Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

qui, è presente. Un pensiero precario ma centrato sulla presenza dell'esser-qui, invece che un pensiero progettuale del dover-diventare-così. Pensiero nuovo di cui ancora però tutti noi sappiamo poco o nulla. Tutti noi, tranne Ottavio Cecchi, scrittore la cui opera di narratore e di saggista trova uno dei propri centri proprio nella contraddizione drammatica fra progetto e quotidianità, fra insostenibilità, inaccettabilità di un progetto certo, e accettazione serena-angosciosa di un presente per sua natura sempre incerto. Dunque Ottavio Cecchi: uno scrittore di cui, a mio parere, si sa ancora troppo poco; su cui si è riflettuto ancora troppo poco. Eppure la complessità, la bellezza e l'attualità dell'opera di Cecchi sono tali che, entrando in essa si finisce sempre per sfiorare qualcosa di impensabile, di indicibile - e ci si accorge che questo insondabile non detto è proprio quello che concerne la nostra epoca: il sottilissimo, vertiginoso abisso che taglia via il presente dal passato e dal futuro. Con queste mie brevi note non intendo certo affrontare tutta la complessità del lavoro di Cecchi, quanto piuttosto segnalare una simile complessità e cominciare appena appena a entrarvi. Tale ingresso avverrà per parte mia attraverso una lettura dell'ultimo racconto di Cecchi: Ricercare sul nome Flora1 -uno dei punti più alti, a mio avviso, della narrativa cecchiana, insieme a Gioco di corte, già mirabilmente analizzato da Franco Rella2 • 2. Flora Due amici imprecisati, in una città e in un periodo imprecisati. Il tempo è di sicuro questo secolo, ma non si capisce in quale anno o decennio. Siamo in una specie di contemporaneità, che però sembra sconfinare fin verso l'anteguerra. Tutto si svolge in un presente sospeso. Ci troviamo cioè nel nostro tempo, ma non in questa o quella data, bensì nel puro aleggiare del nostro tempo. In una 167

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