Studi Sociali - anno II - n. 14 - 16 ottobre 1931

vita a modo nostro e cercar.e di tra.Scinare le mas– se colla forza dell'~sempio e l'evidenza: dei risulta– ti ottenuti. Si é costituita nell'America del Sud una "Allean– za Libertaria Argé.ntina" (1) elle pretende di aver superato "l'anarchismo dom.Illatico e anchilosato" e di "rappresentare una nuova direzione storica del– l'anarchismo". Noi non abbiamo ricevuto il "Mani– Cesto costitutivo" di quell'associazione e non pos– siamo giudicare con piena cognizione gli annun- . ziati "ferrei concetti elaborati in quindici anni di ardente, audace e profonda revisione dei valori dot– trinali dell'anarchismo". Speriamo di poterlo fare più tardi. Per ora ci pare si tratti di quello stesso tentativo, gia fatto e presto abortito in Europa, per conciliare l'anarchismo con la dittatura e simili prodotti moscoviti. Vediamo intanto che "El Libertario" di Buenos Aires, organo cli quella "alleanza" ha creduto di scorgere nei nostri propositi un passo verso la re– visione fatta e accettata dai suoi amici. Trova per6 che noi manchiamo di "energia iniziale" e non ab– biamo l'audacia di arrivare alle conseguenze ulti– me di quello che ad esso sembrano i nostri deside– rii - cosa naturalissima dal momento che quel che noi realmente vogliamo é ben diverso da quello cb'esso ha creduto. La verita é che i compagni del "Libertario" co– noscono male la nostra àzione passata ed inter– pretano peggio i nostri propositi per il presente e per il futuro. Infatti "El Libertario", parlando della occupazio– ne delle fabbriche, cli cui riconosce la immensa por– tata rivoluzionaria e nella cui sconfitta vede a ragione il principio del trionfo dei fascismo e della reazione, ci attribuisce delle cose veramente fan– tastiche. Secondo "El Libertario 0 gli anarchici italiani tro– vandosi cli fronte ad una situazione di responsabili– ta, di audacia direttrice si posarono, in un istante cosi supremo, 11 problema delle contradizioni tra la teoria anarchica e la pratiea rivoluzionaria. Le domande s'incrociarono come fuochi fatui (sic). Possiamo come anarchici e senza cessare cli essere tali, erigerci a" direttori di questa rivoluzione? E' permesso ai nemici di ogni autorit8. imporre un programma cli realizzazione immediata ai borghesi ed ai lavoratori? E' anarchico levar le fabbriche ai borghesi contro la volonté. dei medesimi? "In cosi bizantina discussione trionf6 il criterio dottrinario. Manc6 agli ai\archici italiani, in quel momento decisivo la chiaroveggenza e l'audacia che in Russia dette il trionfo ai leninisti. I nostri ca– merati si mostrarono tanto eccellenti teorici quan– to pessimi rivoluzionarii. La conseguenza cli cosi fatale irresoluzione fu la sconfitta del proletaria– to italiano. Innanzi a simile risultato cantare l'ec– cellenza del!a dottrina pura equivale a... ballare la tarantella". Ma chi avrà mai dato ad intendere a "El Li•ber– tario" tali panzane? E, francamente, sono anarchici, hanno mai sa– puto costoro e:he cosa é l'anarchismo se credono che secondo le teorie anarchiche, secondo quello -che essi chiamano "la dottrina pura", per espropria– re i borghesi ci vuole il permesso dei borghesi stessi? O non sarebbero piuttosto dei comunisti dittato- (1) La "Federazione" di cui qui si parla (I' A. L. A.) e "El Libertario" che n'era l'organo, con cui Malatesta polemizzava nel 1924, oggi non dan più segni di vita, travolti anch'essi dalla reazione ini– ziatasi nel!a Rep. Argentina col colpo di mano mi– litare che vi trionf6 nel settembre clelJlanno scorso. Degli amici di qui ci dicono che I'A. L. A., passata dopo il 1924 attraverso vicende varie, scissioni, ecc. era negli ultimi tempi diversa da ci6 che fu all'i– nizio. Noi ne sappiamo troppo poco per giudicarne; e non avremmo neppure ripubblicato ora questo ar– ticolo di Malatesta, se non ci avesse interessato per la prima parte riguardante il cosidetto "revisioni– smo" di cui oggi tanto si parla fra anarchici, e non volendo d'altra parte ripubblicare uno scritto incom– pleto. Del resto anche questa seconda parte rientra nel– l'argomento della prima, se non altro per mo~trare come anche certo linguaggio "revisionista" contro l'anarchia "pura", il dottrinarismo, ecc. non é cOBa nuova. Vi si accenna, inoltre, a qualche cosa, per esempio sull'opera degli anarchici in Italia durante l'occupazione delle fabbriche nel 1920, che non é male ,sia ricordata, poiché non pochi compagni all'e– stero sembrano ancora non saperne nulla od esser– sene scordati del tutto. S'fUDI SOCIALI riali mascherati da anarchici, poiché al pari dei co– munisti credono, o fingono di credere che noi vor– remmo lasciare ai borghesi la liberta di sfruttare i lavoratori, ai birri la liberta di imprigionare o mas– sacrare i rivoluzionarii. . . e conseguentemente an– che ai comunisti la liberta di fucilare gli anarchi– ci? L'occupazione delle fabbriche e delle terre era perfettamente nella nostra linea programmatica, perfettamente corrispondente alla "dottrina pura", e nessun anarchico pens6 mai a mettersi le questio– ni che immagina "El Libertario". Noi facemmo tutto quello che potevamo, coi gior– nali ("Umanita Nuova" quotidiana ed i varii setti– manali anarchici e sindacalisti) e con la nostra a– zione personale nelle fabbriche perché il movimen– to s'intensificasse e si generalizzasse. Avvertimmo, purtroppo buoni profeti, gli operai di quello che succederebbe loro se avessero abbandonate le fab– briche, aiutammo a preparare la resistenza armata, prospettammo la possibilit8. di fare la rivoluzione quasi senza colpo ferire se solamente si fosse mostra– ta la decisione di adoperare le armi che si erano accumulate. Non riuscimmo, ed il movimento falli perché noi eravamo troppo pochi e le masse troppo poco preparate. Quando D'Aragona e Giolitti concertarono la bur– la del controllo operaio, coll'acquiescenza del par– tito socialista, che allora era diretto dai comuni– sti, noi gridammo al tradimento e ci prodigammo Problewi della Rivoluzione Il lavoro e la sua nuova orsanizzazione II lavoro - penoso o allegro che sia - é la prima necessita della vita; ché, se esso mancasse, non potrebb'esservi certo alcuna vita sociale. Perché, se si pu6 comprendere che l'uomo selvaggio, il primi– tivo vagabondo abitante la terra ,•ivesse senza la– voro - concepito, come noi l'ìntendiamo, in un sen– so di "ordine" e di "direzione" dello sforzo per la produzione, - gli é che allora non esisteva ancora niuna forma di vita in comune e sedentaria; e l'uo– mo anelava dove trovava di che mangiare, e gli e– ra sufficiente ste■dere la mano per raccogliere i frutti dagli alberi o abbassarsi per strappare dal •suolo qualche radice. Ma l'assenza del lavoro ci é assolutamente impossibile ,concepirla in una qual– siasi organizzaZione sociale e con l'uomo non pill vagabondo attraverso la terra semi-deserta, ma ra· clicatosi in un qualunque angolo di essa, cercando di vivervi non più solo, ma con la famiglia. E' a:1lora che lo vediamo curvarsi sulla terra e lavorarla, per– ché dal suolo che io ospita sorgano tutti i frutti che lo debbono far vivere. Col lavoro é nata la societa. Se cessasse quello, questa si frantumerebbe, perché i1 primo é la vera base della seconda. E la societa sara dunque buona o cattiva, a seconda che sia buona o cattiva la sua organizzazione del lavoro; a seconda, cioé, che, do– po aver chiesto ad ognuno il suo contributo di lavo– ro, sappia o no garantire il benessere a tutti i propri componenti. E poiché nella societa il lavoro é tutto, di conseguenza é solo una buona organizzazione sua -che potra costituire la leva possente con cui elevare più bella, più giusta e più libera la societa futura. Cosi, per noi anarchici, l'organizzazione del lavo– ro in generale come la organizzazione di una offi– cina in particolare, é questione altrettanto impor· tante che la organizzazione politica del comune, del– la regione o della nazione, perché il lavoro ravpre– senta la prima garanzia di un vero benessere; ed é interesse di tutti che gli uomini sani vi partecipino e contribuiscano al suo continuo perfezionamento CO· me all'usufrutto cli tutti i suoi possibili benefici. Si potrebbe dire che ogni fabbrica, o meglio ogni gruppo produttore, sia una céllula delle più vitali ed <>Ssenziali della societa, sia della societa attuale che della futura, perché é Il che si produce la ric– ehezza, di cui, se oggi profittano con tanta ingiusti– zia e cosi inegualmente privilegiati e diseredati, in una socie~a migliore profittera il benessere di tutti. Ed é nella fa,bbrica che il popolo si forma, incomin– cia a formulare le sue aspirazioni, i suoi doveri co– me i suoi diritti d'uomo e cli lavoratore, ed a sen– tire il peso come l'aiuto della societa. E' 1i che, non ostante tutte le differenze di vedute e di apprezza-· menti, l'uomo é portato ad unirsi ad altri uomini, sia per alleggerire la sua pena quotidiana, sia per ot· tenere un maggiore rendimento dagli strumenti di lavoro. E' li, si pu6 dire, che il lavoratore nasce al– la vita nella società attuale, ed é li che si forgia al– la lotta e ehe impara ad amare come ad odiare. E' fuori discussione che, come sono attualmente organizzate, le officine sono delle vere galere per l'operaio che in esse <leve lavorare ed in esse pas- 3 per le fabbriche per mettere in guardia gli operai contro Vinganno iniquo. Ma appena fu diramato l'or- · dine della Confederazione di uscire dalle fabbriche, gli operai, che pur ci avevano sempre accolti e ri– chiestt con entusiasmo ed avevano applaudito alle nostre eccitazioni alla resistenza ad oltranza, do– cilment<> ubbidirono all'orcldne, quantunque dispo– nessero di possenti mezzi militari per la resi– stenza. La paura in ciascuna fabbrica di restare soli a combattere e le difficolta di assicurare l'alimenta– zione dei vari presidii indussero tutti alla resa, malgrado l'opposizione dei singoli anarchici sparsi per le fabbriche. Il movimento non poteva durare e trionfare se non allargandosi e genera.lizzandosi, e, nelle cir– costanze, non poteva allargarsi senza il consenso dei dirigenti del!a Confederazione generale e del Partito socialista che disponevano della grande maggioranza dei lavoriatoril organizzati.'\ Confede– razione e Partito socialista (comunisti compresi) si misero contro e tutto doveva finire colla vittoria dei padroni. Ed "El Libertario" vuol dare a credere che il movimento falli perché gli anarchici italiani cre– devano che non é anarchico levar le frubbriche ai borghesi senza il consenso dei borghesi stessi! La discussione degenera in farsa. ERRICO MALATESTA. (Dalla rivista "Pensiero e Volonta" di Roma, n. 17 del l• aprile 1924.) sa il maggior tempo della sua vita, senza nessun al– tro scopo che quello di lasciar spremere il pill for~ temente possibile le sue forze e lasciar sfruttare le sue quaJitA, non nell'interesse di cias1uno e di tut– ti, ma solo cli una minoranza e più particolarmente cli ,coloro che - terribile con tradizione! - non con– tribuiscono affatto in modo attivo e costante alla produzione generale, alla creazione della ricchezza di tutti, ma che per6 di questa sono i monopolizzato– ri, gli unici usufruttuarif. Attualmente il lavoro é male organizzato; esso rappresenta una pena per tutti, perché é un mezzo di sfruttamento, fonte cli tutte le bassezze e prosti– tuzioni, e rappresenta quasi una vergogna per chi é costretto a piegarvisi. Di qui la mala organizzazione di tutta la societa attuale, la quale poggia quasi so– pra un vulcano che da un momento all'altro pu6 ro– vesciar,e tutto. Per poter rinnovare e migliorare la. societA bisogna organizzare pill sanamente il lavoro. . . . Che cosa intendiamo con le parole "lavoro" e "la– voratore"? Il lavoro si potrebbe dire, nel s~nso nostro, lo sforzo dell'uomo per una produzione utile; e per la– voratore quegli cbe vive unicamente del prodotto del suo lavoro. Ma anche questa definizione del la– voro pu6 prestarsi a qualche confusione, sopratutto per quanto riguarda i rapporti significati da due e– spressioni dlstinte clell'attivita umana, e purtanto sorelle: gioco e lavoro. A questo proposito Gustavo Rodriguez, segretario della Confederazione dei la– voratori intellettuali di Francia, scriveva in un suo studio dal titolo "L'organizzazione razionale del mon– do -ciel lavoro" (Cahiers Bleus" n. 85 ciel 20 dicembre 1930) molto giustamente: "L'attivita ciel lavoro é quella in cui lo sforzo é impiegato come mezzo in vista di un fine. L'attivita ciel gioco é quella in cui l'impiego di uno sforzo é fine a se stesso. Un profes– sore di piano, quando eseguisce una suonata, si da ad una attivita. di lavoro; mentre l'allievo che suo– na per imparare un arte divertente, la signora mon– dana che allieta i suoi ozi suonando al pianu, avesse anche il pili gran talento, non pratica che un attivi– ta di gioco. L'alpinista che scala delle cime pericolo– se gioca, la guida che lo accompagna lavora. L'uno non cerca che delle sensazioni personali, J'altro ha di mira un guadagno. Ma un guadagno, prezzo del suo la– voro e null'altro. E' un salario, uno stipendio, un onorario o una paga, ma non é mai un "profitto". Il profitto é giustamente il contrario: é ci6 che, "all'infuori del lavoro, costituisce un vantaggio per una persona". E' il prodotto delle rendite, il fitto delle case, hl dividendo che da una impresa industria– le, commerciale od altra, dopo pagate tutte le spese: pagamento cli mano d'opera e delle materie prime, interesse del capitale impegnato, spese generali, ecc. 11 lavoratore si riconosce, senza tema di sbagliarsi, da questo fatto, che deve le sue risorse unicamente al suo lavoro personale." Chi guarda solo alla superficie delle cose pu6 con– fondere, e dare a seconda dei casi phi valore ad un lavoro manuaJe che ad uno intellettuale, e viceversa, mentre non c'é differenza che nella "qualità" del la– voro. Questa parola "qualita" non deve per6 pre– starsi acl un equivoco, pericoloso, e far credere ad una pretesa superiorité. di un modo di lavoro sopra un altro. Com<>i•l color rosso, che ha qualita diverse clal giallo, non pu6 esser-e a questo superiore o inferiore, cosi il lavoro intellettuale, qualitativa– mente distinto dal lavoro manuale, non deve essere guardato come avente su questo la minima promi•

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