Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

non da meri conduttori neutri - «significanti grammaticali» vorrei chiamarli, addetti a una funzione precisa, per tramite dei quali si racconta un'altra storia. Giorgio Manganelli, in Pinocchio: un libroparallelo, non si è lasciato sfuggire, naturalmente, l'occasione di chiosare questo passo del libro di Collodi. Di là dall'ipotesi saturnina che il «condensato» pinocchiesco «abbia l'intensità di quei discorsi che faremo noi morti agli indagatori che già sanno tutto», il commento di Manganelli tocca i punti dolenti: «Quali saranno mai i nessi del vivere? Pinocchio non riesce a trovarli: e accumula gli "e", e aggiunge i "dovecché", gli "allora", i "mai", i "che" vaganti, un "la quale", e "dove" e "di dove", "e io via e io via e io via"». Per concluderne che "non il discorso di Pinocchio è sgrammaticato e inconseguente, ma quelle "avventure" che sono la sua vita sono incapaci di grammatica...». L'investimento particolare di valore che ho creduto di indicare a proposito delle «sgrammaticature», spinge a fare un altro passo - ma diverso, giacché sposta l'accento dalla «vita» alla «storia». Pinocchio, istituitosi historicus ossia narratore e insieme critico, porta alla luce, riscrivendolo per un breve tratto, il fantasma di quel Pinocchio autentico, o vogliamo dire possibile, che è stato rimosso dalle esigenze pratiche, dalle convenzioni letterarie e sociali di Collodi. È un Pinocchio a rovescio, come calco di medaglia, che viene qui ipotizzato sui due piedi, con un certo arbitrio - arbitrio che si confonde, dopotutto, con l'arbitrio di Pinocchio critico interno; l'ombra del Pinocchio storico, «doppio» sottostante o prototesto, di cui con un po' di applicazione potremmo forse rintracciare le griffes in questo o quel punto del testo canonico. Probabilmente, la costruzione senza pause di queste pagine del racconto, con le sue cerniere «assurde», ha una rilevanza globale: tradisce una precipitazione di senso. Il testo collodiano precipita i propri elementi verso un 39

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