dirlo?) insipienti. Ma venne a piovere, e l'equilibrio fu presto ristabilito: dopo una visita alla Madonna di Tiziano, Cehov cominciò col rammaricarsi che gli Italiani avessero tanto poco discernimento da mettere gli uni accanto agli altri grandi quadri e quadri mediocri (sebbene, se si tratta qui dell'Assunta dei Frari non si veda bene la cagione del rilievo); per finire con questa frase, in una lettera da Roma: «Venezia mi ha affascinato e mi ha quasi mandato fuor di senno, ma quando son partito il cattivo tempo e il Baedeker hanno preso il suo posto». Nel corso dello stesso viaggio, Cehov fu a Bologna, a Firenze, Roma e Napoli. A proposito della Venere dei Medici, osservò pertinentemente (e impertinentemente) che, data la circonferenza della sua vita, vestita alla moderna avrebbe fatto una pessima figura. Di ritorno dal Vaticano (il tempo era tuttavia cattivo) non trovò di meglio che mettersi a osservare due ragazze olandesi della sua pensione, le quali avevano qualcosa delle puschiniane Tatjana e Olga; in fondo, ciò che più gli piacque di Roma furono (daccapo) le cravatte, straordinariamente a buon mercato. A Napoli, la vista da San Martino gli ricordò un paesaggio di Hong Kong. Visitò Pompei e, per istigazione di certo vinello, salì anche sul Vesuvio; ma: «Che tortura è arrampicarsi sul Vesuvio!». Ad ogni modo, dalla salita ricavò alcune forti emozioni: «... Era terrificante, e al tempo stesso io ero soverchiato da una voglia di saltare nel cratere. Ora credo all'inferno». La verità è che il richiamo della Russia e delle sue zuppe di cavoli si faceva sentire. Altre città italiane Cehov visitò nel '94 e cioè Trieste, di nuovo Venezia, Milano e Genova. A Venezia prese l'orticaria e si comprò tre cravatte di seta con relativa spilla (questo è tutto quanto trova stavolta da dire). Da Milano invece leva alle stelle la cattedrale, di una bellezza addirittura paurosa. Della birra italiana: «Se avessimo una tale birra in Russia sarei diventato un bevone» (ma lo era 109
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