Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

dere perduta, demotivata, e di cui la filosofia del linguaggio non ha mai potuto che celebrare il lutto. Volgare Illustre, dal punto di vista della causa finale, è un vedere in movimento, un fare della dimensione formale dell'arbitrarietà del segno una dinamica anagogica. Non è un caso che questa scoperta induca Dante a distinguere, operativamente, i quattro diversi sensi della scrittura, e a non più parlarne in sede filosofica, salvo sperimentarli nel movimento del poema. Nella lezione di Beatrice si ritrova infatti, articolato come causa finale, lo stesso principio dell'imitazione (somiglianza vissuta) già conosciuto nella nutrice come causa efficiente. La lingua «quam sine omni regula, nutricem imitantes, accipimus» (d.V.E., I, 1), più nobile, in quanto nata dalla somiglianza vissuta, diventa, dopo lo «studio» di Dante, il Volgare Illustre, in quanto lingua propriamente parlata da Beatrice, lingua della sua imitazione. Beatrice, dolce-guida, cioè dolce per il suo guidare, è iperbato cui tutti gli iperbati del Paradiso rispondono, parla una lingua dinamica, Volgare Illustre in movimento, fatta essenzialmente di spiegazioni come iperbati scientifici (e beatifici) nel tessuto del testo poetico. La sua lingua è illuminata e illuminante in quanto insegna a Dante l'imitazione: «Riguarda bene ornai come io vado per questo loco al vero che disiri, sì che poi sappi sol tener lo guado». (Par., II, 124-6) La lezione di metodo della somiglianza è evidente nel doppio significato di «loco», Paradiso o concetto; dell'andare - «io vado» - che lo spiega, come orientamento fisico o come raggiungimento concettuale (insieme: anagogia). Così tutti i sillogismi usati in queste spiegazioni non sono estrinseche concessioni al «gusto dell'epoca», ma sono le grandi nervature gotiche di un Volgare Illustre 65

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