Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

sciatte, don Chisciotte e Sancio, per una felicissima invenzione che direi inconscia di Cervantes, decalcano su se stessi una valenza critica che permette di ricavare dall'episodio effetti di senso imprevisti - e di spalancare, proprio nel cuore del romanzo, la questione del «vero» e del «falso» nella fiction, andando ben oltre l'intento dichiarato dell'autore: castigare le «false e stravaganti favole» dei libri di cavalleria. Si capisce che la domanda circa l'ambiguità letteraria non è né novità né esclusiva del Chisciotte: ma mi sembra lo sia il modellino di endocritica che esso mette qui in atto_. Il grande corpo del romanzo cervantino estroflette dirò così un proprio frammento per farne un luogo di giudizio. Tale giudizio, a un tempo esterno e interno, promuove una sorta di topologia bizzarra. Allora: Pinocchio o Pinocchio? È il caso limite della mia rassegna: il personaggio di Collodi esibisce la variante più drastica di critica dall'interno, addetta a lavorare sul testo per riscrittura. Pinocchio riscrive (rinarra) Pinocchio in condensato: è il suo modo di comunicare come sarebbe potuto, o sarebbe dovuto, essere il libro. Il confronto con la nuova scrittura esplicita a quali intenzioni abbia obbedito, e di quali strumenti si sia servito, il testo collodiano ufficiale - di cui peraltro continuerà ad usufruire, fino alla fine, una volta superato l'episodio di crisi, è il caso di adoperare questo termine. Lo stimolo a spulciare nelle pieghe del Pinocchio mi è venuto da una chiosa minima, ancorché fulgurativa, di Gianfranco Contini nella scheda di presentazione del XXXV capitolo del romanzo, vedi Antologia dell'Italia unita 1861-1968: dove, a proposito del passaggio in questione, si dice di «un unico incantevole periodo saldato da un historicus infante e popolare (un narratore a suo modo simbolico, com'è quello del Verga rusticano)...». 36

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