Lo Stato Moderno - anno IV - n.7 - 5 aprile 1947

LO ST.ATO MÒDERNÒ 149 L'Italia è un. giovane paese. Un paese-che non ha ancora una politica estera: Intendiamo dire: che non possiede nè una tradizionee una dottrina come il_ Q4ai d'Orsay, nè ii sensibile f/air e l'empirismo eretto a coerente sistema del Foreign Offi– ce, nè la continuità di motivi tematici che fa procedère i: Cremlino Rosso sulla sci,a dèlla Russia degli Czar, e neppure la individuata -posizione di taluni minori paesi europei (la ce: coslovacchia ad _esempio). Natura}mente un certo cammino esp ha pur dovuto per– correre. Ma se -lo è scelto giorno per giorno, fidando nel suo machiavellico istinto, ·ne'l:o « ste!lone ;, ne:'.a concezione de:– la politica come arte del possibile e come improvvisazione. Ri– correndo a « gesti » e atteggiamenti di protesta romantica o di guerriglia giuridica, piii che operando -scelte politiche vere e proprie. Si che il cammino è risultato tortuoso. Un poco come quelle tortuose vecchie strade di campagna inglesi tracciate sulle orme degli antichi beopi d'Inghilterra, di cui parla una poesia di Ohesterton. - L'unico sforzo di impostazione, e diremmo quasi di « pia– nificazione » 1 di una politica estera meno effimera e sorretra da un meditato orientamento, può forse ravvisarsi nel primo passaggio al Dicastero degli Esteri del conte Sforza (1920-21). Ma fu un'esperienza durata un solo anno. Poi sopravvenne ,a dittatura, e queta pagina ·di storia diplomatica - che pur conservava un suo valore di documento, di lelt-motiv suscet– tibile di essere ripreso un giorno :_ fini con lo sbiadire· nella memoria dei più. li crollo della dittatura v-ideil paese in una situazione dram– matica, per la complessa difficoltà dei problemi concreti · da fronteggiare. Ma più dmmmat:ca ancora per la impreparazione a fronteggiarli, anzi a capirli, da .parte dell'opinione pubblica, e anche di mo!ti fra gli 1Uominidi governo. {E si ~ttava· di prob:emi nuovi e brucianti, dettati da:l'urgenza dell'ora, ma intr,ecciati con e!ementi « di fondo», ·tradizion-:ti, giacchè nul'.a può mai dirsi veramente « nuovo » in politica estera). E' questa una ·amara constatazione, che è doveroso avere ii coraggio di fare. A due anrri, ormai, dalla liberazione, la nostra attenzione viene di continuo richiamata sulfa durezza del trattato, suJ.la sua « iniquità » (come ormai si suol· dire, con terminologia quanto meno impropria, per la contamina– zione fra etica· e pol:tica su cui si basa). Non sarebbe però inopportuno che· ·si facesse mente locale sulla documentata collezione-di fraintendimenti, di gaffes, di vane speranze e di iilusionipropinate· al pu'bblico, di cui ha fatto spicco; in que– st,idue anni, b nostra condotta politico-diplomatica. Qualche esempio. Il nostro inguaribile IQTOVincialismo ·ci ha tenuti legati al ceppo ·di una visione limitata dei nostri p~òblemi,anche quando tali problemi erano sopraffatti da un giocopolitico-ben più vasto di noi, dei nostri buoni diritti- e dei nostri più o meno· sacri egoismi. La situazione .era forse in ogni caso compromessa. S_taperò il fatto che non abbiamo saputo dare alla nostra azione quell'ampio respiro politico che avrebbepotuto, forse, allargare un .poco il campo di manovra. Cisiamo illusi, o quanto meno abbiamo fatto si' che la stampa •quotidiana continuasse a iUudere l'opinione pubblica, su ta– luna applicabilità di principi etnici e d-i autodecisiònè, ·anche quando il ,nieriosmaliziato ·osservatore avrebbe dovuto capi-re che ogni richiamo alla ·Carta Atlantica ·-era·ormai atto <li ·in– gonuità.Abbiamo prospettato la possibrlità che le clausole del progetto di trattato concordate nell'estate a Parigi potessero veniresostanzialmente modificate· in novembre a Nuova Yòrk, mentre anche -m q~stÒ caso era - o avrebbe· dovuto essé~ - evidente che i· Quattro non sarebbero stati per ·nulla -di• ES1 ERA spòsti a rimettere in discussione, a favor nostro, tutto il fra– gilissimo edificio di uno dei più faticosi compromessi che la storia diplomatica ricordi. Poi abbiamo firmato il trattato. E abbiamo parlàto di « re. visione». -Intendiamoci: noi pensiamo che bene si sia fatto a firmare, e bene a par:are di revisione. Non però a prospet-tar; tale revisione in tennini terribi:mènte semp!icistici. · Impostare una politica di revisione non significa parlare ogni giorno di revisione, polar~arsi su ques,ta magica pa– rola attendendone improvvise sanagioni. Non significa fame ~ ossessionante - e quindi svalutato - motivo propagandi– stico, come fecero gli ungheresi nell'altro dopoguerra. Significa piuttoito « non parlarne mai ma pensar-vi sempre», come i francesi nei ,riguardi della Alsazia dopo. il '70. Significa im– postai-e una larga e costruttiva politica, ·tenendo presente, co– me ben disse Paggi-, che « una occasione .revisionistica può na– scere ai punti geografici opposti a quelli dove vivono i nostri interessi, purchè si sappia a questi politicamente al'.accia!,i ». Nessuna iemplificazione o precipitazione, quindi, e nes– suna troppo rapida illusione. Oon eccessiva facilità, ad esem– pio, i nostri giornali hanno patilato della iniziativa Berle per il rinvio della ratifica da parte del Senato di Washington, delle proposte di Poletti e C. per una sollecita revisione, o di altre voci, commendevoli e gradite, ma isolate. La doccia fredda· non è tardata a venire, con· Bevin, il qua 1 le il 27 feb– braio ha bellamente dichiarato ai Comuni che considerava in complesso « giusto » il -trattato con l'Italia; con Byrnes, il quale il 4 marzo_ha detto al Senato.americano che, per quan– to poco soddi5facenti, i-trattati erano i migliori ottenibili nel– le· attuali circostanze; e con M:-arshall,che nella· medesima occasione ha sottolineato ~a necessità di una pronta ratifica. Occorre rendersi una buona volta conto di quella-che è :à rea:e situazione. Il trattato firmato dovrà essere ·ratificato e posto in vigore. L'Italia dovrà entrare nell'U.N.O., ripren– dere il suo posto fra i paesi ,liberi e iniziare a svolgere una sua libera politica estera. Il resto, se sapremo fare, potrà ve– nire. La revisione, come la' « prosperità " di hooveriana ·me– moria, non è affatto round the corner. Direi di più: mi .par terribilmente· ingenuo concepirla come un evento concreto, destinato a r-ealizzarsiun bel mattino en. bonne et due-forme. Essa sarà frutto di -una serie di piccoli sgreto-'.amentidi quelle c!ausole del trattato che oggi diciamo esser4ioppressive. Più che un evento, o una serie di eventi concreti, essa dovrà essere unQ stato d'anàno. La nostra ,azione deve far s~che essa divenga uno stato_d'animo, un principio informatore dei rapporti fra noi e ~:j altri firmatari del trattato. Tutto sta nel sapère agire per la revisione meglio di quanto ,si sia statrcapaci di agire per il trattato. n·che si– gnifica: uscir fuori dal «.particolare», indlviduilre la nostra esatta posizione nel· gioco delle ·maggiori forze, e su tale in• dividuazione basare una nostra politica estera; essere pr~enti e partecipi -ovunque si parli ed agisca in termini di coopera– zione internaziònalè. Molto si è scritto e detto sull' « iniquo » trattato.· Ma una de:le poche sensate ~o:e· - che fa macchia nel profluvio- delle vane 1ecriminazfoni patriottarde - è stata quel:a di Car!o Morandi, che ·su ·« Mondo Europeo » •ha scritto:·« Se·noi sapremo"farè unà buona po'.itica esterà, una - po:itica: ispirata ad un largo com:etto europeo, tra dieci anllt la firma e la -ratifica sàranno solo un triste lontano ricordo "· Se invece non sapremo fare- una buòna politica estera, allora delle nuove -'Ciagure che ci ·attendono potremo incol– pare in parte, ma fa. parte soltàtìto, il ·trattato che oggi dob- J>iamo accettare. _ .. ,j:<_Bll'i:JNO PAGANI . '

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