Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Sul palcoscenico delle opere di Kantor, improntate a questa sfida: ricostruire la sua «povera stanza dell'immaginario», costruire materialmente i ricordi, in mezzo ad armadi, sedie, letti, tavoli, crocefissi cimiteriali, c'è sullo sfondo, centrale nella geografia della scena, una struttura di assi sovrapposti che si apre a fisarmonica per far entrare i personaggi. Non è una porta, che è una vera porta, anche se ridotta all'essenziale come tutto nelle sue realizzazioni. Questa struttura, sostiene uno studioso della sua opera11 «che è forse anche un sipario, l'unico sipario teatrale concepibile per Kantor, dietro e non davanti agli attori, assomiglia al muro del pianto, forse al muro cimiteriale in cui è anche il loculo dove ognuno di noi ha seppellito il proprio padre». «Il flusso memoriale» che lui vede rappresentato dalla porta, gli appare «un'intermittenza socchiusa sull'universo del padre morto». Del padre Kantor dirà: «mio padre non è tornato dalla prima guerra mondiale, non è morto, solo non è tornato» e dedicherà la sua vita di artista alla messa in scena dei suoi ricordi, che sono i ricordi di quella grande guerra combattuta, non da lui, ma dal padre. «Io ho creato in uno stato di immensa non tanto tensione quanto disperazione. Non avevo altra via d'uscita che quella»12 • Kantor riuscirà ad inquadrare - sia pure nelle cornici vuote che appaiono sulla scena del suo ultimo, postumo spettacolo - la pressione, la penetrazione di una guerra non sua che, con tutto il suo orrore, irrompe costantemente sulla scena, consentendo allo spettatore «che sia possibile trasformare ciò che è spiacevole in qualcosa che può essere ricordato e psichicamente elaborato»13. Così come la porta della memoria sulla scena di Kantor inquadra il mondo del padre morto, e il suo lavoro d'artista trova un luogo per rappresentarsi, per la mia pa201

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