Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

«che tutto move» (ad es. subito Par. I, 1). Nel suo trapasso da metafora a principio dinamico, l'amore, che è un aprirsi uno spazio, e insieme un vedere dal punto di vista del fine, comporta una critica radicale del linguaggio poetico, cioè l'affermazione della scelta già in embrione in «Le dolci rime». Ed ecco che ad ogni spaziarsi della vista, ad ogni inserzione, nel testo, di strutture dinamiche, cioè ad ogni aumento dell'amore, troviamo, nel Paradiso, le dichiarazioni di insufficienza del linguaggio di fronte all'accecante luce del fine. Questo dramma della parola presa nel movimento è stato descritto da Hermann proprio come un effetto della costituzione dello spazio pseudosferico: «L'inaccessibilità, che è una delle caratteristiche dello spazio pseudosferico si trova nel cuore del pensiero nella misura in cui il suo strumento, la parola, deve limitarsi a circoscrivere l'oggetto verso il quale essa tende, ma senza mai raggiungerlo. Le tesi dell'essere in sé possono essere poste solo dalla parola, e non possono mai ricoprire l'oggetto» 14 . Così anche il termine «amor», che nel De Vulgari Eloquentia15 rimaneva l'esempio linguistico unificante le tre lingue (oc, oi:l, sì) alla deriva dopo Babele, nell'accidentalità delle forme linguistiche; quell'«amor» acquista la sua universalità (anche nel suo valore di sogno politico) non in un'astratta formalizzazione, ma solo nella sua traduzione in movimento e in ordine nella Commedia, dove diventa un elemento di critica della certezza grammaticale. L'esempio di «amor» vale anche per altri termini che appartenevano alla dottrina linguistica, e che sono in seguito divenuti oggetto di una «receptio», culturale e vitale, più vasta, e risolti in una realizzazione dinamica. Nel Paradiso risulta evidente che la «curva semantica» di alcuni di questi termini consiste in un loro ridiventare sensibili, e specialmente visibili; attingendo all'universalità passando per gli antipodi della loro interpretazione «concettuale». Un esempio è l'aggettivo «concreata», che nel 59

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