Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

a se stesso quando proclamava il suo amore per il genere umano. Questo era il senso riposto delle parole di suo padre, di quelle parole sconsolate sull'isteria e la catastrofe. Quell'uomo che cercava la guarigione della bella donna del quadro, l'isterica di Charcot, sapeva di mentire a se stesso. La guarigione era la sua superstizione volontaria. Farsi illusioni, mentire a se stessi: questo è l'inferno che l'amore aveva portato nel mondo. La salvezza: che orrore... Il quadernetto con la copertina nera era fitto di appunti qua e là cancellati. Quelle due parole erano parte di un lungo periodo interamente nascosto tra righe diagonali. La cancellatura era un invito a leggere. Più delle pagine piene dei Fratelli Karamazov, gli piacevano le carte graffiate, gli spazi bianchi, le cancellature trasversali del taccuino. René lo sfogliò per un verso o per l'altro, quindi fermò lo sguardo su una frase: « ...la stanchezza significa incontentabilità». Il caso generava collegamenti, suggeriva sensi riposti e li svelava: era sin troppo chiaro che si poteva prendere spunto dalla frase di Zosima e, traversando immagini e sensazioni, raggiungere quelle due parole. Gli parve chiaro che la prima lettura si prestava alla banalità. Invece era necessario riflettere a lungo per capire che la stanchezza genera bramosia di diversità e di novità. Stanchi di che? Intanto della stanchezza medesima..., e perciò desiderosi di benessere, di forza, di salute. Stanchezza: essere stanchi del dolore e per questa ragione desiderare l'amore, dire come Zosima che l'inferno è il dolore di non essere più capaci di amore. Non essere più... Dunque c'era stato un tempo in cui si era stati capaci di amare. Quando? La domanda non aveva echi, si perdeva nel tempo. Mai, disse a se stesso. La verità era sempre stata la menzogna, e ora quel mentire a se stessi. Molto dolore aveva prodotto l'amore: dolore e menzogna. Persino il gusto della menzogna, del mentire a se stessi. Quella vo23

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