Studi Sociali - anno I - n. 7 - 10 agosto 1930

abbattute le forze repressive che servono a tenere il popolo nella ~chiavltt'i, disfatti l'esercito, la polizia, la magistratura, ecc., ar]llata tu_tta la popolazion~ per– ché possa opporsi ad ogni ritorno offensivo della rea· zione, indotti I volenterosi a prendere In mano l'or– ganizzazione della cosa pubblica ed a provvedere, con crlterll di giustizia distributiva, al"bisognl plt'i urgenti servendosi con, parsimonia deJ.le- ricchezze esistenti nelle·• varie locaillta, dovremo adoperarci perche ·si, eviti ogni sperpero e si rispettino e si utilizzino quel– le istituzioni, quei costumi, quelle abitudini, quei sistemi di prodÙzione, di scambi; -di assistenza che compiono, sia pure in modo ins·ufficente e cattivo, delle funzioni necessarie, cerca~dò'· bensi di far sparire ogni traccia di privilegio, ma gu_ar:{landocidal distrug– gere cio che non si pu6 ancora sostituire con qualche cosa- che risponda meglio al bene, di tutti. Spingere gli .operai ad impossessarsi delle fabbriche, federarsi tra di loro e lavorare per conto delle collett!vita, e cosi spingere I contadini ad Impossessarsi delle terre e dei prodotti usurpati dai" signori ed Intendersi cogli operai pei nocessarll scambi. Se non potremo impedire la costituzione di un nuo- STUDI SOC:IALI vo ·governo, se non potremo abbatterlo subito, -dovre– mo in tutti 'i casi negargli ogni concorso. Negare ·11 servizio militar.e; negar.:e Il" pa:pmento· delle Imposte. Non ubbidire per prlnè\.p!o, resistere fino all'ultima estremlta ad ogni imposizione delle autorita, e rifiu– tarsi assolutamente ad accettare qualunque posto di'. éoinando: . ·-ti~ . ·, ) . .~f non_ potremò abb,attere '11,.~~pital!srno, dovremo esigere. per noi erper tutJI quel)! che voguo·no, il diritto all'uso gratuito del m·ezzi di produzione necèssl!ril per una vlta,itìdipendènte. Consigliare· quando avremo consigli da dare; Inse– gnare se sappiamo pi(I degli altri;· dar l'esempio della vita per libero accordo; difel).dere, anche colla forza, se é necessario e _se é, possibile, la nostra autonomi~ contro qualunqJ!e ,pretesa governativa .... ma coman– . dare mai. Cosi, non faremo l'anarchia, perché l'anarchia non si fa contro la volonta del}a i;ente, ma almeno la pre- parerem~. Errlco MALATESTA. (Dalla 1·ivwta "Voglia11io'i di Bia;sca-Svizzera. n. 6 di giugno· 1930h • Ushuaia· Terra .. del' fuoco E' incredibile che nel secolo XX quando perfino le monarchie e i governi assoluti ,aboliscono nelle car– ceri e negli ),rgastoli le torture, quandq eaistono leggi che dicono "che le carceri devono essere pulite e sane, che Il trattamento deve essere umano e che non si devono martirizzare i prigionieri", ci siano uomini di scienza, studiosi di crimlnalogia., banditori ner loro libri di un sistema carcerarlo mite, che poi nella pra– tica, messi- a dirigere uno stabilimento penale, di– ventano i pi(i crudeli carnefici. Disgraziati i prigionieri dhe ·abbiano come Dlretto- 1·e della loro carcere uno sclenzlatp, un criminalista! Se esistesse la pena di ·morte Per quàlunque delitto, non si ucciderebbero tanti prigionieri quanti ne mori– rono quando era direttore del ·Penitenziario Eusebio G6mez . (alias Panello Talero) considerato come un gran criminalista. Nel 1924 i giornali di Buenos Aires· intensificarono 'le proteste che gia da alcuni anni si elevavano in tutto il mondo pel fatto che era stato mandato a di– rigere Il Presidio· di U11huala Juan José Piccini, '°. nosciuto gia come ass11ssino di molti carcerati, della png10ne Nazionale, dov.e si trovava.. nel 1910. Allora, il Ministro dèlla Giusl:izia, Ant6nio Sagarna. vtslt6 il Presidio, accompagnato dal suo amico Dott. Euse– bio G6mez, che era gla a quel· tempo direttore del P~nitenziario Nazionale di Buenos Aires. Si fece, per disgrazia nostra, accompagnare da lui appunto· percJié riorganizzasse lo stabilimento e rendesse pit'i ••uma– no" il trattamento del reclusi. Eravamo nel mese di febbraio del 1925, quando arrlv6 ad Ushuaia Il Ministro col gran criminaiogl– Bta e· due medici del tribunali, e il risultato della loro opera umanizzatrlce Ìlon tard6 a pr,odursl: ... furono 150 morti! , II giorno del loro arrivo II tempo, per un caso piut– tosto raro a Ushuaia, dove é difficile àvere un giorno intero di sereno, ora bel!lèslmo. · Quando ;il gruppo. , dei visitatori arriv6 al Padiglione dove ml trovav~ io, sentii che Eusebio G6mez diceva al Ministro di Giustizia:· "Non so perdhé si lamentano; una giornata cosi bella non si trova neanche a Buimos Aires. Qui godono d'un bel panorama ... •• E il direttore del Pre– sidio Juan José Piccini sorrideva ... Compresi allora che quella visita ci avrebbe portato sventura. Entra– rono nel Padiglione n. 4 e, passàndo dinanzi a una cella, notarono che sulla tavola c'era della carta dell'inchiostro, alcune .fotografie di famigl!a e u~ as.ciugamano, pnoprleta privata del detenuto; Usciti di Il vollero vedere le celle di punizione e, quando le ebbero visitate, Il gran criminalista, l'umano-scienzia– to, esclamo: "No, no! Questo l\On pu6 andare; la cella di punizione deve essere oscura e a pane e acqua! ... " Andarono in Direzione e li· G6mez stette ·,~tto il giorno In compagnia del direttore Piccini, dandogli istruzioni sulla maniera di mortificare i reclusi. Che pl(i. poteva desiderare quell'uomo cru• dele, quell'inumano carnefice per cui il veder soffrire _i priglo:nieri era un piacere? Tutte le speranze d'una vita migliore che la visita del Ministro di Giustizia aveva destate nel PresÌdlo, speranze che si erano accresciute pel fatto . ch'egli veni va accompagnato dal noto studioso di crlmlnalo• gia, caddero. II ministro, che era amico di· Eusebio G6mez e per di pit'i riponeva In lui quella fiducia clie si suole riporre in un uomo di scienza, Iasci6 fare a lui o meglio fece egli stesso quanto l'altro "volevìll. Quando se ne andarono l_ascia-rono al direttore .amplia facolta di fare quanto gli sembrasse conveniente. Questi, che poco prima della visita del ministro aveva cominciato a rendere pit'i m·ite ìI tràttamenlò, quando senti {!"allelabbra di uno scienziato e In presenza del ministro che le celle di punizione devono essere oscu– re e a pane e acqua, che al· detenùto non si deve lasciare né carta né lapis, né libri e che non si de-· vono permettergli distrazioni, giacché queste sono no– cive pel fatto che lo fanno pensare alla !!berta e gli fan· desiderare la. fuga, divenne naturalmente an. cora p!t'i crudele. · Biblioteca Gino B:ianco Prima· di questa dlsg.raziata visita, d'estate si apri– vano le porte delle' celle all,,<6.30; 'i "ieclusl che lav~ ravaho ap.davano al loro IaJ!oratorlo e' quelli che pèr malattia o mancanza di iavòro rimanevano nel Pa– diglione, potevano star nel corridoio dove si permet– teva loro di ·passeggiare o di star fermi vicino alla stufa; ·alle• 8 tutti erano nuovamente rln.bhiusi nella loro cella. Ognuno poteva ricevere corrispondenza, al– cuni libri, vestiario, sapone, caffé, erba mate, ecc., e poteva tenere il necessario per scrivere; per di pit'i c'erano In cucina alcuni detenuti che cucinavano per tutti. Ebbene, dopo la venuta del ministro, tutto ci<l che poteva costituire un'utilita.. o una· distrazione p-,i prigionieri fu abolito, e si !stltul Il regime cellulare, che ·consiste nel tener rinchiuso ciascuno del carce– rati nelta• sua célla. Malati, pazzi, Invalidi, tutti fu– rono ri.nchlusi; quell! che lavoravano, dovevano en– tra.re nella. eella appena tornati dal Iayoro.• Speaso, dopo aver passata la giorll,ata sul monte o nel can– tiere sotto le l:ntemperie, tornavano coi vestiti e le scarpe baITTia.te,e il giorno dopo dovevano., tornare ,al lavoro colla stessa roba, ·senza· essersi pqtuti a.sclu,ga– ,.e. ~S.equeati:ar®-o wtti> il nec_g;;~.Jljlr cri vere, li– bri, carta, lapis, corrlspo.n.tenza, fotografie e perfino calze e fazzoletti da tasca. Ogni guar<liano era pa– drone di fare tutto cl6 che gli pareva. Poteva in qualunque momento entrar nella cella,. perquisire· e _portar via c,i6 che voleva; e se qualcuno osava dirgli una parola sola, era chiuso in cella di punizione. C'erano a quel tempo nel Presidio 520 prigionieri, di cui 200 lavoravano; e gli altri stavano rinchiusi. Nessuno di noi avrebbe'mài creduto· che ci avrebbero ten-Ùtl chius~ nelle celle Ì>~rquattro· anni consecutivi! Mai in nessuna carcere del mondo, é esistito un re– gime cosi, oppr-esslvo. Ho letto Pell!co, ho letto Do– stoyevskl; ller6 ci6 che essi· narrano é niente in pa– ragone del quattro anni; di soff~renzo, da noi patify, col direttore, Ju_11,µ, José Picçini. Egli godeva, provava un vero placere,,quando poteva inventare qualche cosa con cui mortifica_re i prigionieri. "In ogni modo, di· ceva, io ~ar6 direttore finché rimanga ministro Sa– garna e ml protegga Eusebio G6mez". Pochi, anche tra quelli che,-hanno sentito parlare . del Presidio, .S!ll\nOçome sono le celle a Ushuaia, giac– ché alcuni c1:edono che .si possano paragonare a quel .. le del Penitenziario., mentre cl vorrebbero due celle del Presidio per _formare_ uno spazio uguale a quello d'una cella del ,,)?enltenzlario. Ora, quando -in cella si passava sofo la µottè e si, pÒ_tèvastare durante il giorno -al laboratorio, o nel corridoio, la cosa poteva andare, pero quando ci rinchiusero comincio per noi •un vero martirio. -•: · II .gio.rno .. seguente a quello In- cui fu istituito :n ..regime cellular.e venne una· perquisizione·, in s-eguiìto alla _quale portarono via tutto: biapcheria che si pos– ~edeva privatam~nte, calze, sciarpe, fazzoletti, scarpe, ecc. Tutto fu ammucchiato vicino alla guardia, e noi dovevamo dalle nostre tln&Str~ vedere, come i guardia– ni scegl-levano fazzoletti da collo, sciarpe e làvoretti ?he facevamo· noi l!, per portarseil• a casa. I! direttore m tono di burla ordin6 che si portasse fuori tutta. quella roba per gettarla.- tra le immondlzle. • . La portarono infatti via su dei ·carri. Tre· carri furono. riempiti dalla nostra roba,, che i no stri .amici, le no– stre madri o 1,-nostr!_figl!-ci ,avevp.no mandata! E molti forse erano rimasti senza m angiare p er poter manda-– ré a!"figlio, al 'fratello, al marito, qualche piccola cosa al Presidio! Tutto, tuttQ si portarono via! Lasciarono · le nostre celle completamente pulite, senza lasciarci neanche' un' pezzo di carta ò unb straccio per· lè ne– cessita. · In quei giorni di perquisizioni lo s'tav.a scontando una. pena. di ben 30 giorni di cella di punizione a pa'ne e acqua ·e, quando uscii; non trovai nella mia cella l)ltro che il m!l-terà,ssq e un po' di quella roba .rego>amentare .che passa lo stabilimento, tanto , da cambla.rmi unà volta, e per di plt'i tutta rotta .. Recla– mai;" pr'Otestai,· ma fu tutto inutile. Ml rinchiusero come gli altri. Sentii che uno vicino· à. me reclamava 3 qual~he cosa e ch,r gll rispondevano: "Quando verra il minisltro, allora si lamentera". Il compàgno che aveva la stia cella vicina alla mia mi chiamo e, dopo avermi chiesto come stavo, r,n'i 1 racconto che avevano :portati- nel Padiglione n. -5 tutti i malati per cui a causa della malattia, vigeva il regime dell'lsolàmen't'o. • ' ' 1 - • Io non volevC\·crederlo. Com'era possibile che' éhiu– .d~,ssero in un 11 Padigiioné i •tubercolosi? Per6 disgra- zlataménte era vèro. · Dopo' due giorni uno dei tubercolosi mori. . . dopo poco tempo un a~tro e cosi successivame:nte. Moriva– no anche due per volta. In cap 0 , a cinque o sei mesi se n'erano andati quasi tutti. Erano, se non mi sba– glio, trenta o ,trentotto. Pero questo non é niente. Cominciarono ad ammalarsi quelli che stavano rin– chiusi' nelle éelle; dopo poco tempo ne trovarono morto uno a cui il medico non aveva voluto pres1~are assistenza, dicendo che èra un simulatore. Alle sofferenze dell'isolamento nella cella s'aggiun– sero quelle delle cattiva cucina, giacché fu tolto .ai prigionieri il permesso di cucinare e ne fu dato l'in– carico ai guardiani. Ci si pu6 immaginare il risulta– to! La carne ,era di pessima qualita. La bazza dei Diret,tori consisteva appunto nella distribuzione· del– la carne, del viveri e del vestiario, giacché in essa potevan rubare senza che nessuno pot ,sse provar lo– ro Il furto. Per legge avevamo diritto ad avere carne tutti I giorni ed a ric~vere ogni sei mesi u.na muta di vèstia– rlo, calzature e lenzuoli. Ebbene, la ca me ce la dava– no· due o tre voUe per settimana; e che carne! Dopo pochi mesi ne~uno la poteva pit'i mangiare per quan. ti sforzi facesse per inghiottirla. E in quanto alla roba. . . la maggior parte di noi. portava calzoni vecchi al posto delle mutande, e ca– micie fa/tte da noi stessi con un lenzuolo usato. Per di pit'i - sembra perfino impossibile che ci si creda - quando le famiglie mandavano dei pacchi conte– nenti biancheria, non li consegnavano. Alcuni anda– rono dal direttor Piccini e gli_ dimostrarono che non avevano roba da vestirsi, ed eg:i rispose: "L'avra11· no".~ . . , , • Tutti i pacchi contenenti roba di buona qualita èra– no spariti dal Deposiito, e per maggior disgrazia l'e– conomo e capo d 0 el Deposito era cognato del diretto– re, cosicché, d'acWrdo con Piccini, vendevano tutto e facevano ci6 che volevano. Tutto vendettero, perfino· i libri che avevano donati il Deputalto L. Spinetto e II Signor Saint e Signora, che erano libri buo·ni e ben rilegati, ed altri che pr9renivano da donazioni di Bibliotech.e popolari. II Direttore é ed, era padrone del Presidio. Dopo circa un ànno dall'inizio, del regime cellula-· re dieci erano diventati. matti, · quarantacinque, tra cui la maggioranza del ltubercolosi, erano morti, e due si erano Impiccati.- Per·o, questo non é ancora nien,te. ·Dei ~iriquecento prigionieri solo centocinquanta la– voravano, e gli altri stavano consumandosi nelle loro çelle per l'inazione, per la mancanza d'aria, d'eser– cizio e di alimento .. Siccome c'erano molti guardia– ni che non avevano. niente da fare, andava:no cercan– do il pretesto per 1:ia t!tere o per mandarn in ce.Jla di punizione un prigioniero. Andavano sotto la fines,tra della cella per sentire se si udiva nessun rumore, Sic– come faceva freddo eravamo. costretti a muoverci e, benché non ci fo~se posto altro che per un passo, pu– ~-eci. erav'amo, abituati a camminare lo Eitesso. Ora, se quale.uno· pestava forte per far~ entrare Ul\ po! di calore nei _piedi, questo era suff_iciente perché Io por– tassero in cella di punizione e lo picchiassero. Non paSsava giorno che .non si sentisse gridare: "Non n1i .bastoni! ahi! non mi bastoni!". . E noi eravamo impotenti a proter!tase! In. alcuni padiglioni noi gridavan:io, accompagnando le loro con· le nostre grida, pero. popo anche noi. eravamo casti– gati con la privazione della ricreazione il sabato e la domenica. In g.enere erano molto .poche Iè. volte che godevamo della ricreazione. Per qualunque picco– la cosa ci lasciai-ano anche senza mangiare.- Eusebio G6.mez, quando venne a visttare il Pre&i– dio lasci6, d'accordo col direttore, -un regolamento secondo il quale basta che· la ricreazione duri quin– dici .minu:ti il sabato ·e un'ora la domenica, seco.ndo il quale Il detenuto non ha più diritti, é paricoloso per la Societa e deve essere soppresso. E ci6 nono– stante chi legga i ·suoi libri mai crederebbe che egli sia un carnefice cosi- inhumil!ÌO. * .* . *. è•e·ra nel Pres~dio un. ispettore di no.me José San~pedro che era quello che aveva il cu ore .pi o du– ro e che godeva di tutta la fi<J.ucia di Piccini. Tra lui ed. un zel ato-re, un .tal Blois,• facevano tut– .to ~io eh~ voleva.no, Siccome non avevano. nierute da fare. Samp edro anda va sotto .I.efinesti:e e se sentiva quaièiino ch·e cantava o fischiava, questo -bastava per– ché lo facesse gettare- in cella di .punizione o Io la– . sciasse- senza. mangiare. Questa canaglia diceva allo zelato.re del Padiglione:. . . "Oggi lasci ami senza mangiare il tal detenu.:o. E se protesta, gia.lo sai: uccello che canta non· man- gia.''. · G)i zelatori d~I Padiglion-e, se in, una -settimana non n·e mandavano. una decina. in cella di pu,niziòne era~o es.entati dal servizio perché tr.oppo umani.. Un giÒ1moPi-ccini riuni tutti gli zelafori e i guar•· dian! e dette loro una conferenza in cui disse che bi· sognava: trattare i" dètenuti senza riessun riguardo. "Io non ho bisogno di irnpiegati che abliian .cuo-

RkJQdWJsaXNoZXIy