Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

che, quando Descartes vuole preliminarmente chiarire la differenza fra immagine sensibile della luce e luce stessa come causa di questa, usi il paragone di significante/significato, poi, subito dopo, quello fra sensazione/oggetto della sensazione. La luce assomiglia alla lingua in questo, che si basa sul medesimo principio: arbitrarietà del segno o arbitrarietà del vedere, mentre la sensibilità è il luogo dove questo principio formale si-manifesta visibile. Così anche Dante scopre (d.V.E., specialm. I, II) che il volgare è <<nobilior» proprio quando lo paragona agli adiacenti concetti di luce e sensibilità: gli angeli, del tutto trasparenti, non parlano perché in eccesso di luce; gli animali inferiori, privi del lumen rationale, perché in eccesso di sensibilità; solo nell'uomo la decidibilità sensibile, la regolazione della luce e l'arbitrarietà del segno vengono a coincidere; perciò solo per lui la lingua è causa formale. Considerato dunque il volgare come causa formale, si rende possibile descriverne l'inchoatio, cioè quell'arbitrarietà del segno- rapporto fra signum rationale e sensuale- che Dante chiama beneplacito, cioè la dimensione individuale nella quale esclusivamente una voce acquista un valore: «nam sensuale /signum/ qui est, in quantum sonus est; rationale vero, in quantum aliquid significare videtur ad placitum»26 • Nel De Vulgari Eloquentia c'è un apparente paradosso, per cui, mentre è massimo lo sforzo teoretico, l'autore insiste particolarmente sulle caratteristiche sensibili delle parole, come nella dislocazione geografica dei dialetti, destra o sinistra rispetto all'Appennino, le loro qualità di dolcezza o di asprezza- che segue evidentemente il filo della «simpatia» personale-, ma anche le qualità sensoriali delle singole parole, classificate come pexa, lubrica, yrsuta, reburra; infine, soprattutto, la bellezza della lingua, identificata colla sua luminosità. L'apparente paradosso è dovuto al fatto che questa insistenza sulla mate63

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