verso qualche luogo di pane e libertà «dove possa durevolmente consistere». In lui si piacque, in lui ci piace. Poi d'orizzonte in orizzonte si perde. Nel sogno irresponsabilmente surrealista di Amerika gli avvenne a volte di toccare per tangente l'America. Americano realisticamente, nonostante i balconi, è quel saturnale elettorale notturno nella città dei balconi; cosa di un gusto da Barnum; o, più precisamente, affine a una grande farsa musicale politica, Of Thee I Sing, che trionfò a Broadway verso il '30, quando l'America, non ancora ammantata di tanta potenza quanta oggi l'avvolge, si concedeva ancora il lusso di celiar su se stessa. Americano, per un intuito che trasvola le distanze, è il vagabondo (Delamarche, Robinson, col loro magnetismo sul fanciullo sradicato), tra poltrone e briccone, accattone o ladruncolo, sfruttatore o manutengolo seco, ndo le occasioni, uccel di bosco sempre in coraggioso procinto di ritrovarsi uccel di gabbia, Gil Blas transatlantico, noto in buon numero d'esemplari sulle strade maestre a perdita di vista dove si trascina prolisso, in cenci e rivoltella, l'ultimo capitolo di quella che fu l'epopea pioniera. Americanissimo poi, per paradosso, è quel ritrovarci in un'America, quale è di regola quella degli immigranti, quasi del tutto senza americani - dico americani al cento per cento, di prosapia anglosassone - come è quasi del tutto senza europei, tranne i ciceroni, l'Europa dei turisti americani in comitiva: refrattarietà complementari. Sì, l'America è un crogiuolo di fusione, meltingpot; ma a fuocomolto lento; intanto chi si somiglia si piglia. Dovunque Karl vada a sbattere, è come se da Praga all'Oklahoma fosse la via dell'orto. Delamarche è francese, Giacomo italiano, Robinson irlandese; i più associabili naturalmente tedeschi, di preferenza boemi: onde quelle tenerissime pagine dove la capocuoca dell'Hotel Occidental, affezionatasi per cieco istinto al fanciullo ramingo, scopre con delizia ch'è sua compatriotta, pensate!, Grete Mitzelbach 134
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