Lo Stato Moderno - anno IV - n.10 - 20 maggio 1947

LO STATO MODERNO 227 privato. Mentre secondo la l' possibilità le spese pubbliche dovrebberoessere aumentate di 290 milioni di Lire Ster:ine, la 2' possibilità deve prevedere un aumento di 910 milioni. Secondoil sistema ortodosso, necessitano dunque spese statali moltopiù alte di quet:e della l' possibilità, la quale però deve pre"edere un certo a1;1mentodel debito statale. La 3' possibilità rappresenta ~ tentativo di raggiungere ilpieno impiego a mezzo di una riduzione de!le tasse, accom– pagnatoda un aumento del debito statale. In questo oaso per, l'aumento del debito dello Stato non serve -all'aumento de:te spesepubbliche, bensì a compensare la diminuzione degli in– troitistata:i in seguito al ribasso <le!le tasse. Le spese pubbli– chenon vengono aumentate. La riduzione de:le tasse deve sti– mo:areil consumo privato e in un certo grado anche g;i inve– stimentiprivati, in modo da raggiungere il pieno impiego della manod'opera. Come Beveridge osserva, si potrebbe anche mo– diifcare la 3' possibilità in modo da diminuire anzi tutto le tasseche colpiscono il consumo, mentre quelle che influisoono su: risparmio rimangono invariate. Ciò potrebbe avvenire oon la riduzione delle tasse indirette, oppure esonerando i piccoli redditi, i quali in proporzione maggiore sfocerebbero nel consumo. Quale clellepossibilità è da preferirsi? Beveridge risponde, considerando tre principi: il primo, e fondamentale, che in ognicaso la domanda totale effettiva di beni deve essere suf– ficientead assicurare il pieno impiego della mano d'opera; il secondo, che bisogna dirigere :a domanda totale di beni con mezziche tengano conto dei punti di visro sociali; il terzo, che è preferibile procurare i mezzi per l'aumento de;Je spese pub– blichemediante prelievi fiscali piuttosto che con debiti elevati. Tnmerito al primo punto Beveridge osserva che in casi di emergenza sarebbe sempre meglio occupare la mano d'opero • nello scavare e riempire dei buchi nella terra • che non oc– cupar!aaffatto; ma certo i; suo pessimismo non arriva a vedere che sia questa l'unica via di scampo dalla disoccupazione. 1; secondopunto non dovrebbe richiedere nessun'altra spiegazione nel secolo ventesimo. TIterzo punto, secondo il quale i mezzi per le spese pubbliche devono essere procurati soprattutto con le imposte è, nell'opinione di Beveridge, importante anzi– tutto per evitare che l'aumento del debito stata:e crei un maggior numero di « rentiers », cioè di persone che sono cre– ditrici verso •lo Stato e che vivono senza lavorare, alle spalle della comunità. All'infuori di questa oonsiderazione Beveridge non vede nessun inconveniente ne:J'aumento del debito sta– tale, poichè vi è una grande differenza fra i deb'iti di una persona privata e quelli de!lo Stato. « Un debito statale in– terno aumenta i redditi di diversi cittadini nella stessa misura con cui esso, a mezzo di tasse, necessarie per pagare gli in– teressi e le rate di ammortamento, diminuisce i redditi di a'.tri cittadini. Il reddito totale della nazione non sa.rà e non potrà essere diminuito •· Beveridge nemmèno ritiene che Ja 3' possibilità, che pre,·ede un forte stimolo al oonsumo, sia la migliore solu– zione. Il suo atteggiamento negativo al riguardo non si basa però sul fatto che egli scorga nell'accresciuto debito statale una minaccia continua all'economia nazionale, ma piuttosto sul perico'.o che il consumo privato prenda un indirizzo non de.siderabile dal punto di 'Vista sociale. Teme .inoltre che l'accresoiuta richiesta di beni di consumo possa avere una tendenza non conforme alla situazione del mercato della mano d'opera. Egli preferisce una corflbinazione di diverse misure, e propone per l'Inghilterra il seguente programma per il dopoguerra: 1) Spese statali per opere pubbliche e servizi pubblici (strade, scuo:e, ospedali, polizia, forze armate, ecc); 2) Investimenti statali in un settore socializzato dell'in· dUJtria; 3) Spinta agli investimenti privati, fra l'altro mediante crediti a tassi di interesse di favore e un'adatta politica fiscale; 4) Acquisto da paTte dello Stato di importanti beni di consumo che saranno ceduti ai cittadini nel modo consueto, eventualmeme a prezzi rpiù bassi; 5) Accrescimento de: consumo privato come oonseguenza dell'aumentato reddito nazionale e di una più equa distri– buzione dei redditi {da ottenere mediante un sistema di as– sicurazioni sociali e tasse differenziate). Questo schema, da adeguarsi ogni anno alle nuove con– dizioni ed in base alle esperienze fatte, era stato previsto per ii dopoguerra, e cioè in rapporto ,alla situazione che si pro– spettava nella primavera del 1944; non perde di importanza anche se riguardo ai sinJ!oli scovi o riguardo al susseguirsi de:Je varie parti del programma si dovessero manifestare opi– nioni diverse. Prima di procedere ad un'analisi critica, riassumiamo an– cora la concezione di Beveridge riguardo alle ripercussioni internazionali di una politica di impiego della mano d'opera. Lo scopo finale di essa è il ristabiUmento del commercio in– temazionak geMTal.e. Non bisogna però considerare il com– mercio internazionale come un mezzo per « esportare » la disoccupazione del ,proprio rpaese in a:tri, benm deve servire ad un'elevazione genera!e del livello di viba. Quindi bisogna osservare tre principi fondamenta:i, qualora il commercio in– temaz,ionale debba essere completamente !,ibero: 1) Ogni paese che partecipa al commercio internazionale deve organizzare la sua economia interna in modo da garantire l'impiego totale del:a mano d'opera; e per raggiungere questo scopo seguirà la strada che gli sembrerà più opportuna. 2) Ogni paese deve mirare ad un bilancio di pagamenti equilibrato. Ciò non vuol dire una compensazione bilaterale, ma piuttosto che a lungo andare 111essun paese può esportare più di quanto importi, o viceversa; e non interessa se si tratti di esportazioni o impor– tazioni visibili o invisibili. Questo principio è importante so– prattutto l)&r g!i Stati Uniti, perchè significa che questi non possono solo esportare, senza compensare le esportazioni. Se non si vogliono permettere importazioni corrispondenti, si deve almeno essere pronti ad accordare credibi a lunga sca– denza. 3) Bisogna aspirare ,ad una certa stabilità delJa poli~ tica del commercio estero, specie riguardo alle tariffe do– ganali. Fino a quando queste premesse non siano assicurate, ogni paese che si è deciso per la politica ,di pieno impiego della mano d'opera deve necessariamente premunirsi contro il ~isclùo che a causa di certe oscillazioni nel commercio in– ternazionale, 'non siano raggiunti gli scopi della sua pol:itioa ai quali il commercio estero va subordinato. All'obbiezione che la politica dell'impiego totale rende impossibile il libero scambio di merci (vedi per esempio: Allan G. B. Fischer, « lnt'0rnational lmplioations of Full Employment in Great Britain », 1946), si risponde che un forte incremento di esso, con ripercussioni favorevoli in tutti i paesi, si avrà soltanl'o se tutti mireranno all'impiego totale, o se almeno rinuncie– ranno « all'esportazione di disoccupazione», e se osserve– ranno le norme del commercio internazionale. La inosser– vanza di queste norme .impedirebbe, anche senza una poli– tica del pieno impiego, ogni commercio internazionale vera– mente rproHcuo e potrebbe anzi causare il caos sul meroato mondiale. Se tutti i grandi paesi industriali avessero già nella grantle crisi del decennio scorso fatto una sana politica del pieno impiego de:Ia mano d'opera nella loro economia interna, non sarebbero stati costretti ad esportare la loro disoccupa– zione e probabilmente sarebbe stato evitata o almeno limitata l'estensione cat.Mtrofica della ç~i, OTI'O l\lATZK.E

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