Studi Sociali - anno V - n. 30 - 16 maggio 1934

come noi, la distruzione dei govtr11i d'ogni specie e la riorganizzazione socialé ratta dall'azione di– retta del popolo e senza delegazione di potere. Come noi, essi si propongono d'impedire con la forza che una .nuova forma di autoriti"l venga n. trafugare t risultali della Rivoluzione. Perché dunque non dovremmo uoi lavorare insie– me all'opera. comune? VI sono certo delle differenze tra noi cd essi sulle ,questioni -che si riferiscono al modo con _cui saranno organizzale la produzione e la distribuzione nella societa fu.tura. Noi, comunisti, pensiamo che la sola soluzione che possa risolvere tutte le dlf– ficolta e tutti I conflitti possibili In una soc!eta egua– litaria, e che dia sodisfazione nel medesimo tempo ai senlimenli di giustizia e di fratem!ta, é una organizzazione sociale basata sul principio di sol!da– rietA: da ciascuno secondo le sue forze, a ciascuno secondo i suoi bisogni, vale a. dire tutto é di tutti. I collettivisti, al contrario, pensano che la societa si rlorganizzera secondo il principio di giustizia: da ciascuno secondo le sue capacita, a ciascuno se– coil"do Il suo lavoro, vale a dlre a claacuno Il pro– dotto del suo lavoro: soluzione che noi troviamo tanto Ingiusta quanto angusta, e che ciel resto (se– condo i co1hunisti) é praticamente irrealizz3bile, o per Io meno incapace di durare senza evolvere ra– pidamente verso H comunismo o ricadere nel borgh9- s!smo. Ma tutto cl6 é per dopo la Rivoluzione e non puo essere una causa di divisione nella lotta che dobbiamo sostenere oggi. Ed anche dopo la Rivo– luzione una tale differenza non dovrebbe produrre che una concorrenza fraterna per diffondere II pii, gran bene sociale. Se noi fossimo un partito auto– ritario, cioé se aspirassimo a .costituire un governo e a Imporre il nostro parere, allora di certo po– tremmo marciare soltanto inst"eme con coloro che volessero dettare gli stessi decreti, le stesse leggi che noi. Ma poiché, secondo noi, é il popolo stesso, é ciascuno degli elementi ch·e costituiscono il po– polo, che deve provvedere alla sua organizzazione ecl all'accordo con gli altri elementi; poiché é l'e– voluzione spontanea, il libero gioco dei bisogni e delle passioni, e l'osservazione dell'esperienza di tutti che debbono determinare la !orma o le forme della vita sociale, noi, anarchie! di tutte le scuole, non avremo clie da predicare con l'esempio, sotto– ponendo alla prova dell'esperienza le nostre idee e le nostre soluzioni. Nelle lotte sociali, altrettanto che nelle ricerche scientifiche, é il metodo che primeggia e deter– mina I risultati. E i partiti si costituiscono secondo cl6 che si vuol fare, e non secondo c!6 che si desidera o c!6 che si prevede. Per conseguenza, ml sembra che tutti i socia– listi anarchici, che seguono gli stessi metodi di lotta, possono essere e sono dello stesso partito, Indipendentemente dalle questioni di riorganizza– zione t'ulura. • " . Finirò con alcune osservazioni su Ha tattica rivo– lnzJonaria. Noi dobbiamo mescolarci piu ch'é possibile alla vita popolare; incoraggiare e spingere tutti f mo– v!ment.i che contengono un germe di r!vo!ta ma– teriale o morale e abituano Il popolo a fare i suol interesei da sé e a non fidare che nelle proprie rorze; ma senza perdere mal di vista che la ri– voluzione per l'espropriazione e la messa In co– mune della proprietà e la demoJ!z!one del potere sono la sola salute del proletariato e dell'umanlta, e che per conseguenza ogni cosa é buona o cattiva a seconda che essa avvicini o allontani, racll!tl o renda p!u difficile tale rivoluzione. Si tratta per noi di evitare due scogli: da una parte, l'!ndifrerenza per la vita e le lotte quoti– diane, che ci allontanerebbe dal popolo e cl ren– derebbe per lui stranieri e Incomprensibili; - e d'altra parre lascfarct àssorbire da tali lotte, dar loro una importanza più grande di quella che han– no, e finir col dini~ntibàr-è la rivoluzione. Applichiamo c!o alla questione degli scioperi. Noi siamo caciiì{i a fai proposto, com'é un po' la nostra abitudine, da una esagerazione In un'altra. Tempo addietro. convinti che lo sciopero é im– potente, non soio per emancipate, ma anche per migliorare In modo permanente la sorte dei lavo– ratori. noi trascuravamo troppo il lato morale della qu<-stione e, meno che in qualcl1e regione, abbiamo lasciato queeto mezzo potente di propaganda e di agitazione quasi totalinente ai socialisti auto-ritari ~ agli addormentatori. Cessata queffindifferenza. in seguilo aì grandi STUDI SOCIALI scioperi di questi ultimi tempi o Special)nentc dopo lo sciopero del porto df Londra. che fece 1>ensare che se gli uomini che lo guidarono avessero avuta una. chiara concezione rivoluzionaria e non ne a· veesero temuto le responsabilità, si sarebbe potuto condurre i lavoratori clei dockH a marciare :mi quar– tieri ricchi ed a fare la rivoluzione; si n1a.nifesta ora una tendenza. all'eccesso opposto. cioé ad at– tendere tutto dagli scioperi e quasi a confondere lo sciopero con la rivoluzione. Questa tendenza é molto pericolosa, poiché essa fa nascere ttelle speranze chimerièhe e la cui pra– tica sarebbe, non dico certo altrettanto corruttrice. ma pure fallace e addormentatrice come lo stesso parlamentarismo. Si predica lo sciopero generale e sta benissimo; ma si ha torto, secondo me, quando s'immagina e si dice che lo sciopero generale é la rivoluzione. Esso sarebbe solo un'occasione magnifica J)er fare la Rivoluzione, ma niente di piu. Esso potrebbe tra– sformarsi in rivoluzione, ma solo se i rivoluzionari avessero abbastanza Influenza, forza e spirito d'ini– ziativa per trascinare i lavoratori sulla via dell'e– spropriazione e dell'attacco armato, prima che lo snervamento della rame, lo sgomento del maseacro o le concessioni dei pad'roni non vengano a demo– ralizzaro gli scioperanti e a ridurli in quello stato d'animo, cosi facile a prodursi tra le masse, nel quale si vuolo sottomettersi ad ogni costo. e si 3 considera come un nemico~ un pazio o un ag"Jnte provocatore chiunque spingo alla lotta ad oltranza. lo considero, del resto. come irrcallzzab!le un vero sciopero generale Dblle conclizionl economiche o morali attuali del proletariato universale; e credo che la rivoluzione sarà fatta molto prima che un tale sciopero possa prodursi. Ma di grandi scioperi se ne producono giA, e con l'attivitti. e dell'accordo si pu6 provocarne cU più grandi ancoro.; e potrebbe bene darsi che sia quella la forma con cllt comin– cerà, almeno nei paesi industrfal!, la Rivoluzione sociale. Bisogna dunque star ,;ul chi vive per pro– rittare di tutte le occasioni che possono presentarsi. Lo sciopero non deve piil essere la guerra delle braccia incrociate. I fucili e tutti gli ordigni per l'attacco e la di– fesa che la scienza mette a nootra disposizione, lungi dall'essere resi inutili dagli scioperi, restano sempre strumenti cli liberazione, che negli scioperi trovano soltanto una buona occasione llPl' essere utilmente adoperati. ~RRICO MALATESTA. (Tradotto da "La Révolte" idi Parigi, - anno IV, n. 4 - dal 4 al 10 ottobre 1890.) N. d. R. - La pubblicazione di questa lettera-arti– colo era preceduta dalle seguenti parole della reda– zione del periodico: "Riceviamo dal compagno Ma• latesta la lettera seguen1e". Il Corporativismo Fascista Italiano (Continuazione; vedi numero precedente.) Come primo passo, il 2 ottobre 1925 si celebrò nel palazzo Vldoni a Roma un accordo estrau!fi– ciale, ma !spirato direttamente dal governo, tra la Confederazione dell'Industria e l'Unione dei sinda– cati fascisti, in cui l'organizzazione padronale ~·im· pegnava di considerare la seconda come la legittima ed unica rappresentante degli operai. Si deve ricor– dare che l'Unione dei sindacati raec!sti comprendeva appena il 20 per cento del lavoratori. Col made– simo accordo si abolivano le commis,;ioni Interne nelle fabbriche. Un mese dopo il governo con un decreto dichiarava revocabili o modificabili i con– tratti ùi lavoro anteriori all'accordo di palazzo Vi• doni, abrogando le leggl che li garantivano. Come si vede, questo lavoro di eliminazione progressiva delle forze contrarie é lento e incosciente, giacché non sa dove vuole arrivare, guidato, in ciascùn suo passo, dalle necessita do! momento. Nel campo sin– dacale come negli altri il fascismo é, in quel pe– riodo di transizione, un movimento in cerca d'unn teoria. Dopo il novembre del 1925 le misure repressive e i decreti restrittivi contro le organizzazioni libere s'intensificano straordinariamente; per6 hanno sem– pre un carattere di battaglia, non costruttivo ma distruttivo. Non sto ad enumerare qui tali misure che <distrussero !In le apparenze del sindacalismo libero, perché m'Interessa arrivar presto a occupar– mi del lavoro di creazione del governo fascista nel terreno sindacale, realizzato principalmente nel 1926 e 1927. Con la legge 3 aprile 1926 nasce il corporativi– smo. Quest'opera legislativa fn completata da un decreto del Potere Esecutivo del 1.• luglio, stesso anno, e culmln6 nella "Carra del lavoro" promul– gata il 21 aprile 1927 in occasione della resta fa– scista del lavoro (1). Parallelamente i teorici ·dedi– cavano la loro attività alla formazione di una dot– trina corporativa. E' Interessante vedere a grandi linee questo ed!licio teorico, lnalzato dal fascismo come giustificazione di modificazioni reali, nella si– tuazione sindacale del popolo italiano, che si suc- l cedettero nel tempo senza ubbidire a nessun siste– ma, dirette sempre contro "qualche cosa" e non per la costruzione di qualche cosa. Secondo Alfredo Rocco, ispiratore della legisla– zione operala fascista, secondo Gino Ar!as, suo prin- cipale esegeta, e secondo una quantità di propa– gandisti, il plano costruttivo cui tende l'evoluzione dello Stato !tallano, é li seguente: 13 confedera– zioni, aumentabili a seconda delle necessita (e cosi ripartite: 6 operaie, 6 padronali e 1 per le pro– fessioni li-berai!) costituiscono come le colonne ver– ticali dell'edificio. Tanto gli operai come i datori di lavoro dovrebbero essere organizzati, ciascuno nel proprio campo, nelle seguenti confederazioni: dell'agricoltura, dell'industria, del commercio, del (1) Sulla Carta del lavoro vedere: "La Carta clel Lavoro'' di Francisco C. Bendicente, Buenos Aires 1928. credito, dei trasporti marittimi e aerei, o del tra– sporti interni. Le confederazioni sono formate (sem– pre nel progetto) dai sindacali. Nell'ordine sinda– cale che, come dice Rocco, é verticale, non si am• mettono Interferenze tra la zona del padroni e quella degli operai, nettamente separate. li rapporto tra que$te due forze, impegnate In un conrntto seco– lare che 11 fascismo dice d'aver risolto nel piano superiore degli interessi nazionali, si stabilisce at– traverso degli organismi orizzontali, chiamati cor– porazioni, una per ogni categor1a della prc.i~uzione. La corporazione, organo di sintesi ciel sindacato padronale e del corrispondente sindacato operaio, non ?a ~ttr!~uz1on! ben determi11nte. Non ha perso– nallta grnrid1ca, bensi é un organo ùell'amministra– zlone dello Stato; i suoi capi sono nominali dal governo. In teoria serve per conciliare gl'lnteressi degli operai e dei datori di lavoro a profitto della produzione e di tutta Ja nazione. Attrnverso della corporazione, i sindacati vengono ad Integrare lo Stato. Questo si chiama Shifo corporativo, non per– ché sia una emanazione delle cor1,orazioni, ma per• ché crea le corporazioni e per mezzo loro esercita un controllo generale su tutta la società. Nel suo dlscors~ clel 9 marzo 1928 alla Camera, Il ministro della Giustizia diceva Infatti: "Lo Stato corporativo non é lo Stato In mano della corporazione, ma é la corporazione In mano dello Stato. Lo Stato r!co– n~sce i sindacati, se. li assimila come propri mem– bri e si serve cli essi per arvvlcinars! alle masse e procurare il loro benessere morale e materiale". In relazione con le corporazioni lo Stato crea l'organo le_gislalivo, che é li Parlamento corpora– tivo. Al d1 sopra delle ·corpora.zloni, In un piano gerarchico superiore, stanno II Cons!gl!o nazionale delle corporazioni composto di 159 membri ed II Mln!ster~ delle corporazioni. Lo scopo dichiarato I di questi organi orizzontali di relazione tra sinda– cati operai e sindacati padronali é quello di so– stituire· l'auto-difesa di classe, pro!-blta gia dalle prime leggi_ sindacali fasciste, con la collabora2lone I di ~lasse; e quello di sostituire la solfdarleta inter• nazionale del lavoratori, con u'na solidarietà nazio– nale tra operai e padroni contro gli altri paesi. Noi vogliamo sostituire la guerra tra le classi con la guerra tra le nazioni, dicono i fascisti. Tutto questo edlffcio, che ancora non é passato completamente dallo stato di progetto a quello di real!zz~z!one, si basa su di un principio gerarchico. Già dai primi tempi della loro attività, I sindacati fascisti si distinguevano da,gl! a'itr! pel ratto di ricevere i dirigenti dalle autorita del partito, senza nluna des!g'i!azione elettiva era parte degli affiliati. Questo carattere si é andato accentuando sempre phl; ed ora é lo Stato che nomina I dirigenti sln– clacali, questo stravagante stato fascista che, se– condo la teoria ufficiale, é il creatore della Nazlone e si Identifica col Governo e col Partito, riducen– dosi, attraverso svariate finzioni lega.li, alJa persona medesima del Primo Ministro. Naturalmente, quest'architettonica organizzazione

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