Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

Dico che 'l cielo dela Luna con la Gramatica si somiglia/ per due proprietadi/, per che ad esso si può comparare. Che se la Luna si guarda bene, due cose si veggiono in essa proprie, che non si veggiono ne l'altre stelle: l'una si è l'ombra che è in essa, la quale non è altro che raritade del suo corpo, a la quale non possono terminare li raggi del sole e ripercuotersi così come ne l'altre parti; l'altra si è la variazione de la sua luminositade, che ora luce da uno lato, e ora luce da un altro, secondo che lo sole la vede. E queste due proprietadi hae la Gramatica: ché, per la sua infinitade, li raggi de la ragione in essa non si terminano, in parte spezialmente de li vocabuli; e luce or di qua or di là in tanto quanto certi vocabuli, certe declinazioni, certe construzioni sono in uso che già non furono, e molte già furono che ancor saranno: sì come dice Orazio nel principio de la Poetria quando dice: «Molti vocabuli rinasceranno che già caddero».31 Questo bellissimo paragone - che è anche uno dei passi forse più sensibilmente significativi per comprendere come Dante pensasse la Grammatica - induce a supporre che a una correzione dell'«errore filosofico» e dell'«errore della vista» debba corrispondere, nella Commedia, anche una correzione dell'«errore linguistico». In effetti però Dante, dopo il Convivio e il De Vulgari Eloquentia, sembra aver interrotto, come avverte Nardi32 , ogni ricerca di una teoria linguistica, pur così urgente fino a quel momento, lasciando incompleti i due trattati, e trascurando comunque di fornire una tesi linguistica definitiva che accompagnasse la Commedia33 • È quindi chiaro che se- di fianco a questa «correzione» del vedere la Luna- è lecito aspettarsi una «correzione parallela» della Grammatica, cioè dell'«errore linguistico», essa non va cercata in una teorizzazione ulteriore, o ultima, ma va vista come immanente alla struttura stessa 68

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