Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

in un'unica dinamica costruttiva in cui è impossibile scindere l'apporto efficace di entrambe. Critica e poesia s'intrecciano nella stessa area problematica in cui alla pulsione del desiderio rischia di rispondere la minaccia del silenzio. Infatti la passione5 di cui parla Baudelaire come stimolo conoscitivo che alimenta l'incontro con l'opera altrui, è da intendersi anche nel suo valore etimologico di affezione sofferta, attraversamento di forze laceranti, patimento. Si iscrive in quel conflitto, subìto più che voluto, fra l'urgenza di dire e l'improvviso blocco del tacere. In definitiva appare sottesa da una forma di crudeltà - se per crudeltà intendiamo in un'accezione originaria quell'impedimento iniziale di una parola ingolfata e oppressa nelle strette _dell'afasia. Si va allora elaborando, fra spinte e contro-spinte, il parto doloroso di una nuova scrittura che nel confronto con l'alterità produce l'emersione di quella lingua straniera nella propria che, secondo M. Proust, compone il tessuto verbale dei grandi libri6 • Credo che il sonetto Le Guignon nella prima sezione delle Fleurs du mal, sia per molti versi il modello esemplare di quella dimensione critico-poetica colta nella sua essenza di comunicazione crudele che s'intreccia nel difficile incontro fra l'io e l'altro. Nel Salon del 1846, Baudelaire aveva sostenuto l'esigenza di un nuovo rapporto critico che comportasse una totale adesione all'opera altrui attraverso l'elaborazione di una forma poetica, «sonetto o elegia», scaturita da un'esperienza «parziale, appassioriata, politica, cioè fatta da un punto di vista esclusivo, ma in grado di aprire molteplici orizzonti». Le Guignon7 appare in un certo senso l'esemplificazione più efficace di tale assunto programmatico, non tanto però come nel caso dei Phares nell'ottica della trasposizione visionaria delle arti - passaggio dall'immagine alla parola - quanto piuttosto per vie oblique, come il tentativo 49

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