Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Finché appare il bianco. Come la vasca bianca di Bonnard, la cassa che appare all'inizio di Film bianco, l'eguaglianza, secondo della trilogia di Kieslowski, è più che un contenitore. È la valigia che la moglie francese che ha appena chiesto il divorzio per impotentia coeundi del marito polacco, gli scarica sul piazzale del tribunale. È piena? È vuota? Quasi vuota, giacché, come si vede poco dopo, conteneva solo un certificato, un diploma di parrucchiere. Quasi piena, perché, come si scoprirà più avanti, farà apparire il consolidamento bianco del film. Bianco evanescente e puntinoso nell'evocazione della sposa vestita di bianco del giorno del matrimonio, vergine non vergine se il marito asserisce a sua difesa che, prima di tutto quel bianco, «andava bene». Bianco che cola nell'escremento del piccione che lo centra sulla scalinata del tribunale. Bianco che si rapprende nel simbolo della intera trilogia, bianco rosso e blu, la bandiera francese, la Marianna che il marito abbandonato ruba da un negozio riconoscendo nella statua il ritratto della moglie perduta. Bianco effetto marmo che si spezza, quando la valigia si apre oltre frontiera e, finalmente in Polonia, ne esce il marito viaggiatore clandestino «rubato» da una banda di ladri di bagagli, e la statua rotola con lui da un dirupo rompendosi in tre pezzi: «Siamo a casa!». Rincollata, riprende il gioco della nascita e della morte. Bianca la neve, bianca la colla, vergine la Madonna con il bambino in cui il parrucchiere si specchia, bianco il binocolo, in un incubo il parrucchiere si ritrova nel film blu, interamente blu è la stanza, e bianca la luce che lo risveglia. Ma ritorniamo daccapo e scopriamo che l'eguaglianza è la morte. Come può il parrucchiere abbandonato trovare i soldi per rifarsi una vita? Può fare il killer, gli viene proposto, di un uomo che vuole morire ma non vuole la responsabilità di abbandonare la famiglia, di lasciare moglie e figli: «vorreb9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==