Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

specie di contemporaneità astratta, incantata, e che proprio per questo dà un senso di lieve capogiro. Di certo c'è solo la stagione: siamo in inverno, a gennaio, un freddissimo gennaio. Allo stesso modo la città. La pensione, il caffè, il parco, la stazione...: c'è tutto quello che c'è in una città d'Europa, ma quale? A voler tirare un po' la corda, da alcuni vaghissimi indizi o sensazioni, potrebbe essere Firenze: una specie di Firenze d'anteguerra, attanagliata però da un gelo spropositato. Ma in realtà, se anche fosse Firenze, non è Firenze. Perché la città è connotata piuttosto come una qualunque città, una città quale che sia, sospesa in un oggi quale che sia. Bella ed elegante, ma come una delle tante nostre città. E il fascino di questa bellezza ci inquieta, proprio perché è il fascino di una città sospesa in un tempo sospeso, che però è il nostro, come nostra è la città. Qui dunque, in tale città, due compagni: il narratore e un amico, entrambi senza nome, qualificati solo come «io» e «il mio amico». Chi sono? A giudicare dal fatto che leggono, passeggiano, hanno tempo da buttar via, sembrano colti e raffinati, si potrebbe pensare a due studenti di liceo, due «signorini» (come si diceva una volta) durante le vacanze di Natale. Ma di fatto non si sa chi siano. Si tratta di due giovani (probabilmente) e simpatici soggetti incerti: due futuri intellettuali senza nome e senza volto. E anche questo, non si sa bene come, attrae e mette un po' paura. In questa città dunque, in una pensione sita nel palazzo dove abita l'amico, arriva una donna di cui si sa poco più che il nome: Flora Diamond. L'amico l'ha intravista appena: sa che è straniera, che aspetta una lettera di un certo Franz (l'ha intraudita parlare col portiere), ha notato un mazzo di rose inviato a lei, insomma l'ha sbirciata. È bella? Non bellissima, ma affascinante. O forse no, forse proprio bellissima. Così arguisce, dalle descrizioni dell'amico, il narratore. 168

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