Lo Stato Moderno - anno III - n.14 - 20 luglio 1946

316 LO STATO MODERNG ·zona in maggioranza jugoslava contiene delle forti mino– ranze italiane, che in ta•;uni centri (Fiume, Zora, Lussinpic– cofo, ecc.), giungono a costituire la .parte di gran lunga mag– giore della ,popolazione. Intendiamoci, tutto questo non lo ignoravano gli anglo-americani, che caldeggiavano ben altre so:Uzioni: ,la falsa soluzione a cui si è addivenuti è appunto una riprova della impossibi'.iità, oggi, di una reale intesa tra essi e· la Russia. Per concludere sul primo punto, aggiungeremo come, e9auriti gli ar.gomenti di cui si è detto, la Conferenza dei Quattro abbia fina'imente il 10 luglio, a quattordiçi mesi .dalla capitolazione della Germania e a un anno .dalla Con– ierenza di Potsdam a cui si debbono le prime decisioni in materia, abbordato l'esame del problema tedesco, ma solo per rilevare il disaccordo radicale tra la tesi di Molotov, che vuole una Gi,rmania centralizzata, e quelle deg;i altri. che la preconizzano federale, conformemente del resto alie sue tradizioni storiche, e conc:udere per il rinvio ad una com– missione di esperti che riferirà alla prossima sessione della Conferenza dei Quattro: .efessione che si riunirà dopo la Conferenza dei Ventuno e l'Assemblea generale deE'O.N.U., cioè non prima di ottobre-novembre. « Campa cavallo che i'erba cresce». E i tedeschi ,in verità, campano oggi molto male. Comincia dunque, dopo l'odissea del trattato di pace oon l'Ita:ia, quella del problema tedesco, che finirà esso ,pure con l'essere non risolto ma sistemato a un certo punto per stanchezza, nel peggiore dei modi. E la serie delle fate da turare al'.a meglio (o alla peggio?) sarà lungi dall'essere finita fino a quando mancheranno le basi per un'intesa rea:e, non su questo o su quel problema, ma sul modo di consi– derare i problemi, che è quello che più conta. Il modo di considerare i problemi, ecco l'altro punto che si voleva esaminare in quest'articolo, l'altro insegna– mento deEa seconda Conferenza di Parigi. Il modo di con– siderare i problemi è ancora quello di sempre, quello gretto dei militari, dei conservatori, dei piccolo-borghesi per cui ogni chi;ometro quadrato di territorio aggiunto al proprio paese è tanto di guadagnato, e una guerra vittoriosa non ha senso se non si conclude con qualche .annessione. E fa mentalità è ancora que:la pe; cui il vinto ha sempre torto, e le con– troversie si dirimono non già in base al criterio del giusto o del non giusto, ma dal vinto o del vincitore, e quindi se la tesi ita.iana ha potuto trionfare in un caso, quel'.o del:a frontiera con !'Austria, non è perchè le rivendicazioni degli altri Paesi fossero più fondate di questa, ma solei perchè questa emanava da un altro vinto che era quindi sullo stesso n~•ti o piano. Beninteso, d sono dei criteri peggiori: sono que&i dei nazisti, dei fascisti, e dei governi totalitarl in genere a-Ila cui fame non c'è nulla che basti, che quando vincono con fa guerra - o anche solo con l'intimidazione - un Paese, se :o annettono di peso, o se ne annettono la maggior parte possibile, senza troppo preoccuparsi di linee etniche o di , aqtrctta:li qu:•--quilie. Tutt'al! più,_ ,.se gli ,abironti dli ail.tra razza dei territori annessi daranno fastidio, si cacceranno vja, magari sui due piedi, come si usava qualche migliaio di anni fa. Ora un governò democratico come quel'.o francese, per di pìù CO'lfreno <rappresentato dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti, non poteva certo pretendere l'Elba come ci dava ad intendere ai tempi deJa Repubblica Sociale la stampa fascista (che anzi assicurava esistere una clausola in proposito nel– rarmistizio di Malta) e neppure la Val d'Aosta o la Val di Susa; ma la sua Brìga e la sua Tenda e il suo Moncenisio li ha pur voluti, anche se aggiungono ben poco a un paese vasto e ricco come la Francia, nonostante le loro centrali elettriche, e invece possono pregiudicare quell'amicizia dell'Italia di cui la FrancJa vittoriosa ha pur bisogno, perchè la ricostru– zione dell'Europa deve cominciare proprio di qui, dall'unione franco-italiana, e la mig:iore « sécurité » contro il perico!o te– desco che entrambi sentiamo è proprio in un'unione franco. italiana (85 milioni di uomini, cioè quanti e•più dei tedeschi!), e la miglior garanzia contro lo spopolamento delle campagne francesi è .proprio in un'unione franco-italiana con frontiere aperte e uguale tutela dei -lavoratori del'le due paiti, unione che pu9 farsi per tante vie, che può cominciare in molti modi, ma che prima di essere tradotta in un qualsiasi docu– mento deve esistere neg:i spiriti. L'Italia in fondo non si era mostrata del tutto sorda alle richieste francesi, aveva aderito ad alcune cessioni (·piccole cose, è vero, più piccole delle •altre che ci si son volute togliere) che salvavano il principio, che davano una pur minima soddisfazione alla Francia, senza mettere a repentaglio l'amicizia italiana, che doveva rappre– sentare per i Francesi di :arghe vedute assai più di Tenda e di Briga. Immaginiamo l'obbiezione: e l'amicizia della Francia vit– toriosa non deve valere per l'Italia più del disappunto e del danno che le arreca ia perdita di qualche villaggio alpino con relative centrali e:ettriche? Certo, rispondiamo noi, anche se pensiamo che :a Francia vittoriosa abbia forse più bisogno per il domani dell'-amicizia del'l'ltalia vinta che non viceversa, cer– to: e ci auguriamo pertanto fermamente che l'amicizia tra Italia e Francia, cement'<lta di recente, proprio attraverso i valichi alpini, dall'azione comune di partigiani e maquis, non sia irrimediabilmente compromessa da questa disgraziata « bri– ga». Ma non è questo che conta: poichè non basta che noi, non basta che tutta la parte mig:iore, se occorre, quella che vede più lontano, de: popolo ita::iano sia di quest'avviso, come non basta che il governo firmi un trattato: trattati di questa natura, anche se formalmente rispettati, relitano inoperanti, quando non sono sentiti. E non è detto che sempre la parte migliore e più ragionevole, nnche se oggi è al governo, riesca ad imporre le sue vedute al paese. Anzi per vent'anni è stato proprio il contrario. Bisogna che anche g:i Alleati lo inten– dano, e non contribuiscano a crearle de:•Jedifficoltà. NeTin– teresse nostro, ma anche nell'interesse loro, e, soprattutto, nel superiore interessé dell"Europa, del mondo, del'.a civiltà. Detto questo, noi non .perdiamo la nostra ca:ma e non modifichiamo il nostro punto di vista, dettato da una visione che sa supe– rare ogni gretto risentimento nazionalistico. Ma non possiamo non dep'.orare le ingiustizie e denunciarne ~e possibi:i conse– ~enze. Delle colonie africane abbiamo par:ato ampiamente in un recente articolo, pubb'.icato su! fascicolo del 20 giugno di c;uesta rivista, e non .sentiamo iì bi,sogno di ripeterci. Osser– viamo che la formula adottata a Parigi non esclude (ma nep– pure la fa ritenere probabile) una de::e soluzioni che noi stessi ammettevamo, l'attribuzione a!l'ltalia dell'amministra– zione fiduciaria di tali territori; ma per int•anto si dovrebbe rinunciare al.la sovranità, senz'alcuna garanzia. Aperti come noi s:iamo anche alla comprensione deg:i interessi altrui, pos– siamo comprendere benissimo. come l'Inghilterra, all'atto in cui si prepara ad abbandonare l'Egitto, non vog:ia lasciarsi sfuggire la posizio12estrategica di Tobruk che ha in mano e che le assicurerebbe una base a non molta distanza dal Ca– nale. Ma non potrebbe chiedere esplicitamente- questa posi· zione, che non comprometterebbe sostanzia:mente g:i inte– ressi del.'.a nostra colonizzazione in Libia e per cui' De Ca– speri si era dichiarato disposto a concessioni già un anno -addietro, senza mettere in discussione tutto il problema de::e nostre co:onie, offendendo legittime suscettib~ità e suscitando reazioni che sarebbe nell'inter~e comune di.evitare? E an-

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