Studi Sociali - anno I - n. 4 - 1 giugno 1930

della difesa. della rivoluzione, che poi piglia aspetti e forme diverse a seconda che si sviluppi nel r,am– po della lotta armata o in quello dell'economia, ma che ad ogni modo ha un'unica e massima importan– za, poiché tutto dipende dalla risohtzione di quel– l'imprescindibile problema. Hugo TRl!JNl letorno al concetto di ,llbcrta I Sì é detto molte volte che la parola "liberta" pre– sa in senso troppo assoluto dive'llta sinonimo di "lice'llza". Niente di piu falso. La licenza, cioé il di– sordine, l'assenza di norma, é precisamente la ne– gazione della liberta vera, che é essenzialmente ar monia ed ordine profondi, tanto piu profondi in quanto o:mo un prodotto dell"animo umano e nell'in– timita di esso hanno le loro radici. L'eq_uivoco é nato dal fatto che alla parola libertii si sono dati finora troppi sensi distinti e qualcho volta contrastanti fra loro. La definizione pitl co– mune e piu giusta: "La liberta é assenza di costri, zione Yiolenta", é stata spesso snaturata o limitata troppo. Molte volte, quando si parla di liberta, si pensa sopratutto all'individuo ·(il proprio individuo), o a una- classe (la propria classe), o alla maggio– ranza di cui ci si sente parte. Ben. pochi sono quel– li che, al sent'ir risuonare questa parola magica, pen– sano realmente a, tutto l'insieme degli uomini, agli altri prima che a se stesm, ai nemici prima çhe ag:i amici. Ne,!la vis'ione luminosa che questa parola ci pr~enta, scorgiamo prima di tutto i diritti da eser– citare, i desideri che si possono soddisfare; scorgia– mo: insomma quella liberta che s1 prolunga nella li• cenza. E non vediamo che la liberta dei nostri atti ci da dei doveri prima assai che dei diritti, ci im– pone moralmente il lavoro p1'ima di permetterci il godimento. Molte volte noi diciamo - é diventato un luogo comune - che combattiamo per la felicita degli uo– mini. Eppure, pensandoci bene, é difficile essere realmente persuasi che la conquista dell'lndipenden– za economica e della liberta per tutti, porti realmen– te la felicita, o almeno quello che gen.eralmente gli uomini intendono per felicita. Vesperienza ci ha dimostrato che le conquiste del– la meocan'ica - per dare un esempio - che hanno intensificata la nostra vita e ci hanno resi piu rie• chi, non hanno aumentato la nootra felicita perché si soffre come si soffriva prima. La felicita é l'as– senza del desiderio, e la vita, per quante aspirazio– ni si soddisfino, rimane sempre, continuamente, de– siderio, cioé sforzo. E lo sforzo é sofferenza e pia cere ad un temf)o, Ora la nostt·a lotta per la conquiota della liber– ta. non é la lotta per la felicita. Questa sarebbe ve– ramente un'utopia. Noi oogliàmw ia nb~rta perché e,~sa ci re&titiiisca, co,1,a respo-nsabil,ifd, deUe nostre azioni( la nostra cli– vnita di esser~ u.onllini. Comhattendo, per es., iJ capitalismo nel campo eco– nomico noi vogliamo dare al lavoro la sua dignita, dargli quell'111.dipendenza che é Et!mpre pagata con un maggiore sforzo. Purtroppo o'b•bedire é molte voi• te comodo, ed essere liberi é sempre difficile. Ma ob– bedire vuol d'ìre essere delle cose; esse•re liberi vuol dire essere uomini, vuol dire lavorare veramente, vuol dire vivere. Coloro che si liberano da una tirannia devono eua– \iagnarsi il loro titolo di uomini colla libera ll.ccet– tazione e colla piena coscienza della grave respon– s'abilita che la loro nuova condizione di esseri libe– ri porta con sé. Conquistare la liberta quindi non vuol dire sem– pre conquistare dei diritti; vuol dire piu che altro conqui-stare dei doveri. Lo schiavo non ha doveri: obbedisca alla frusta e non ha mai rimorsi; la ri>– sponsabilita. delle sue azioni ce l'ha il padrone, non lui. Se il padrone lo nutrisce bene e non lo bastona troppo, pu6 anche eiJ3ere felice, di quella felicita animale che fa a meno del pensiero. L'uomo libero invece che ha in mano gli strumen– ti e la. materia prima del suo lavoro, e non ha nes– suno che g.li imponga di fare una cosa piuttosto che ll'.n'altra, sente profondamente la responsabilita òel– le sue azion'i. Sa che se inc1:ociasse le b:raccia e non lavorasse, gli altri soffrirel:>'bero un danno per col, BibliotecaGino Bianco STUDI SOCIALI pa wa, sa che deve pensare ad organizzare in ar– monia col lavoro degli altri il suo lavoro, giacché non c'é piu il padrone che ci pensi per lui, sa che se il lavoro é mal fatto la colpa é tutta sua. In una so• deta di schiavi, gli indindui vivono miserabilmente, ma: sono relativamente tranquilli; non devono pen';a– re che a se stessi, lasciando al capitalista e a1lo Stato la cura di organizzare i loro rapporti cogli al, tri come produttori e come cittadini. In una socicta di liberi la respons'abilita. non pu6 non turb' .l.re la tranquillita. dei singoli componenti; si pu6 dire che ciascuno sente un po' sopra cli sé il peso morale di tutta la societa, giacché in tutto ci6 che essa fa egli ha la sua parte di interesse e la sua parte di responsabilita.. Ora, nascendo, troviamo al d'i fuori di noi, come qualcosa gia. fatto, la societa. che cl opprime; quando saremo IibeTi, ci sentiremo tutti, in ogni momento, un po' creatori della societa, che non nara piu oppressiva e statica come questa, ma sar:\ in continua trasformazione per opera cli "tutti" g 1 .i esseri che la compongono. Sara cioé non un peso morto, ma un organismo vivo, prodotto dalla vol011tù libera degli individui. Nella societa. degli schiavi non troviamo che pe• core; nella societa d<1iliberi troveremmo degli uomi– ni. Noi sapp'iamo che gli uomini soffron·o spi– ritualmente piu delle pecore. Non im1,orta. Il g"di– mento profondo di sentirsi padroni di se stessi, d: sentirsi "liberi", non si paga mai tropp,o caro. LUCIA FERRAR! Ordine e Anarchia ( OontimiaziQne e fine; ved. nu11i. prececL1Jnte) Il medesimo veicolo del pensiero, la parola, offre un esempio ammirabile di ordine spontaneo. Vi so– no, é vero, di quelli che credendosi rivoluzionari e magari anarchici, nella loro triste ignoranza, - di cui l'anarchia non ha colpa, come non l'ha la reli– gione, se quasi tutti i peggiori delinquenti che sal– gono il patibo1o la professano, - affermano che le lingue sono state f'atte dai ricchi e dai tiranni per dividere gli uomini; ma noi non ignoriamo che gli idiomi sono una formazione spontanea dei po-poli, o che i vocaboli che li compongono rispondono a con– dizioni determinate, intervenendo in tale formazio– ne la sensibilita. di un popolo o razza, la sua cul– tura, le sue abitudini, la sua morale, le sue condi– zioni di vita, le sue credenze e tutto quanto ha rap– porto con la sua totale esistenza. Anche oggi e sem· pre, poiché le lingue sono in continua formazio– ne a seconda che si evolve la mentalita. umana, pos– siamo assistere alla ininterrotta elaborazione cli quelle che conosciamo. Con questa incessante aggregazione, 1! genio col– lettivo crea liberamente. Niun liespotismo é ab-bastan• za potente da imporre o sopprimere determinate pa• role, contro la volonta. generale. Le accademie non fanno che sanzionare tale volonta, e quando esse non vogliono, i nuovi vocaboli si radicano senza il loro consenso. E nonostante, 1n questa creazione in cui la libe•rta. e la spontaneita hanno pieno dominio, in cui non si pu6 quind'i evocare il fantasma dell'imposi– zioni autoritaria, Tn quest'opera di multiple fonti per cui gli uomini non si sono concertati, .troviamo pure un'applicazione dell'ordine naturale che nessu– no potra. distruggere. Ogni parola ha una sua sto– ria prop,ria, la sua ragion d'e-ssere, la sua cronolo– gia particolare, e l'insieme di esse, la lingua come il dialetto, viene usato, rispettato, per un tacito ac– cordo, inespresso ma effettivo, degl'i uomini. V'é un ordine, un'ordine maraviglioo:i, nell'appli– cazione di uno 0 . pitl suoni determinati per espri– mere e far intendere un pensiero, un desiderio, un fatto. Sovvertite, in nome della tiberta assoluta o della rivolta contro l'ordine, il significaito delle pa– role e ritornerete presto al livello dei primitivi più inferiori. Tutti possono cambiare per mero capric– cio il nome degli oggetti, ognuno pu6 agi,:iungere suoni di una nuova fonetica; ma nessuno J.o. fa, tranne che per l'imperiosa 11ecessita. di designare una creazione recente o dare il nome a qualcolh che ancora non l'ha c'ioé in casi assonnamente ec– cezionali e limita:tissimi. Gli idiomi son.o esempi ma· gnifici di un ordine anarchico. • • • Ne "La Revista Bianca", la 1nteressante pu,bbli– cazione di Barcellona, un anarchico passato a un semi-bolscevismo, spiegava ci6 che faceva vacillare le sue prime convinzioni in un articolo molto ca1'at– t(,ristico, ,intitolato: Tengo dqidas (ho dei dubbi). Questi dubbi e-rano espressi con sincerità., e poi– ché riflettevano una. interpretazione che molti dan– no dèll'anarchismo, riprodurr6 ci6 che pitl ha re– lazione con la mater'ia di questo articolo, e la ri• sposta datagli dalla redazione. "Nel terreno negativo, in quanto si vuole l'elimi• nazione di ogni autorit a. ed é n ecessal'ia la Etom– parsa della proprieta individua.le e corporativa in . 5 tutte le sue man'ifestazioni, e in quanto la societa deve funzionare sulla base di federazioni libere bi– sogna ammettere che si possano stabilire liberi ~atti ;,.·~noo ,che ci6 'Ì/111,![)licM 'wn olY.11/igo di c!conpierli, poiché cl-al ·m:1nnento che quest 'obbli.go esistesse-, noi cadremmw nuova11~ente ne la tiran!nia". . Ho sottilineato la parte caratteristica del paragra– fo, ed é bene osservare che le idee es.poste non tbno deformaz'l-0ni della malafede, poiché la risposta, scrit– ta da ·un militante di Yecchia data e di riconosciu– to talento, riprende: "Questi Congressi non dovrebbero farsi, perché, effettivamente, non possono prendere accordi obbli, gatori'i. L'anarchismo non é un partito né un pro– gramma. E' uno s.tato della coscienza universale che vuole emanciparsi e si va emancipando dalla tiran• nia del Potere". Faro osservare in primo luo-go che se i liberi pal· ti, conclusi da federazioni o tra indiv'idui non si hanno da ossen-are, é perfettamente inutile statbi– lirli. "L'obbligo" di osservarli é un enunciato impie• gato cosi Ltpesso e con tanta varieta d'interpretazio– ne, che non poss'iamo contentarci del ragionamen– to nella semplice forma con cui viene espresso. Per• ché tale obbligo ci faccia cadere "nuovamente nella ti– rann'ia", é giocoforza concepirlo come imposto con una forza mater',ale esterna ai contraenti, la quale as– soggetterebbe i recalcitranti. Questa forza dovrebbe es– sere armata, e legiferare. Sarebbe uno Stato in em– brione; e certamente saremmo be:i lungi dall'anar chia. Potrebbero anche le federazioni medesime pre, scindendo da forze estranee, unirs'L contro coloro che rompessero i patti prima di averli compiuti. Anche questa pratica sarebbe inammissibile dal punto cli Yista anarch'ico. Ma non potrebbero esservi altre forme di obbligo, compatibili con l'anarchismo? Quante vo.Jte impie– ghiamo noi, nelle nostre conversazioni, l'espressio– ne "obbligo morale" non come figura rettorica, ma come un fatto reale che disimpegna una funzione non piccola nella nostra vita! Quest'obbligo,. che l'intereso,lto contrae di propria volonta ed il com– pimento del quale s'impone cli per se stesso, non é affatto in contrasto con l'anarchismo. Al contrario ne é uno dei fonda.menti piu saldi; e noi abbiamo impiegato moltissime volte contro la legge, l'autori– ta ed ogni sorta di organismi coercithi l'argomento ciel modo come nella vita gli uomini vivono e le so– cieta perdurano, perché alla loro base c'é questa nor– ma del rispetto ai patti conclusi. Anche, oggi uno studio della vita sociale ci dimostra che il poco d'or– dine in essa regnante si deve a tale fatto. Non v'é, per O•gni uomo mediana.mente degno di se stesso, abbia o no idee anarchiche, nulla u.. bJÌU obbligatorio di un p'atto da lui liberamente accet– tato. Una parola data é piti sacra di tutte le leggi del mondo. Nel nostm ambiente avviene lo stesso; e chi, senza un motivo uario, non mantiene le sue promesse si espone allo scredito generale. Si attl'i– buisce insomma tale carattere di obbligo morale ad un impegno liberamente preso. Ci6 che avviene nell'ambito individuale e si esten– de a poco a poco alla sfera collettiva, dalla vita dei selvaggi a quella cos'idetta civile, sareb-be ugualmen– te applicabile alle federazioni libere u1 tlna socie– tà anarchica. S·iipporre il con,trar-io varrebbe ctffe-r– mare ver conseguenza che nian rnan\J che si progre– clis1Severso la vita anarahioa, l'u,nu11111itd, retrocedd– rebbe 1noral1nente, e perderebbe perfino la nozione dei suoi interessi materiali, giacché la non osservan– za clei palti sociali renderebbe impossibil'i le fun– zioni della produzione, degli (iJamibi, dei trasporti, ecc. Simile concetto ci porterebbe all'anarchia nel senso borghese e autoritar'io, al concetto di disordi• ne e di decadenza. Gli anarchici non hanno nulla a che vedere con esso. * Esaminiamo, ora il contenuto del paragrafo di ri· sposta che abbiamo riprodotto pitl sopra. Sui con– gressi anarchici, presenti o futuri c'i si dichiara che "t'ali congressi non don-ebbero farsi, perché, effet· tivamente, non possono prendere accordi obbligato– ri". Quando due individui si accordano per ripartir– fù un laYoro determinato, secondo le proprie forze e capacita, non agiscono certo antianarc11~camente. Se uno dei due non fa la pa.rte cne gli spetta, per pura negligenza, il suo atteggiamento sara riprova– to tanto dagli autoritari che dagli antiautoritarii; ma non per questo giungeremo a metterlo 1n prigio– ne, o a farlo morir di fame! Il direttore di una ri– vista ha il suo 1avoro, l'amministratore il suo. Cosi avviene per "La Revista Bianca" come per tutte. Se un 0 . dei due compie male il compito suo, e se la ri_vista s'i pubblica con irregolarita. o con contenuto deficiente, la rivista cadra. Una volta lanciata la pubblicazione, esiste gia. un impegno, un obbligo mo– rale stabilito fra editori e compratori; e in realta. qnell'i prestano sempre attenzione alle osoervazioni ,li quest i. Quando q uegli stessi editori vollero, per esempio, pubblica.re la loro rivista, fecero, com'é co– dtume nel nostro m ovimento, un appello per chie– dere l"n.ppoggio economico degli interessati all'ini– z'èatirn. Raccolti i mezzi sufficienti, gli iniziatcri ernno "moralmente obbligati" a pubblicare la rivi– Jt.a. Se non lo avessero fatto avrebbero agito in un modo che non avrebbe potuto giustificarsi in nome della liberta. o dell'anarchia. Espongo questi esempi senza la pi(t lontana inten– zione d'i importunare alcuno, ma solo perché mi sembrane piu chiari, diretti e comprensibili. Del re-

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