L'Unità - anno VII - n.5 - 2 febbraio 1918

è stato ripetutamente formulato sopratutto dal Presidene Wilson, senza aspettare la conclusione della pace generale, quasi che fosse indispensa.– bile alla sua attuazione che vi aderiscano Ger mania, Austria, Turchia e Bulgaria! Si oomprende facilmente la difficoltà di organiz– zare ciò dhe si è chiamata la Lega delle Nazioni e •cUi regolrurne il funzioname.r,to. Ma si può prn– ced e re per gra.d i. Vi sono intwnto alcuni problemi sostanziali, di eamltere economico, alla cui soluzione q1rni qè1at– tro paesi sor,o più ohe mai interessati, ma sono oggi estranei ed u.ssenti: per esempio, il problema tlel regime coloniale. · -Plraticamente tutl~ le terre che pos8ono t1·attars1 come colonie sono in mano dell'Intesa. Lloyd George propor.e, per riguai·do verso la Germania, di rimandarne alla Conferenza della pace la si– stemazione. Sarebbe invece assai •più opportuno dl consideralrle come apparlenepza ddl'Jr.tesa, as– soggettandole al .regime della porta aperta e del– !" egual trattamento a favore di t11tti i paesi che, fanno prurte della Lega delle Nazioni. Similmente <vi ha il problema doganale ir,ter– allooto. Bisognerebbe fin da oggi l'isolverlo nel senso di abolire o ridm-re i dazi nei rapporti ,r,– terni della •Lega delle Na.zioni. E poi, a comple– mer.to , occorrerebbe unificare la legislazione che faciliti in tutti gli Slat i della Lega le èoncentra– zioni dei capitali e una più ipe1ieUa divisione ter– ritoriale della grande industria sulla più ,,asta airea della Lega delle Nazionf. i.o stesso elica~! della legislazione del lavoro. Sono questi alcur,i dei problemi, dati come esem– ])i, la cui soluzione gracluale potrà dar corpo a ciò ohe si è chiamata la Lega cl.elle Nazioni ; ma che fin da oggi renderel:lbero tangibile le superiori condizioni di vita, che ogni membro troverel:lbi, nella Lega. Cor, che questa divc'.lterebbc: senz'al· tro centro di attrazione e di adesione dei paesi neutrali, e ,portereobe aul6maticamente, cturante la guerra e a causa della guer,ra - senza minac– cia di iboiooUrug,gio- all'isolamento del i;ruppo belligerar,te degli Stati germanici, e po11·ebbe tra quei governi e le 'Popolazioni una questione, ohe avrebbe vfrtq di acuire, piuttosto che leni're, il dissidio latente, che esiste tra i due. E noi dell'Tn– lesa, che non siamo in guerra cor. n popoli nemici, ma con i Governi che li O])])rimono, abhiamo inle· resse di attrarre a noi la simpatia e gl'interessi delle popolazioni. , Su questa via tattica r.oi siamo stati, del resto, preceduti dalla Ge,·mania medesima, la cui nzione militare, a chi ,ben la guaTdi, ha proceduto sLste– maticamente alla 'ix:cupazione di quei territori dell'Europa occidentale, orientale e meridionale che, secondo il '])iÌano del suo programma imper'ia– lisla, dovrebbero restar sotto il suo domir,io di· retto o sotto il ~no controllo politico ed econo– mico. Basta confrontare una qualunque cartina di quelle pubblicale prima del 1914 J1EH" rnpp,resen– taTe d confini imrnagir,ari della « Pjù Grande {"-,ermapia », per vedere come essa coinciaa ton la presente cairta della guerra. Nè basta; poiahè la Germania oDera in questi vari paesi non come ur,a occup3nte pro tenmore, ma come un possessore che prepara, con l'appa– rnnte osservanza di certe fo1·mule 1>rocedurali cll ~ua invenzione, la trasformazione del possesso giuri,dico i.r, diritto di proprietà. Essa a~petla solo che l'Intesa glielo riconosca, ed ecco pe11Clhè vor– J'ebbe la 1>acee deve rare la gue1'l'a. Alla realizzazione definitiva del sua prog,ramma prebellico manca e mo.ncherà il nostro consenso. Invece la realizzazior,e definitiva, durante la guerra, del nos~ro prog1·amma postbellico dipende soltanto dalla nostra volontà.. E questa differe11Za cl0<vremmosapere sfruttare su:bilo. A. De Viti de Marco. A comil)ciare dal prossimo numero cesseremol' il)vio del giorl)ale a quei lettori cbe a– vel)do ricevutocopie di saggio IJOIJ si SOIJO abbol)ati. no B1 n L UNITÀ 23 11problemamilitaredellaDalmazia, Xei prossimi giorni la « Libreria della Voce » (Firen;e, via Riwsoli, 10) pubbli– c/lerd un volume ili Carlo Maranelli e Gaet,mo S!tlvemini, intitolato llaliani e Slavi nel problema Adriatico. Ne antici– piamo qui un capitolo. II dominio dell'Adriatico. Tnlti i conosci ton di cose navali, sanno eh,, data la. velocità e l'autonomia del naviglio mili– tare dei giorni nostri, a una flolla non occorr.i oggi, per avere il dominio del mare, di possede1·e in un !?acino marittimo un grande nwnero di basi navali: anzi le basi navali troppo nume– rose non ervono che ad aggravare inulilmen<è i bilanci a danno delle spese neces$a1·ie al materialo mobile; e le basi, che devono difendersi contro assalti dalla terraferma sono assai più inco mode e pericolose delle basi situate in isole; il dominio del mare è dato principalmente. dalla velocità, dall'armamento, dal numel"O delle navi, non dalla grande quantità delle. basi navali; - il confine marittimo è seyn11to non ila/la linen e dal raccorilo delle basi e delle fortiflca;ioni rr, stiere, ma dalla 710/ema e llatla attivitd della {Lotta. La riprova di questa teoria elementarissima noi l'abbiamo in due fatti storici caratteristici del secolo XIX e XX: la Turchia e la Grecia, ·ricch,s· sime di basi navali, non sono po,lcnze navali perchè non hanno flotta; viceversa l'lnghilten·a s1 contenta nel ~1edilerraneo di pochi centri strate– gici, Gibilterra, :vlalla, Famagosta, Porto Said, e se l'Ammiragliato inglese avesse finora ragio• nato come ragionano ce1•ti nostri strateghi, ge– condo i quali « dev'essere canone elementare (sic) d'una Nazione marittima cl'impeclire, a qualun– que costo, che le posizioni stntlegiche intorno alle sue coste sieno in mano d'altri, specialmenlr se nessun'altra posizione equivalente o superioi·e sia possibile contrapporvi » (on. Foscari, nel vo– lume La Dalma;ic,, pag. 169), se cioè l'Inghilterra avesse preteso il possesso politico di tutte le I}O· sizioni navali nell'Atlantico e del Mediterraneo, a quest'ora si troverebbe sulle spalle tutte le po– tenze atlantiche e meditenanee. Venendo all'Adriatico, lutti i tecnici affermano: che basterebbe in questo bacino il possesso di un centro strategico e di un centro difensivo per assicurarvi la posizione militare dell'Italia; - e Venezia è, secondo lutti i nostri tecnici, un ottimo centro difensivo, e Pola è il « centro strategico assoluto II dell'Adriatico, e il possesso cli Vallon:t, assicurando « il dominio cli entrambe le spond~ adriatiche nel punto ove esse maggiormente si avvicinano, darebbe all'Italia le chiavi dell'Adrh– tico, il comando sullo sbocco di esso nell'Jonio, e la ,possibilità di bloccare, se non addirittura di trozzare l'attività militare austriaca "· (La prP,· 7Jara;ion~, diretta da E. Barone, 21-22 luglio 19H). Dal fallo che Roma e Venezia abbiano sentito la necessità di occupare la Dalmazia, non è le– cito dedurre che anche l'Ttalia abbia la stes-a necessità: altri tempi, allre condizioni. Finche la navigaziòne fu a remi o a vela, ern necessario ad una potenza navale il possesso di numerosi punti d'appoggio, poco distanti l'uno dall'altro, lungo tutto la via del proprio com– mercio, nei quali le navi militari e commerciali potessero rifornirsi e trovar rifugio contro il mare calli vo. Inoltre, in tempi in cui I~ pira leria &ra di fronte ai nemici un dirillo riconosciuto jai nemici stessi, ogni posizione costiera era un nido cli insidie permanenti per il commercio giorna– liero ciel paese, che non riescisse ad affermare su quella posizione la propria sovranità. Venezia, poi, fu spinta a prender piede sulle coste dalmate anche dalla circostanza che non riesci mai a possedere nessun permanente punto d'appoggio sulla costa occidentale del medio e basso Adriatico, dove gli tali di terraferma eran1 in grado di respingere ogni conquista, e perciò dovè rivolgersi alla costa orientale, barbara e di– sorganizzata e meno capace di difendersi. lnollrP., a Venezia, priva di terraferma, la Dalmazia of– friva il legname e gli equipaggi per le navi. Ma nel secolo XX la pirateria giornaliera non è più di moda, nè le navi si fanno più coi pini e coll'abete, nè l'Italia ha scarsezza di equipaggi per la sua marina mercantile e militare, e le navi sono mosse non più dai remi e dal vento, ma dal carbone e maga1i ùaiia benzina. Il problema def dominio del mare, dunque, si presenta in nuove condizioni, e va esaminato all"infuori delle ana– logie semplicistiche col passato. Del resto, anche ne) passalo, il dominio del mare era dato non tanto dalle basi navali quanto ilal/1 superioritd ilel naviglio. E per la storia militare dell'Adriatico è caratteristico il fallo che dellè cinque ballagl.ie avvenute in vicinanza della co– sta orientale (Zara 1202; Curzola, 1298; Pola, 1379; I.issa, 1811 e 1866), una sola, l'ulllma di Lissa, fu vinta dal possessore della costa orientale stessa, e non certo per tale possesso, ma per mancanza cli energia nel Persano, non compensala dalle ini– ziative dei capi in sottordine. E anche nella prima fase della presente guerra, !}rima dell'intervento italiano, ad onta del possesso non solamente della Dalmazia, ma della stessa Pola, l'Austria non rit1scì ad impedire che il dominio del mare fosse in mano della flotta anglo-francese, la quale era addirittura pri·va d'ogni punto d'appoggio nel-· l'Adriatico! Il fatto poi che le coste italiane sono quasi ovun– q11e importuose e costeggiate da bassi fondi, se ~ un grave inconveniente per il commercio, è un grande vantaggio dal punto di vista milltare: esso rende estremamente difficili g/.i sbarchi: e lutti gli scolaretti, che si destinano ad ufficiali cli marina, sanno a memoria ohe " uno sbarro ~ulle coste del basso Adriatico non può conse– guire alcun obbiettivo strategico così importante cla esercitare un'influen:m notevole sull'andamento della guerra al confine terrestre, ma soltanto oh· biettivi locaU di importa111,a secondaria 11; che « le coste del medio e allo Adriatico offrono minore facilità alle operazioni di sbarco delle coste tirre– niche, perchè le navi devono mantenersi a una certa distanza dalla spiaggia, e, dapprima le man. tagne quasi sempre prossime al mare, poi i ter– reni limacciosi e le lagune, limitano i tratti rii costa adatti a questa operazione: mancano inol· tre buone rade e golfi tranquilli », meno che in qualche luogo, come nei dintorni di Rimini: perciò maesh-i"insigni dell'arte militare marittima, come Domenico Bonamico (La difesa marittimt, dell' 1- laLia) nella serie delle 14 possibili offese, a ~ui pnò ,essere soggetta la costa italiana, classif\ca,10 al primo posto per « importanza e minaccia 11 col coefficiente 10 una ,invasione aiversiva fra la Spezia e Napoli, e appena al 9° posto, col co•t– Ociente 3, una invasione adriatica, meridiana\•, insulare, Qèialunque sia il nemico che la lenti. In queste condizioni, non è da persone serie descrivere lacrimosamente, come si fa da alcuni in Italia, la costa occidentale dell'Adriatico come aperta a ogni sbarco, che parla dalla Dalmazia, pl"Oclamare che Pola " ha .pochissimo valore stra– tegico 11, e che la costa adriatica occidentale ~ " un fianco indifeso e indifendibile 11, e che v,. nezia « dovrebbe, fino alla conquista della D.al– mazia da parte della flotta italiana, venire ab· bandonata alle proprie risorse e Qèiindi al prop,·io destino 11, e dichiarare che solo l'acquisto dell:t Dalmazia può riparare tanti gùai. (Foscari noi volume La Dalmazia, pag. 165). La guerra dura da circa tre ann"i: e Pola, no nostanle il suo « pochissimo " valore stralegirJ e nonostante· il dominio, che la flotta italo-anglo– francese esercita sul mare, continua a darci clR pensare; ma grazie a questo dominio ilalo-franco– inglese il fianco d'Italia è stato difeso e Venezia al suo destino non è stata abbandonata, flnchè sono rimaste sicure le retrovie della terrafermi. E viceversa, se non avessimo la.superiorità navale

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