Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Rimpiangeva, le disse, gli ultimi giorni della convalescenza. La mattina un infermiere, che parlava con lui da pari a pari, da dongiovanni a dongiovanni, che di tanto in tanto gli strizzava l'occhio in segno d'intesa, lo aiutava a lavarsi e a vestirsi, finché gli porgeva il braccio per fagli scendere le scale. Giù lo aspettava la madre, qualche volta il padre, e l'uno e l'altra s'informavano della sua salute. «Come stai René? Stamani hai una bella cera, hai riposato bene...». Rispondeva con parole di gratitudine nonostante quell'inopportuna domanda che rivolgeva a se stesso fin dal primo momento: «Perché non mi sgridano? Perché non mi rimproverano?». Ma nessuno lo sgridò né lo rimproverò, né allora né mai. Aveva trascorso in seguito tranquille giornate di ozio. Dopo colazione, raggiungeva la poltrona e leggeva i giornali, poi si alzava e, un passo dopo l'altro, si avvicinava allo scaffale dei libri paterni. Fece due scoperte, una più importante dell'altra:/ fratelli Karamazov e un taccuino che il padre aveva lasciato sullo scrittoio. Il libro, in francese, lo conquistò, e ancor più lo prese una pagina del taccuino che poi il padre ripose tra le sue carte. «Non posso rivelarti il nome di colui, o di colei, che ha scritto i suoi pensieri in queste pagine. Si tratta - disse - di un "caso"». Del romanzo gli rimasero in mente poche parole di Zosima; del taccuino, soltanto due parole: stanchezza e incontentabilità. Zosima dice: «L'inferno è il dolore di non essere più capaci di amare». Chiuse il libro e si abbandonò a una riflessione che non lo trovava impreparato. Aveva ragione Zosima? O era vero il contrario? La parola che lo folgorò fu menzogna. La parola generò una frase: mentire a se stessi. Zosima, ne era convinto, mentiva a se stesso. Senza saperlo, ma mentiva. Nei suoi confronti egli poteva far valere, usando il linguaggio delle carte da gioco, qualche punto in più: Zosima no, ma lui, René, sapeva di mentire 22

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