Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

crociate. La signorina Gustaffson lavora nel film Erik il vagabondo di Petschler; la vede il grande regista Maurizio Stiller, la chiama a Rasinda (la piccola Hollywood svedese di allora, la sede della Swenska), le cambia nome, la fa diventare Greta Garbo. Amore di altri paesi per l'esotismo dei nomi italiani: Greta Garbo, Pola Negri, Elissa Landi. Ma Garbo è ben trovato: non s'abbandona alla presunta facilità di una melodia calda e mediterranea: è asciutto, magro, imperioso. Somiglia già al risentito profilo di 10 anni dopo. Stiller affida alla sua «scoperta» la parte della contessa Dolina nella Leggenda di Costa Berling dal racconto di Selma Lagerlof. L'attrice scandinava nella saga scandinava: si prepara di lunga mano l'alone del «fascino nordico»? Certo è che oggi la Garbo ci appare a volte come la più misteriosa creatura di una fiaba di Andersen. Ma l'invenzione di Stiller non era così presaga: anzi, le fotografie del suo film ci mostrano una Garbo ancora imbozzolata in una semplicità casalinga, bonaria, persino un poco paffuta. L'Europa registra il successo e G.W. Pabst lo sancisce, affiancando la Garbo ad Asta Nielsen nella Strada senza gioia, tragico episodio del disagio viennese susseguito alla guerra. Dopo la luminosa parabola della cinematografia italiana, la Germania era allora l'università intellettuale del cinema, dove registi ed attori ricevevano il diploma dottorale, per andare poi ad esercitare in America la professione. Dissolvenza incrociata. Su una banchina del porto di NewYork una povera ragazza svedese, in un modesto abito da viaggio di taglio provinciale, accanto ad un gigante dall'aspetto duro e un po' ripulsivo, si fa prendere una di quelle istantanee di prammatica, che i giornali illustrati intitolano Sbarco in America. Sono venuti ad accoglierla il console del suo paese ed un funzionario della Metro Goldwyn. Una fanciulla svedese le ha messo tra le mani un mazzo di fiori. 140

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