Il piccolo Hans - anno XXI - n. 82 - estate 1994

Accanto alle rotabili suburbane gli operai si rifocillano con carne quasi cruda, che il coltello sbrana, non taglia. Quel pasto più che tartaro innaffiano con un liquido nero che brucia la gola. Che sarà mai? Coca-Cola non è. Le automobili sono colossali. Corrono, in cinque file parallele, così veloci che non c'è modo di vedere se son vuote o occupate. Corrono l'una nell'altra (testualmente: «ineinanderfahren»). Quando si fermano tutte a un tratto, non c'è spazio frammezzo. I pedoni che desiderano traversare la strada passano per le portiere aperte dall'una macchina nell'altra, finché sboccano al marciapiede opposto, senza alcuna opposizione dagli autisti o dalle signore sedute sui cuscini, tanto normale è l'usanza. Pure, di là di questi ghiribizzi e frottole, si sente a volte un'aria vera d'America, benché spiri di solito dalle nozioni convenzionali, in voga dovunque, sul moto perpetuo, sull'efficienza e trambusto, sul nuovo mondo come paese delle possibilità illimitate (che fu frase tedesca, das Land der unbegrenzten Moglichkeiten, prima che d'altra lingua), sull'impero meccanico, sull'iperbole delle quantità. La spinta dové venire da Goethe, seconda parte del Guglielmo Meister, che scoperse - anch'egli senza mettervi piede - l'America come la scena delle liberazioni e rinascite. Ancora al tempo di Kafka le leggi razziste, che sono del '21 e '24, non erano state poste a guardia, in faccia alla Statua della Libertà, contro le immigrazioni indesiderabili; ancora sbarcavano alla Battery in fitte schiere coi loro fagotti i paria dell'Europa, latini, austro-ungarici, slavi. Kafka, ossesso nei conflitti insanabili col padre, attanagliato dal suo complesso d'Edipo, consunto dallo sgobbo impiegatizio per sbarcare il lunario, in cui il sogno soccombeva al bisogno, si aggregò in fantasia a quegli evasi, trasfuse se stesso, Franz, in Karl, il puro, il bello, lo sfortunato adolescente varcante d'orizzonte in orizzonte 133

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