Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

che (osserva Sancio) «sono successe quando eravamo noi due soli», sbigottisce «come lo scrittore possa aver fatto a saperlo», e conclude: «Ti assicuro, Sancio, che l'autore della nostra storia deve essere qualche mago incantatore, poiché a costoro nulla rimane nascosto...». Per mettersi poi a meditare, con qualche preoccupazione, sulla veridicità della biografia uscita di penna al Cide Hamete Benengeli. Ecco posti, come sfondo del dialogo, i termini dell'equazione o, se si preferisce, il teatro del rapporto autore­ /narrazione/verità. Certo, evocando la qualità magica del racconto, don Chisciotte non ha potuto anticipare l'opinione di Lacan, secondo il quale «la magia è la verità come causa sotto il suo aspetto di causa efficiente» - ma ha per lo meno aperto una querelle scivolosa e affascinante, diventata materia prediletta di dibattito quattro secoli dopo, cioè l'essenza della fiction. In questi due capitoli i personaggi si surrogano all'autore nel conferire la verità della storia, raddrizzando sviste, incongruenze, refusi. Ma di più: essi si pongono criticamente quali garanti della verità e della menzogna non solo della specifica fiction chisciottesca, ma della fiction in generale. A un primo livello, don Chisciotte saggia il valore di verità del racconto rispetto alla Storia, che per lui naturalmente è l'immaginario totale e irremovibile della sua avventura di cavaliere errante - realtà fantasticata. Ma a un livello secondo, il rapporto di verità s'instaura non già rispetto alla realtà, più o meno «vissuta» o fantasticata, bensì rispetto al Reale, ossia tutto sommato all'indicibile. Di là dalla cortina del dibattito grottesco a tre, si proietta una dialettica addirittura teorica dello scrivere, del suo oggetto, della sua validità. Senza smettere per un momento di essere figure della macrofinzione del Chi35

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==