Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

stico, formalistico, psicoanalitico, decostruzionistico ecc. (non, s'intende, abbandonata a ogni vento d'umori). Nello stesso Frye si trova la denominazione di «critica intermedia», che pare tuttavia debole e piuttosto incerta. lmpair, dispari è, almeno intuitivamente, un senso forte che fa uscire la critica dalle rotaie, a non dire dai gangheri. Harold Bloom (Agon) propone il cartellino di «antitetica»: critica antitetica in quanto oppositiva, «evasiva», epperò «non gradita come tale agli epistemologi di qualsiasi scuola». Antiteticità ed evasività valgono rispetto ai processi - sia pure fini, ricchi e fruttuosi - che hanno sostenuto le nostre entrate nei testi. Privilegerei l'evasività: non si tratta di sottrarsi ai modelli di lettura ma soprattutto ai modelli di testi che tali letture costruiscono, e ci impongono. Barthes ha distinto fra testi letterari «leggibili», che cioè si prestano alla lettura (all'ingrosso, quasi tutta la letteratura prodotta finora) e testi «scrivibili», che ogni lettore è chiamato a riscrivere, «des textes qui donnent à écrire». Forse qui, particolarmente, si affaccia un'allusione al modo di operare della critica in quanto assuma il suo còté dispari. Ma: la critica in effetti non riscrive il testo preso in consegna (o dovrei rettificare: dal quale è stata presa in consegna?), piuttosto ne attua la scrittura nel momento-perverso (Bloom)- in cui lo contrasta e ne evade, rifiutando di colarlo nei moduli di un sistema. Magari il prototipo non è altri che Pierre Menard. Tre aspetti di questo modo d'operare si possono dedurre dalle pagine di Agon: la negazione, l'evasione, la stravaganza. Da secoli si suppone che la critica sia chiamata a fare dei conti: soprattutto, a fare che i conti tornino. Il dispari della critica è quella componente messa in sottordine in 30

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