Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Chisciotte è «un libro contingente, innecessario» (dice Menard) e riuscendo in effetti all'impresa di provarne l'assoluta «necessità» (diciamo noi). Così, la critica del romanzo inguanta perfettamente il romanzo: rimettersi a scrivere un testo è appunto critica per eccellenza. Certo, si passa per gradi di fenomeni spuri, di decifrazione non sempre univoca. Il Tristram Shandy è un caso di critica endofasica globale, diffusa pulviscolarmente per tutto il testo, che sembra ad ogni punto stuzzicato dalla volontà di riprendere in considerazione se stesso, fino a rendersi pressoché invisibile. Così negli Sposi promessi si contiene la digressione fra l'autore e un «personaggio ideale», a proposito della pittura degli effetti dell'amore in un romanzo e del caso Racine; digressione espedita con la frase apotropaica, direi più romanzesca che critica: «Sparisci; e torniamo alla storia». Per tornare a un contemporaneo, un artificio omologo, ma si capisce in tutt'altro tono, è reperibile nella Pietra lunare di Tommaso Landolfi, giudicata, alla fine, in una lettera, anch'essa «ideale», del «signor conte Giacomo Leopardi». Il rimando si giustifica in quanto è chiaro che l'animus della trovata landolfiana (che peraltro si accorda con l'essenza della Pietra lunare, come hanno rilevato Calvino e poi Zanzotto) è affatto estraneo a quello che indusse parecchi autori, anche famosi, a mettere in testa o in coda alle proprie opere giudizi, autentici o fittizi, di quelle opere stesse. Valgano per tutti i versi degli Accademici di Argamasilla in onore di don Chisciotte, Sancio e Dulcinea, che chiudono la prima parte del Chisciotte. Forse anche per questo risulta meno inconsulta la convinzione del già citato Bloom, che «la critica deve avere avuto origine nella satira e nella farsa». Senza abbandonare Cervantes, eccoci a uno di quegli esempi perspicui ai quali ho accennato. 33

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