Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Il caffè di Kant (. . . ) «Dick Heldar - sillabò Emma. - Non riesco a immaginarlo come un vero pittore. Del resto, il tuo Kipling, mio caro René, non lo ama molto». Aveva chiuso il manoscritto nella cartella rossa con la quale glielo aveva portato lui, René, ed era rimasta per un attimo soprappensiero. «Se lo amasse e se tu lo amassi, Maisie non apparirebbe così bella nonostante la sua crudeltà; nonostante, lascia che te lo dica, la sua vigliaccheria. Perché Maisie scappa, non è vero René? Vorrei che il tuo Kipling fosse qui con noi, ora, vorrei potergli chiedere quanto abbia amato, o odiato, quel suo Dick e quanto invece abbia amato la ragazza. Ma non ce n'è bisogno. Basti tu, è sufficiente la tua presenza. È un gioco di scatole cinesi. Tu cerchi di riconoscerti, di rifugiarti in Kipling e Kipling in Dick Heldar. Tutto quel sangue e tutto quel tabacco per quattro cartelloni di réclame della guerra. Via, - ironizzò Emma - siate seri... Voi non amate nessuno all'infuori della vostra Maisie. L'aspro del sangue e del tabacco è solamente, come dici tu, una superstizione volontaria. In altre parole, una menzogna. Kipling immagina un se stesso che non esiste se non nella sua fantasia, e tu immagini di essere Dick e il suo autore. In realtà...» 15

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