Lo Stato Moderno - anno III - n.5 - 5 marzo 1946

LO STATO MODERNO 105 '- orientarsi la nostra politica economica ed è in questo quadro che deve essere inser·ito il problema della disoccupazione. , Con da liberazione del Nord, avvenuta nell'aprile scorso, il C. L. N.A. I. dispose che ogni licenziamento ae:l personale era .sospeso e, come in altri settori economici (distribuzione, prezzi, ecc.) fu riconfermata, assai opportunamente, la più stretta disciplina econom~ca al fine di e\litare che la carenza di potere, derivante da:l passaggio di autorità, potesse de– terminare un disordine economico pregiudizievolé per ogni ulteriore .attività. Ma il provvedimento _era assolutamente contingente e relativo ad una 5ituazione di emergenza che la fine della guerra rendeva già superata. Si giunse così agli accordi 1el giugno che, non uniformemente ,realizzati in tutte ,le regioni anche per ~e interferenze delle autorità militari alleate, re- •Starono in ,vigore fino ali'ottobre. B 27 settembre fu con– cluso a Roma un nuovo accordo che, per l'epoca in cui fu concluso è la sede dove fu discusso, avrebbe dovuto avere sin d'allora una soluzione più deJiinita ed orientata da cri– teri più precisi. Riconfermato il divieto dei licen;ziamenti e ridotto l'orario settimanale a 40 ore fu concesso, a favore dei lavoratori che effettuavano un orario inferiore aUe 40 ore, una integrazione salariale pari a due terzi della retri– buzione e dell'indennità di tontjngenza ragguagliata alle ore mancanti mie 40 settimanali: integ-razionepagata daile aziende e rimborsata dalla cassa integrazione sa+ari alimentata da un con(ributo degli industriali pari al 5 per cento dei salari e da versamenti della Tesoreria. La situazione della mano d'opera ,restò cosi ancora cri– stallizzata e le auspicate previsioni di prossimi al'rivi di ma– terie prime, che avrebbero forse alleggerito, 5ia pure solo in parte, da situazione, non si sono che minimamente rea– lizzati in concreto. Dopo altri quattro mesi il consuntivo non, è che deficitario: la situazione notevolmente aggravata, decine e decine di imprese sull'orlo del fallimento, altre con pesantissime situazioni finanziarie, alcune costrette a sven– dere attrezzature e scorte, quasi ,tutte impressionate da una crisi che sembra minacciare la nostra :ripresa ed i cui sin- . tomi, veramente, non mancano (dalla Borsa ai prezzi, dalle procluziom al mercato creditizio). Per questo a Roma nel gennaio si è concesso un licenzi,arnento del 13 % de} per– sonale occupato. Siamo d'accorao che le cause sono molteplici ma l'ap– pesantimento delle strutture imprenditoriali e l'onerosità dei bilanci per effetto del vincolo del mantenimento di tutta 111 mano d'opera esuberante è una· delte principali deter– minanti. Oiò ohe più preoccupa è il complesso d~i ostacoli che vietano una ·ripresa della nostra produzione industriale. Man– canza prima di tutto di materJe e combustibili. Contro un consumo mensile di circa un milione di tonnellate di car– bone negli ultimi mesi la disponibilità è stata del 3 o/o (IUY glio), del 10 % (agosto), dei 26. % (settembre), del 29 % (ottobre), del 14 % (novembre),. del 37 % (dicembre). Più grave la disponibilità delle altre materie prime. In base al noto piano di rifornimento detto di « transizione »» relativo ar quadrim~tre settembre-<licembre 1945, era stata preven– tivata una importazione di circa 160 milioni di dollari di materie industriali (compresi i combustibili)). Af 31 dicem– bre gli acquisti confermati ammontavano al 50 % ed erano ~ati sbarcati nei porti italiani soltanto circa 20 milioni di ollari di merci di cui la metà costituita da carbone. Non certo più felici sono attualmente le prosp.{lttiveper il 1946. Contro un programma di importazioni industriali per il 1946 valutate ad 800 milioni di doll-ari l' u. N. R. R. A. fornirà soltanto if 25 %. Pertanto fa .riattivazione industriale che in base al progrl!=a italiano avrebbe .dovuto svilu~parsi da\ 50 % (gennaio) al 75-80 % (dicembre) sulla base dei rifornimenti U. N. R. R. A. e della programmata distribuzione sarà limitata ad un terzo circa dell'attività prebellica. Stante queste condizioni• l'occupazione operaia che il programma italiano prevedeva in misura pari al 95 % di quella pre– bellica con una disoccupazione di circa un milione di lavo– ratori, può valutarsi al 50 % con una disoocupazione indu– striale stimabile ad olt,re 'due milioni di unità (esclusa sem– pre l'edilizia). Questa situazione potrà migliorare con la tanto auspi– cata, ma 5ino ad ora soltanto desiderata, riptesa dei r,ap– po?ti commerciali con l'estero condizionata, però, da molti elementi fra i quali, di notevole importanza, quello del!'ot- · tenimento di crediti clie potranno _esserci concessi soltanto se disporremo di un organismo economico che, anche se piccolo, deve però essere sicuramente vitale. Dati questi indiscussi elementi è certo che la contra– zione della nostra produzione non è un fenomeno contin– gente e brevemente transitorio ma, purtroppo, fino a questo momento prevedibilmente ancora lungo. Questa è una dura realtà che b.jsogna guardare realisticamente· in faccia e che dominerà, salvo alcuni auspicabili ma fino ad ora non sicu– ramente prevedibili elementi, tutto il 1946. Contro questa situazione e con un'attrezzatura industriale pari ad oltre 1'80 % di quella pr~bellica e con una mano d'opera indu– striale od industirializza.t,t per effetto della guerra pari al 120 % di ·quella prebellica, non è più pensabile di dare al problema della disoccupazione operaia, effettiva o poten– ziale, una 50luzione provvisoria o transitoria. In queste condizioni quale impresa potrebbe soppor– tare l'onere di una massa di impegni finan7Jiari che nessuna economia potrebbe assorbire? Come sostenere milioni di lire . per costi direttamente od indirettamente legati alla mano d'o.pera quando la produzione è assai scarsa e la possibilità di trasferimento di questi oneri sui prezzi è pressochè un– possibile per effetto dello squilibrio tra prezzi e redditi per cui le capacità di acquisto dei consumatori sono minimi? Gonfiamento di debiti, svendita .di partecipazioni azionarie, realizzazione' di impianti, vendita delle ultime scorte, pos– sono sembrare apparenti soluzioni ma ad un certo momento anche queste vie si chiudono e non ,resta clie il fallimento e la crisi. No, non è più possibile continuare in una politica che non av~ebbe che in fondo come meta finale il disordine della produzione. Nè i lavoratori, nè i risparmiatori, potreb– bero domani giustificare una tale politica. Secondg ultimi dati si può valutare l'attuale comples– siva di1occupazione industriale e commerciale - sia effet– tiva che potenziale - ad oltre un milione di uomini. Si tratta cioè di alcuni miliardi (forse 10) che lo stato do– vrebbe mensilmente erogare. D'altra parte non è possibile attraverso un generico provvedimento di blocco di licenziamenti non fare distin– -z!one tra industrie lavoranti ad un certo ritmo ed industrie lavoranti a condizioni diverse, fra imprese con una certa produzione ed imprese quasi completamente inattive, tra attività industriali ed attività agricole. A Roma; tuttavia, in gennaio, si è cominciato a prevedere la possibilità di licen– ziamenti superiori al 13 \1o i)er quelle aziende che si trovano in, « condizioni talmente gravi da compromettere la prose– cuzione della loro attività »· Il mantenimento della mano d'opera inattiva è, come abbiam9 già detto, problema di interesse pubblico, di natura sociale, ed è un òovere dell'intera collettività quale benefi– ciaria del reddito nazionale. Ma non si può chiedere questo dovere sociale ad una sola categoria di redditieri nazionali specie quando questi non sono certo quelli che godono delle aliquote più elevate. Cosi impostato il problema si innesta a quello più vasto della politica economica e finanziaria dello stato: politica

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