanguinato di « guerre. E noi non intendiamo seminare cause • di futuri conflitti. Epperò dobbiamo essere « pronti alle maggiori concessioni di carattere « commerciale, per assicurare io ogni tempo « il traffico dal mare ai porti italiani dell'Adria– « tico e da questi ai rispetti\'i ltinterlands au• « striaci, sla"i o ungheresi. Arrcnde,·oli al mas– « simo sul terreno commerciale,' siamo altrct– « tanto intransigenti l)Ulterreno politico. I soli « accord,- o <ompromasi REClPROCl di caratte,-e « poHli'copossonoe debbonora1[Ùmroolme11Je ti,ler• « cedere a sud di Fiume. tra l'Italia e la Serbia». E dopo aver detto che il nostro inter\'eDto ar• mato era necessario per arri\'are alla Conferenza della Pace col fatto compiuto delle rh-endica– zioni nazionali, aggiungevo·: « Non basta pre– « parar con le anni il fatto compiuto. Questo « dovrà aver la sanzione del Congresso ed esser « gar:tnt.ito contro il pericolo delle controri,·en• « dicazioni .... Il d,e 11011 è possi/11'/e se11:a accordi • prelim,1lari tor, gli Sla'i dtll' /ultso e con la « Serbia: - ·àccord, cht ù1 questo m<n11ento, mm– c lrt duro lo ·tuerr,1 e I' olluale equiH/JriO delle « fcJr:t l>e/Hgtra1,1i, i più faàlt di to1uludere ti, L'UNITA « temuf1,' a 11oi fo;,,ore:,,ol," ». (IA gtur,q europeo, presso l'l./11ilà, 1918, pag. 13-14). La Società delle Nazioni. Se non che da questa critica risulta anche che il Trattato di Lonèra non C più. per st: stesso, un pericolo cosi grande per la conclu~ione di una pace democratica. Il 8UO pericolo oggi sta in ciò: - che_se il Governo italiano si ostina a salvarne il più possibile. invece di prendere tutta u~•altra \'ia per risolvere il .- problema nazionale », rischia di dover com,entire agli imperialismi degli altri. o·onde il pericolo che l'Italia si trovi legata ad un trattato di pace, che contiene i germi sicuri di nuo, e guerre. e ad un'alleanza di Potenze, che saranno chia– mate a combattere quelle guerre. È pr~prù, questo 11 problema c11l111ù1anl~ del• l'ora. che a/traversiamo. Non t: tanto e non è soltanto il piccolo imperialismo italiano contro piccoli popoli alleati: è l'imperialismo dei grandi alleati contro la Germania vinta, che prepara un domani di nuovi conflitti armati e di nuovi e maggiori armamenti. Tutti gl'impcri.aiismi sono inquesto mome1lto intorno al tavolo della Conferenza. All1irupe• rialismo dalmatico d'Italia risponde l' imperia– lismo renano della Francia. a cui fa eco l'im• perialismo marittimo e coloniale dell'Inghilterra. Noi siamo minacciati dal pericolo della nuova guerra, che n;tscerà dalle annessioni francesi di terre tedesche: come la Francia è minacciata dal pericolo di guerra, che nascerà dalle anne:,• sioni Italiane di terre slave e greche e tedesche a un tempo. L' i.'ninto di conservazione, èi fronte ai te– deschi di Germania e d'Austria, che si uniscono, ha già smussato alcuni antagonismi, che erano apparsi tra alleati subito dopo la vittoria, e ob• bligherà questi ad una sempre più stretta unione. Così che, come si è fatto il fronte unico militare ed economico, dovrà farsi il fronte unico diplo• matico: - fronte unico di tutti gl'imperialismi. o fronte unico di tutte le rinunzie. Le due correnti si sono delineate gi:ì alla Conferenza di Parigi: - \Vilson da una parte e... gli altri dall'altra. Si l'adì che trattasi per ora di due tendenze; l'una s'iacammina a risolvere le \'ecchie que– stioni delle frontiere-dove esistono zone miste e controverse - a mei:zo di eque e reciproche concessioni;. l'altra a mezro della occupazione unilaterale e totale per parte del vincitore o del più forte. Un nuo,·o metodo. il metodo della conciliazione, si pone contro il vecchio metodo della guerra perpetua! Finora la storia europea si è svolta tutta sulla lotta per le frontiere. Ogni guerra finiva imponendo una soluzione e d,wa origine a una nup\'a guerra. Perchè le frontiere poli– tiche non coincidono perfetta.n1ente con le frontiere etniche, e non c'è frontiera militare ed economica, di cui l'egoiamo di una nazione non possa desiderarne una migliore ! Da questo fatto elementare è nato e si è perfezionato il shitema degli annamenti,, delle alleant.e e dell'equilibrio militare, causa prima e superiore della guerra attuale. Ora si badi che coloro, i quali vogliono uscire eia questa vecchia tndìzione di guerre ritornanti, non ritengon•.>neppure che gli equi compromes.si , fatti per trattati, ba.stano per as– sicurare la pace dure\-ole: e pensano perciò che quelli debbono essere integrati con li\ fonda– zione di un Ente politico « supema.1.ionale », che è la Lega delle Nazioni; - solo organismo, cKe può sottrarre le contese di frontiera allo stesso legittimo sentimento di nazionalit.ì., che le mantiene vive. Epperò la Società delle Nazioni è la ,intesi e la condizione ultima della pace democratica. Ciò premesso. il paese deve scegliere tra questi due indirizzi. Vuole una pace imperialista o una pace democratica? - Vuole la paco!' compltl<1 di Foch o la /au glfuta di \Vil!-on ? - Vuole che dopo la c.onclu~ione della pace si riprenda la. po· litica delle alleanze e dell'equilibrio. con la conseguente gara delle spese militari e degli armamenti, o vuole che si inauguri la politica del Concerto internazionale con la limitazione e il controllo degli armamenti? - Vuole che le questioni delle frontiere sieno riso· Iute con la forza delle armi, o a mezzo di equi compromessi? - Vuole, si o no, la. Società delle nazioni? - Vuole. in una pa- rola, un indirizzo che prepari nuove guerre, o una fine della guerra che assicuri la pace ? A questo dilemma bisogna arrivare, prima o poi, per intendere la portata delle due cort"enti politiche, che da per tutto si ergono l'una contro l'altra. Alla Società delle Nazioni si oppongono consolidati interessi materiali e vecchie tra• dizioni politiche. Ad e~sa aderiscono, invece, tutte le forze democratiche. Dal cozzo fra queste due correnti, che si contrastano nella Conferenza, è probabile che sia per uscire un comprome~so tra la pace durevole e la guerra possibile. Avremo quindi un organismo della Società. delle Nazioni, im• perfetto, rudimentale. che avrà bisogno di tempo per svolger:;i e funzionare. Ebbene. a un siffatto compromesso noi non dobbiamo adattarci. L'opera della Con– f~renza deve essere in parte disfatta. in parte continuata e perfezionata dall'azione politica della democrazia, prima che il compromesso fruttifichi nuove guerre. E' la dipl,ornazia che prepara la pace o la guerra. La diplomazia con trattati segreti, è stata finora monopolio di una casta. Questo monopolio de\•e esser rotto. Fino a che gli eserciti erano professionali o piccoli di numero, il popolo restava prati• camente estraneo alla politica, che preparava la guerra, e ai sacrifici della guerra guerreg– gfa.ta . Ma ora che la guerra si è anch'essa de– mocratizzata, nel senso che scatena popoli contro popoli, questi non possono restar estra– nei alla politica estera. La politica, che pre• para o evita le guerre, de,·e esser controllata da coloro che sono chiamati a combatterle. Questo C il nuovo, alto significato politico del suffragio elettorale conquistato da tutti i combattenti. E grandi e nuovi doveri derh·ano da questi nuO\'Ì diritti a. coloro, che avranno l'onore di dirigere il movimento dem:>cratico del prossimo domani. Con voi ho voluta la guerra, perchè con voi ho \'Oluta la pace democratica. Per questa, anche solo, continuerò a combattere, Ma a di– fesa ultima della pace antimperialista, voglio concludere con, un rilievo di politica interna. La guerra a\·ea scisM>la. democrazia, cosi cors.e avea scisso i partiti conservatori. A,·ea formati due, fasci caratterizzati rispettivamente dall'interventismo e dal neutralismo. La pite– senza di una frazione democratica nel fascio interventista ha reso possibile la guerra, ad onta del ph'.t numeroSO blocco delle forze neutraliste. Se i partiti si fossero divisi in un blocco democratico contrario all'intervento, e in un blocco consen·atore favore\·ole, ad onta della preponderanza nwnerica di questo, la guerra non sarebbe stata possibil'°. Tale è il servizio che la democrazia in• terventista ha reso all'Italia e all'Umanità. Ma oggi. nel paese si delinea una ben di• versa situazione politica. Di fronte al « pro– gramma della pace » 1 ayviene quel che non era avvenuto di fronte al « programma della gtJerra ~- Da una parte si va delineando e automaticamente formando il blocco di tutte le forze democratiche, che si dichiarano con– trarie ad una pace imperialista. Dall'altra si ritrovano le frazioni conservatrici dcll' inter– ventismo, che concepirono la guerra come mezzo di conquista, unite a quelle del neu• tralismo giolittiano e clericale, che non vollero la guerra, ma che ora intendono sfruttare la vittoria con la stessa mentalità dei conser• vatori interventisti. Dello scontro di queste due correnti op– poste si è avuto un saggio recente a Milano. La situazione politica interna è E:,ià gra· vida di incerte1.2e e di irrequietezze. Essa diventerà pericolosa. se da Parigi verrà l'an• nu.nzio di una pace imperialista, di una pace che non sia la pace di Wilson. li movimento di reazione contro i dolori della guerra ha bisogno soltanto di una ban• diet"a, che riunisca le frazioni già dissenzienti e dia ad essa una meta comune. Avvertimento a chi tocca! Parlando al di fuori delle gelosie di par– tito, delle opportunità parlamentari e delle contingenze elettorali, ho inteso di compiere il mio ultimo dovere di ra11presentante politico. E ,,i ringra.zio di :i.vermene dato cortese opportu– nità. Antonìo de Viti de Marco. / el convegno degli " unitart •• La sede e la data. Sulla. sede del convegno, la ma6giorauza di quegli amici, che ci hanno scritto, dichia• raudosi desiderosi di parteciparvi, si è pro• nunciat.1. per Firenze. E pure noi accettiamo Firenze, anche pcrchè qui esbte già un grup– po di amici, volonterosi e attivi, per assumersi il lavoro ~ecessario di organi1.1.az 1 o ne. Quanto alla data, per ora ci sembra che la soluzione più ragionevole sia di stabilirla durante le vacanze di Pasqua. E ciò per i seguenti motivi : 1. 0 perchè allora è da sperare che pa• recchie classi di ufficiali saranno smobilitate ; 2.0 perchè in quei giorni la Federazione degl' insegnanti medi tiene à Pisa il convegno nazionale: parecchi insegnanti, quindi, che so-– no amici antichi e attivissimi dcli' Unità, e che andranno a Pisa. potranno, senza eccessiva spesa e disburbo, fermarsi a Firenze, prima o dopo il loro convegno professionale : 3. 0 perché una diM:ussione di alcune settimane sull' Un,-ltì è indispensabile a matu• rare con serietà le idee per il convegno. Abbiamo scritto per ora, perchè non ci è lecito escudere che un'eccessiva lentezza della smobilitazione od altri fatti impreviati ci ob– blighino a rinviare il convegno. Ma speriamo veramente che ciò non sia. E vorremmo che i no• stri amici facesserotutlociòche è pouibile per li~ berarsi da ogni impegno per quel giorni. Non appena avrmlo rii:n,ulo cento oduw11,· J>lr f'lt'/la data, la co11sitltrert1M sen:'allro amu dtjini"tiva. I temi da discutere. I temi, che più interessano i nostri amici, sono risultati con sufficiente chiarezza dalle loro lettere. Il primo si riferi8ce alla organizzazione de• gli « unitari ,._ Su di esso si è discusso lun– gamente anche in una riunione tenuta domenica scorsa a Firenze, e di cui diamo il TCSOCODto in questo numero del giornale. La discussione è aperta per chi abbia qualcosa di nuovo e di interessante da. dire. L'altro problema, che ci afferra proprio per il collo e che tutti siamo convinti sia proprio il problema improrogabile per eccellenza, è quello della riforma dell'amministrazione, cioè della lotta contro l'accentramento burocraUco. È ,I p,o/Jlema della rh,o/uci(>ru, di cui tutti par– lano - anche quelli, che più avrebbero da temerla. :-, se la rivoluzione non deve case• re una semplice rottura di fanali e di pali telegrafici, destinata ad esaurirsi in qualche mese, o magari in qualche settimana di bal– doria sconclusionata, per cedere Il posto a una reazione cieca e brutale. La rivÒluzione o è un non senso, o non può essere che una rifor• ma radicale della pubblica amministrazione: una lotta di clas:se di tutte le classi produt– trici della nazione contro la casta burocratica, che dai Ministeri soffoca e rovina l'[talia. Forse la rh-oluzione, cioè la crisi di violenza, di cui tutti parlano, nessuno potrà evitarla: perchè la casta burotratica è incorreggibile ' nella sua presunzione, e sta facendo tutto ciò che può per mettere alla dis1>erazioneanche gli uomini più amanti del quieto vivere; e d' altra parte il paese non sa esso stesso quel che è lecito chiedere .:,ll'amministruione dello Stato, e le domanda spesso proprio ciò che essa non può· da.re , e cosi mentre eccita la pre~unzione burocratica ad estendere le' pro-– prie funzioni, ne intensifica la impotenza e gli errori, e in conseguenza si esaspera nella de– lusione inevitabile. Ma proprio nella ipotesi che una crisi di violenza ci sorprenda, sarebbe necessario che fosse 1>ronto nel nostro paese un gruppo di uomini, con idee concrete e sicure, sul piano secondo il quale sidovrebbe ricostruire Ìapuhbiica amn1ini"trazione, dopo che fosse sta– ta demolita, più o meno largamente, dalla crisi. S910 a questo patto potrà uscire un gran bene da un gran male. E forse un gruppo di uomini attivi, che sappiano chiaramente quel che in questo campo si può e si deve volere, riescirà ad evitare una crisi violenta, imponendo alla casta burocratica, col pungolo della paura, le rifanne necessarie. Per lo meno servirà a in• canalare, finodal primo momento, la crisi verso una soluzione benefica e rapida. ~!1- trario, avremo una « rh·oluzione sen~a p~-

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